Edward Gibbon. Costantino nella History of the Decline and Fall of the Roman Empire
The History of the Decline and Fall of the Roman Empire di Edward Gibbon, pubblicata nel 1776, è una delle opere più influenti della storiografia moderna. Nella sua analisi delle cause che portarono al declino dell’Impero romano occidentale Gibbon attribuisce un effetto negativo alla politica religiosa e militare di Costantino. L’immagine disegnata da Gibbon ha una base scientifica e si dimostra più equilibrata rispetto all’immagine costantiniana data dagli illuministi francesi1. La sua interpretazione del primo imperatore cristiano prende chiaramente le distanze dal giudizio negativo che ne diede Voltaire. Lo storico britannico descrive la persona di Costantino e il suo contributo politico in modo esauriente, dando molti giudizi positivi su di lui. Il presente saggio riporta nella prima parte i dati biografici più importanti su Gibbon, per poi chiarire l’immagine di Costantino da parte dello stesso autore, seguendo la nascita della History2. Nel 1772, ancora prima dell’edizione del primo volume, Gibbon scrisse le sue General Observations on the Fall of the Roman Empire in the West, nelle quali egli critica Costantino per l’aumento del numero di soldati germanici nell’esercito romano, ma plaude alla fondazione di Costantinopoli come misura adeguata per salvare la parte orientale dell’Impero dagli attacchi dei popoli barbarici; queste General Observations costituiranno poi la fine del terzo volume. Nel primo volume della History, Gibbon fa dei commenti critici sul ruolo politico del cristianesimo antico, suscitando così un largo dibattito tra i suoi contemporanei. Costantino, il cui governo è trattato nello stesso primo volume fino all’anno 324 d.C. attraverso un approccio attento ai fatti storici e non a quelli religiosi, è invece giudicato sempre in modo positivo. Nel secondo volume, pubblicato nel 1782, segue un’esposizione esauriente del carattere dell’imperatore e della sua politica religiosa. Si alternano giudizi positivi e negativi finché Gibbon comincia, nel contesto d’un esame più profondo della politica religiosa dell’imperatore, a esprimere giudizi sempre più critici. Questa valutazione ambivalente dell’imperatore riprende la divisione del governo di Costantino, fatta già dagli scrittori antichi e pagani (Eutropio, Aurelio Vittore), in una prima fase positiva e in una seconda fase negativa. Il presente saggio vuole presentare l’immagine di Costantino data da Gibbon nelle sue tante sfaccettature; per questo motivo non è possibile trattare in modo esauriente altre questioni legate alla History come l’uso delle fonti e della letteratura scientifica contemporanea da parte dello storico inglese3.
Gibbon nacque nel 1737 a Putney, nella contea del Surrey, e morì nel 1794 a Londra4. Era il primogenito di una famiglia benestante; il nonno faceva il commerciante e aveva accumulato un grande patrimonio, un mestiere portato avanti con successo anche dal padre. Da bambino Gibbon soffriva di una salute cagionevole; alcuni dei suoi fratelli e la madre morirono presto. A quattordici anni, nel 1752, Gibbon fu ammesso al Collegio di Santa Maddalena di Oxford. Nella sua autobiografia, scritta in stesure diverse5, egli descrisse i suoi studi al collegio come un’inutile perdita di tempo, riconducendo le sue conoscenze non alle lezioni, ma allo studio personale6. Impressionato dagli scritti del teologo francese Jacques-Bénigne Bossuet7, e in contrapposizione con lo scrittore inglese Conyers Middleton8, che aveva un atteggiamento critico nei confronti dei miracoli, il giovane diciassettenne Gibbon si convertì nel 1753 al cattolicesimo9. Ciò condusse all’immediata espulsione dal Collegio e spinse il padre a mandarlo a Losanna, dove fu sottoposto alla sorveglianza del pastore calvinista Daniel Pavilliard10. Gibbon visse dal 1753 al 1758 a Losanna. Pavilliard riuscì presto a convincere Gibbon a rinnegare la fede cattolica; già nel Natale del 1754 Gibbon si convertì nuovamente11. Karl Christ ha commentato i cambiamenti nella fede del giovane Gibbon con le seguenti parole: essa sarebbe rimasta un «compromesso esteriore» perché «Gibbon non è mai diventato […] un cristiano convinto. Egli rimase interiormente distante dal cristianesimo, largamente indifferente dal punto di vista religioso; qualche frase ironica o amara, che egli scrisse più tardi sul cristianesimo e sui cristiani, trova una spiegazione nelle sue esperienze con questa fede»12. Contemporaneamente, la History conferma un interesse continuo verso questioni teologiche; Gibbon ha dedicato molte pagine alla controversia sull’arianesimo, nelle quali egli si occupa in modo esauriente anche delle basi filosofiche e dei dettagli teologici13.
Lo sviluppo intellettuale di Gibbon fu fortemente influenzato dall’Illuminismo francese. Durante gli anni a Losanna, Gibbon conobbe di persona Voltaire14 ed ebbe uno scambio epistolare con molti altri studiosi francesi. Dopo il suo soggiorno in Svizzera e dopo un amore non ricambiato con Suzanne Curchod, che più tardi si sposò con Jacques Necker, Gibbon tornò in Inghilterra nel 1758. Egli scrisse un Essai sur l’étude de la littérature, pubblicato nel 176115. Il saggio mostra conoscenze ampie e profonde degli scrittori antichi e moderni, e presenta numerose osservazioni critiche sia sulla storia romana fino all’epoca degli imperatori Augusto e Tiberio sia sulla religione antica; in più, esso contiene riflessioni fondamentali sulla comprensione storica16. Con il suo saggio, Gibbon volle candidarsi per una carriera diplomatica, ma in Inghilterra non fu preso in considerazione17. Dal 1763 al 1765 viaggiò per l’Europa per motivi di studio; raggiunse Parigi, dove frequentò il salotto del barone Paul-Henry Thiry d’Holbach e dove incontrò filosofi e scrittori come Jean-Baptiste le Rond d’Alembert, Denis Diderot, Claude Adrien Helvétius o Guillaume-Thomas François Raynal18; andò poi a Losanna e infine a Roma dove, come ha raccontato lui stesso, ebbe nell’ottobre 1764 un’«esperienza delle rovine» che lo spinse a esporre la fine dell’Impero romano, pur avendo in origine pensato, come egli stesso racconta, a una storia della città di Roma19. Negli anni successivi al suo soggiorno a Roma, Gibbon in realtà si occupò di progetti completamente diversi come, ad esempio, una storia della Svizzera. Solo dopo aver scoperto nel 1768 quali difficoltà erano legate a questi progetti – anche a causa del difficile accesso alle fonti20 – si dedicò alla storia antica; nacquero piccoli lavori come l’Index Expurgatorius (1768), la Digression on the Character of Brutus (1769) e le Critical Observations on the Sixth Book of the Aeneid (sempre nel 1769)21. Solo nel 1771 Gibbon cominciò con i primi lavori per una storia della città di Roma nella tarda antichità; nel 1772 avvenne un cambiamento nella concezione dell’opera: dalla città all’Impero, un cambiamento che è documentato nella stesura delle General Observations on the Fall of the Roman Empire in the West che risale alla seconda metà dell’anno 177222.
Il primo volume della History of the Decline and Fall of the Roman Empire uscì nel 1776 in sedici capitoli, che si chiudono con l’esame della politica perseguita dallo Stato romano pagano nei confronti dei cristiani, da Nerone fino ai primi anni di Costantino23. Queste parti del primo volume suscitarono una forte polemica24 e portarono a numerose pubblicazioni indirizzate contro Gibbon, alle quali egli stesso rispose con una replica pubblicata nel 177925. Nel 1781 uscirono il secondo e il terzo volume. Il secondo volume iniziava con la fondazione di Costantinopoli e conteneva tra l’altro, nel diciottesimo capitolo, delle riflessioni sul carattere di Costantino. Il libro finiva con il capitolo ventiseiesimo, dedicato alla storia degli unni e dei goti. Il terzo volume finiva con le General Observations scritte nel 1772, che Gibbon mise alla fine del capitolo trentotto, nel quale aveva prima trattato la conquista della Spagna, della Gallia e della Britannia da parte dei goti, franchi e sassoni.
La History ebbe un successo enorme; dopo che i mille esemplari della prima edizione furono venduti in pochissimo tempo, seguirono presto altre edizioni, fra cui traduzioni in varie lingue. Nel 1783 l’opera fu inserita nell’Index librorum prohibitorum; così facendo, la Congregazione romana per l’Indice dei libri proibiti dichiarò l’opera di Gibbon pericolosa quanto numerose opere di Voltaire26.
Fino al 1788 Gibbon proseguì, con il suo lavoro sulla History, a esporre l’andamento della storia della caduta dell’Impero romano d’Occidente fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453. Negli anni successivi e sotto l’influenza degli avvenimenti rivoluzionari in Francia, Gibbon, membro della Camera dei Comuni britannica dal 1774 al 1780 e poi dal 1781 al 1789, scrisse, oltre alle sue memorie, elaborate in più stesure e rimaste incomplete, soltanto piccoli abbozzi storici e schizzi27. Morì nel 1794 a cinquantasette anni.
Esaminando la genesi della History, Peter Ghosh ha evidenziato come il testo di Gibbon del 1772 fosse ancora fortemente caratterizzato dalla sua intenzione iniziale di dedicarsi alla storia tardoantica della città di Roma. I primi paragrafi delle General Observations oscillano tra la storia della città e quella dell’Impero ovvero trattano entrambi gli argomenti. Il fatto che Gibbon discuta subito, nei primi paragrafi, la questione di come la fondazione di Costantinopoli fu un elemento decisivo per il declino dell’Impero, è probabilmente dovuto, come spiega Ghosh, a questa graduale espansione del tema28. All’inizio delle sue General Oberservations Gibbon argomenta attraverso un modello semplice della decadenza, secondo il quale il crescente potere di Roma avrebbe condotto a una debolezza interna e di conseguenza al declino dell’Impero29. Essendo state le forze responsabili del declino così palesi, la questione davvero interessante non sarebbe quella dei motivi del declino dell’Impero, ma piuttosto perché esso poté esistere per tanto tempo30. Tuttavia, Gibbon si dedica all’analisi dei fattori che avrebbero indebolito l’Impero e individua come prima causa decisiva la crescente indisciplina e l’insubordinazione delle legioni, di cui rende responsabile anche lo stesso Costantino31. Solo dopo, nel secondo volume della History, Gibbon spiegherà meglio che cosa intendeva dire con l’indebolimento del potere militare.
Gibbon descrive la fondazione di Costantinopoli come una «novità pericolosa» perché, in seguito alla fondazione della città, da una parte il potere dell’Impero sarebbe stato diviso e quindi diminuito ma, dall’altra, si sarebbero raddoppiate le debolezze del sistema politico32. Lo storico nomina anche effetti positivi: Costantinopoli avrebbe fermato per molto tempo le invasioni barbariche e in questo modo avrebbe potuto mettere in sicurezza la parte orientale dell’Impero romano33. Considerati i giudizi negativi sulla fondazione di Costantinopoli dati da Montesquieu e da Voltaire34, il giudizio di Gibbon è sorprendente e mostra per la prima volta come Gibbon non abbia adottato l’immagine semplificata di Costantino da parte dell’Illuminismo francese, ma sia giunto a un giudizio molto più differenziato sull’imperatore.
Dopo essersi dedicato a Costantino, Gibbon tratta del cristianesimo e con ciò di un altro argomento, in questo caso la storia ecclesiastica, sul quale era preparato molto bene grazie ai suoi studi precedenti35, e che doveva avere un ruolo importante nella sua History: visto che la religione cristiana, come ogni altra religione, promette una vita beata, non fu strano che la diffusione del cristianesimo ebbe delle ripercussioni sulla storia politica dell’Impero romano e sul suo declino, poiché il clero indirizzò l’attenzione e le forze degli uomini sull’aldilà, distruggendo in questo modo le forze morali e militari della società romana36.
A questo punto seguono gli argomenti già noti in Voltaire37: i mezzi finanziari dell’Impero sarebbero andati alle chiese e ai monasteri, e le dispute teologiche avrebbero coinvolto l’intera società; oltre a ciò, gli imperatori si sarebbero presi cura più del clero che dell’esercito38. Tuttavia, Gibbon riesce a vedere in questo sviluppo anche degli effetti positivi che si sarebbero mostrati sia all’interno sia all’esterno dell’Impero, poiché, mentre i sudditi cristiani avrebbero ubbidito volentieri a un imperatore ortodosso, contemporaneamente la religione cristiana avrebbe avuto un effetto salutare e mitigante sui conquistatori germanici39. La conclusione di Gibbon è quindi la seguente: «Se la conversione di Costantino accelerò la decadenza dell’impero romano, la sua vittoriosa religione frenò la violenza della caduta e addolcì la feroce indole dei conquistatori»40.
Dopo queste riflessioni Gibbon sottolinea la singolarità degli avvenimenti nella tarda antichità; l’Europa contemporanea non sarebbe minacciata dal pericolo di un simile declino41 perché, mentre l’Impero tardoantico sarebbe stato minacciato a nord e a est da un gran numero di popoli barbarici, un tale pericolo non esisterebbe quasi più per gli Stati europei contemporanei, soprattutto perché gli Stati cristiani sarebbero nati proprio nei luoghi dai quali una volta partì il pericolo per i romani. Il dispotico Impero romano sarebbe anche rimasto senza un’alternativa politica, mentre ai tempi di Gibbon già solo la pluralità delle forze europee, e con esse la concorrenza per il progresso culturale e per la libertà politica, avrebbero provveduto a escludere una nuova decadenza come quella della tarda antichità42. Infine, gli errori nella politica militare commessi da Costantino non avrebbero, nel presente, alcuna conseguenza poiché, se Costantino, favorendo i barbari, distrusse le difese dei romani43, la sopravvivenza politica di uno Stato contemporaneo non dipendeva più dalla forza fisica dei suoi soldati, ma dalle capacità tecniche. L’Europa sarebbe quindi «sicura da ogni futura invasione di barbari, giacché prima di poter conquistare, debbono cessare di essere barbari»44.
Nel capitolo quattordici del primo volume della History, in cui Gibbon espone la storia dell’Impero tardoantico dall’abdicazione di Diocleziano alla riunificazione dell’Impero sotto il governo di Costantino, si trovano una serie di affermazioni chiaramente positive sull’imperatore. Si potrebbe pensare che Gibbon, consapevolmente, non abbia fatto propria la critica di Costantino da parte degli illuministi francesi per non provocare una reazione ancora più forte nei confronti del suo libro; una critica che era prevedibile se si considerano i capitoli quindici e sedici che trattano della diffusione della religione cristiana e della politica anticristiana degli imperatori fino a Diocleziano, poiché è evidente che lo storico rinuncia ampiamente a ogni riferimento agli aspetti religiosi collegati alla presa di potere da parte di Costantino. Nel primo volume non è fatta parola della visione alla vigilia della battaglia di ponte Milvio; Gibbon ricorda solo in una nota il racconto di Eusebio sulle preghiere con cui Costantino avrebbe implorato la sua vittoria a Crisopoli45. Solo la frase conclusiva del capitolo quattordici46 e un paragrafo breve ma istruttivo nel capitolo sedici47 fanno riferimento alla politica religiosa dell’imperatore. A parte questa esclusione della storia religiosa, l’esposizione segue le linee fondamentali delle General Oberservations, con la loro immagine ambivalente di Costantino; anche nel capitolo quattordici si trovano, quindi, giudizi su Costantino sia positivi sia negativi. Quest’atteggiamento comincia fin dall’osservazione che non si può dubitare dell’origine umile della madre di Costantino, Elena, ma che allo stesso tempo si può difendere la legalità del suo matrimonio con Costanzo48. In base all’Anonimo Valesiano, Gibbon prende atto della cultura superficiale del giovane Costantino, per poi evidenziare la sua statura «maestosa», la sua abilità in tutti gli esercizi, il suo coraggio bellico e la sua socievolezza. Accanto a queste caratteristiche positive, Gibbon ricorda l’ambizione di Costantino49, che egli spiegherà e giustificherà più tardi, nel secondo volume.
Secondo Gibbon, la proclamazione di Costantino nel 306 d.C. corrispondeva all’idea generale e diffusa di una successione dal padre al figlio; con questo riferimento fa cadere implicitamente la critica sull’usurpazione di Costantino, formulata per esempio da Voltaire50. Inoltre, sarebbe da ponderare il fatto che Costantino avrebbe potuto guadagnare la sicurezza della sua stessa persona soltanto assumendo il potere51. Nel contesto delle tensioni e dei confronti militari tra Galerio e Massenzio, Gibbon fa apparire Costantino come un politico abile e sensato che non si sarebbe fatto strumentalizzare da Galerio contro Massenzio52.
Ancora una volta, si è portati a pensare al ruvido giudizio dato da Voltaire su Costantino in relazione all’omicidio dei suoi familiari da lui ordinato, o in generale alla crudeltà dell’imperatore, mentre si leggono le esposizioni che relativizzano l’eliminazione di Massimiano53 o l’esecuzione dei re dei franchi e degli alemanni nell’anfiteatro di Treviri54. Lo sforzo continuo di Gibbon per giungere a un giudizio equilibrato su Costantino si manifesta anche nella trattazione della rappresaglia che Costantino, dopo la sua vittoria su Massenzio, scatenò contro i suoi seguaci e che Gibbon ritiene politicamente giustificabile55.
Studiando gli epiteti con i quali Gibbon illustra il carattere, le abilità e i successi di Costantino in questo quattordicesimo capitolo, si scopre che essi tendono, nonostante il tono ironico56, a lodare l’imperatore, e solo il secondo volume della History chiarisce che Gibbon vuole limitare questo panegirico alla prima metà del regno di Costantino. Per esempio, Gibbon dichiara che Costantino si sarebbe distinto già nel 306 «by a dangerous superiority of merit» e che avrebbe perciò meritato di partecipare al potere57; più avanti, egli descrive Costantino non solo come «artful prince»58 ovvero – in relazione con il condono delle tasse per Autun – come «bountiful emperor»59, ma, confrontandolo con Massenzio, lo elogia anche per le sue virtù60. Alla vigilia della guerra contro Massenzio Costantino appare come «wise prince»61 e durante la guerra come un condottiero dotato62, la cui rapida conquista dell’Italia reggerebbe il paragone con l’arte bellica di Cesare63. Anche durante la battaglia alle porte di Roma l’imperatore si rivela un condottiero coraggioso e abile64, mentre nel conflitto con Licinio si sarebbe mostrato addirittura il «genio […] di Costantino»65. Risulta però ambivalente il giudizio che Gibbon dà sull’atteggiamento di Costantino verso il diritto e la legge; anche se egli parla dell’«umanità» («humanity») dell’imperatore, che avrebbe revocato alcune sentenze penali concedendo la grazia66, critica nello stesso tempo il fatto che, agendo in tal modo, Costantino avrebbe soltanto attenuato le sue leggi eccessivamente dure67.
Alla fine del capitolo quattordicesimo Gibbon si giustifica di aver trattato in modo così esauriente l’ascesa di Costantino: ciò sarebbe stato necessario perché le grandi perdite di vite umane e di risorse finanziarie, il prezzo della lotta per il potere all’interno dell’Impero romano, avrebbero contribuito al declino dell’Impero stesso, e perché le conseguenze immediate di queste lotte sarebbero state la fondazione di Costantinopoli e la promozione del cristianesimo da parte dell’imperatore68. Gibbon riprende qui la traccia delle sue General Obervations, ma la realizzazione contenutistica di questi fattori di ordine più generale, rispetto alla storia degli avvenimenti, avviene soltanto nel secondo volume della sua History, pubblicato solo nel 1781, cinque anni dopo il primo. Dopo aver giudicato positivamente Costantino in ampi tratti del capitolo quattordicesimo – un giudizio a cui Gibbon giunse dopo aver studiato la prima metà del regno di Costantino – l’autore sembra ripensare al ruolo in fondo negativo attribuito all’imperatore nella storia di «decline and fall». Allo stesso tempo, la frase conclusiva del capitolo quattordicesimo conduceva agli ultimi due capitoli del primo volume, nel quale Gibbon esponeva e spiegava l’ascesa della nuova religione cristiana e la reazione degli imperatori pagani.
Dopo aver letto il primo volume, il lettore avrebbe potuto aspettarsi di trovare finalmente, nel secondo, un giudizio sulla politica religiosa del primo imperatore cristiano. Gibbon risponde subito a quella comprensibile attesa nelle prime righe del primo capitolo; tuttavia, egli rimanda nuovamente la risposta spiegando che, trattando di Costantino, era necessario prima descrivere le «istituzioni politiche» con cui l’imperatore riuscì a consolidare l’Impero, e che bisognava trattare solo in un secondo momento le guerre e le trasformazioni che avrebbero accelerato il declino dello stesso Impero. Solo alla fine ci si doveva dedicare all’argomento delle «faccende ecclesiastiche» («ecclesiastical affairs»), cioè la vittoria del cristianesimo e i conflitti all’interno della Chiesa69. Gibbon riprende tali questioni solo dopo alcuni capitoli e dopo aver descritto il regno di Costanzo e gli inizi di quello di Giuliano. Gibbon colloca in questo modo l’argomento fondamentale della tarda antichità, la conversione di Costantino, tra gli inizi di Giuliano e la sua seguente apostasia (che tratta nel ventitreesimo capitolo), dando così una disposizione insolita alla sua intera opera70. Invece di confrontarsi con la religione e la politica religiosa di Costantino, Gibbon si dedica prima alla fondazione di Costantinopoli, che giudica una prova dell’ambizione e della sete di gloria dell’imperatore71, ma nello stesso tempo un atto vantaggioso per la parte orientale dell’Impero romano72, come aveva già fatto nelle sue General Observations. Tuttavia, sempre più risaltano gli aspetti negativi che Gibbon riconosce nella seconda metà del regno di Costantino. In relazione con la rapina di opere d’arte che Costantino ordinò per l’abbellimento della sua nuova città, Gibbon nota che il regime tirannico dei sovrani tardoantichi avrebbe soffocato ogni creatività artistica73. L’approvvigionamento di grano per Costantinopoli spinge Gibbon a paragonare Costantino con Augusto, il quale fa apparire l’imperatore cristiano in una cattiva luce nei confronti del fondatore del principato, perché le sue misure non potevano essere spiegate con la necessità di consolidare il proprio governo contro le tradizioni e le forze repubblicane74.
Con ciò si apre una serie di critiche con le quali Gibbon giudica la corte imperiale, l’amministrazione e il mondo militare: il racconto di Gibbon va dalla «pomposa ostentazione delle corti dell’Asia» che avrebbe rovinato «la semplicità dei costumi romani»75, dalla scelta dei consoli fatta apertamente dagli imperatori76 e dalle spese per una quota più ampia di province77, fino alla separazione dell’amministrazione civile e militare da parte di Costantino, fatto che permette nuovamente a Gibbon di dare un giudizio ambivalente e tipico per il suo modo di trattare Costantino. La separazione del potere civile e militare avrebbe consolidato la posizione dell’imperatore78, ma nello stesso tempo avrebbe indebolito la forza di resistenza delle province contro gli attacchi dei barbari. Così, Gibbon arriva al mondo militare e di nuovo a un aspetto che ha menzionato nelle General Observations, ma che non ha mai elaborato.
Dopo essere giunto all’autocrazia, l’imperatore, secondo Gibbon, avrebbe dovuto cogliere l’occasione per rinnovare l’antica disciplina e per posizionare tutte le truppe lungo il confine. Le città all’interno dell’Impero, invece, avrebbero sofferto molto a causa dell’acquartieramento79, mentre le fortezze lungo il confine sarebbero state trascurate; così, si sarebbe svelata rapidamente la debolezza, ormai irreparabile, della difesa romana. È per questo che Gibbon parla di una «ferita mortale» che Costantino avrebbe inferto all’Impero attraverso la sua fallimentare politica militare80, che avrebbe riguardato anche la diminuzione delle legioni fatta da Costantino per evitare delle ribellioni dalla parte delle stesse legioni81. L’imperatore, che durante gli anni della sua ascesa sembrava essere un condottiero coraggioso e abile, si trasformò dunque in un despota timoroso, che ha minato le fondamenta dell’Impero soltanto per motivi egoistici. Nella spiegazione di Gibbon del declino dell’Impero romano d’Occidente82 si assommano, come è dimostrato chiaramente alla fine del capitolo diciassettesimo, le debolezze strutturali di un regime che, da Augusto in poi, è diventato sempre più despotico83, gli errori personali di Costantino e le minacce dall’esterno: da un lato c’è il regime tirannico di un monarca e «il rilassamento della disciplina» da lui causato; in più, una tassazione sempre più pesante e, d’altro lato, «la minacciosa tempesta dei barbari, che così presto avrebbe distrutto le fondamenta della grandezza romana»84.
Prima di dedicarsi alla politica religiosa di Costantino nel capitolo ventesimo, nel diciottesimo Gibbon presenta un’ampia caratterizzazione dell’imperatore. Dato che egli sarebbe stato esaltato dai cristiani ed eccessivamente insultato dai pagani, e dato che questi giudizi contrari si sarebbero mantenuti fino al presente85, il lettore potrebbe pensare che si possa rendere giustizia a Costantino unendo i lati positivi ammessi dai suoi nemici con i lati negativi ammessi dai suoi seguaci. Una tale caratterizzazione sarebbe però sbagliata, perché non prenderebbe in considerazione i cambiamenti del carattere di Costantino. Al contrario dell’immagine negativa e statica di Voltaire, Gibbon delinea uno sviluppo personale dell’imperatore, come è stato mostrato prima trattando delle sue decisioni politiche86. Gibbon segue Eutropio e Aurelio Vittore, che avevano entrambi distinto tra una prima fase positiva del regno di Costantino e una seconda fase negativa (Eutropio) ovvero una seconda fase e ancora una terza fase particolarmente negativa (Aurelio Vittore)87.
Gibbon inizia con la descrizione delle virtù e degli errori di Costantino, evidenziando per prima cosa le grandi capacità mentali e la forza fisica dell’imperatore. Con il suo stile di vita temperato, la sua capacità di stringere amicizie, la sua passione per lo studio, il suo interesse per la scienza e l’arte, la sua preoccupazione continua per l’Impero e la sua grande capacità politica, l’imperatore di Gibbon sembra essere un regnante modello, tanto più perché avrebbe anche dimostrato le sue capacità militari88. Gibbon mostra anche, diversamente da Voltaire, comprensione per la sua grande ambizione («boundless ambition»), che si poteva riconoscere da quando Costantino aveva assunto il potere; il motivo di questa ambizione si troverebbe non da ultimo nei pericoli ai cui Costantino sarebbe stato esposto nella lotta per il potere89.
Nell’arco del suo governo Costantino, adorato per molto tempo dai suoi sudditi, si sarebbe trasformato in un monarca crudele90, rappresentando così l’immagine contrapposta di Augusto, il quale si sarebbe, di suo, trasformato da un governatore tirannico in un «padre della patria». L’autocrazia di Costantino sarebbe stata caratterizzata da avidità e spreco, da costi elevatissimi per l’edilizia, dalla corte e dai favoritismi, e nell’Impero si sarebbero diffusi la corruzione e la decadenza dell’amministrazione, mentre alla corte imperiale – già con Diocleziano, ma ancora di più con Costantino – sarebbe arrivata una «pompa asiatica» («asiatic pomp»)91. Gibbon si avvicina ormai al giudizio di Voltaire, quando osserva, con lo sguardo diretto agli omicidi di Massimiano e di Licinio, che l’imperatore avrebbe sacrificato la legge e i sentimenti umani ai suoi interessi personali di potere92. Il fatto che Gibbon inizi subito a parlare della presunta discendenza di Costantino da Claudio il Gotico, da lui ritenuta vera, conferma l’impressione che lo stesso Gibbon si trovi in un confronto continuo con la critica illuminista a Costantino: con questo argomento genealogico, egli rifiuta indirettamente l’accusa di usurpazione sollevata contro Costantino, un’accusa che aveva già ritenuto ingiustificata nelle sue General Observations93. Infine, Gibbon argomenta in modo lievemente apologetico quando comincia a parlare dell’esecuzione di Crispo e di Fausta94. Crispo appare come una vittima del governo autocratico di Costantino, durante il quale l’imperatore, che temeva per il suo potere, desiderava e favoriva le denunce; la stessa Fausta potrebbe essere una vittima della vendetta di Costantino. Gibbon considera anche la possibilità che Fausta fosse sopravvissuta all’anno 326, facendo erroneamente riferimento alla Monodia in Constantinum95. L’opera però non risale al IV secolo, ma al XIII secolo d.C., e non si riferisce a Costantino II ma probabilmente a Teodoro Paleologo. Già nel 1727 Petrus Wesseling aveva fatto questa rettifica nelle sue Observationes variae96.
Le prime righe del capitolo ventesimo si leggono come una presa di posizione nei confronti delle controversie suscitate dal primo volume della History con i suoi capitoli sulla storia della Chiesa cristiana. Essi creano un collegamento tra la storia ecclesiastica e Costantino, facendo riferimento agli effetti ancora attuali della politica religiosa dell’imperatore:
L’avvento del cristianesimo a religione di stato si può considerare come uno dei più importanti rivolgimenti interni; esso eccita il più vivo interesse e offre il più prezioso insegnamento. Le vittorie e la politica di Costantino non influiscono più sullo stato dell’Europa; ma una parte considerevole della terra conserva tuttora l’impronta ricevuta per la conversione di questo monarca, e le istituzioni ecclesiastiche del suo regno sono tuttora congiunte da una catena infrangibile con le opinioni, le passioni e gl’interessi del nostro tempo97.
Con queste parole inizia un lungo paragrafo nel secondo volume che, partendo dalla questione del momento esatto della conversione di Costantino, segue dettagliatamente lo sviluppo religioso di Costantino e la sua politica religiosa98, per trattare infine in modo esauriente, nel capitolo ventunesimo, anche delle scissioni delle Chiese causate dal donatismo e dall’arianesimo. In questo modo Gibbon collega la questione dell’atteggiamento personale dell’imperatore con gli effetti della conversione di Costantino al cristianesimo sulla politica interna dell’Impero romano. L’interpretazione di Gibbon di questa «important revolution» per mano di Costantino si basa sulla distinzione tra un effetto, l’uno positivo di breve durata e l’altro negativo di lunga durata, della cristianizzazione dell’Impero romano. Egli va ancora una volta oltre le semplificazioni dell’Illuminismo francese, invitando i suoi lettori a prendere atto della religiosità tipica del IV secolo d.C., e trasformando in questo modo Costantino in un problema della ricerca storica, sottraendolo dal giudizio polemico e politico-religioso. Inoltre, Gibbon prende sul serio il programma formulato, rifiutando ogni racconto tradizionale sull’esperienza della conversione dell’imperatore (come il racconto della visione nella Vita Constantini di Eusebio) in quanto spiegazione insufficiente, e facendo invece riferimento alla necessità di rintracciare la «lenta e quasi impercettibile evoluzione, per cui l’imperatore giunse a dichiararsi protettore e finalmente proselito della chiesa»99. Gibbon chiarisce che Costantino, per un lungo periodo, riconobbe nel Sol Invictus ovvero in Apollo la sua divinità protettiva; egli vede nel panegirico del 310 una prova chiara della «superstizione pagana» di Costantino100. Con la conferma dell’editto di Galerio (quindi con il cosiddetto editto di Milano), annunciato nel 313 d.C. insieme a Licinio, Costantino potrebbe aver fatto un passo in avanti e potrebbe aver raggiunto una fede monoteista a sfondo filosofico, che venera negli svariati riti e nomi divini un’unica divinità creatrice101. Con questa posizione religiosa, per Costantino potrebbe essere stato facile favorire il cristianesimo, soprattutto perché avrebbe riconosciuto il potenziale politico ovvero l’utilità morale di questa fede per la società, perché la tendenza peculiare dei cristiani a ubbidire doveva, secondo Gibbon, apparire al monarca assoluto come la virtù straordinaria di questa comunità di fedeli. L’imperatore non avrebbe potuto trovare una legittimazione migliore dell’idea cristiana del potere per la sua posizione, che egli aveva raggiunto con violenza102. Anche per questo Gibbon addebita a Costantino dei «motivi egoistici» («interested motives»)103, i quali potrebbero aver creato le tradizioni cristiane sul sogno di Costantino o sulla visione della battaglia di ponte Milvio, anche se Gibbon non intende respingere a tutti i costi il sogno raccontato da Lattanzio104, e fa riferimento alla mentalità del IV secolo, aperta a tali esperienze visionarie descritte da Eusebio e da Nazario. Non si tratterebbe, qui, di giudicare con i criteri dell’Illuminismo:
I lettori protestanti e riflessivi del nostro tempo saranno inclini a credere che Costantino, narrando la propria conversione, abbia attestato una falsità intenzionale con un solenne e deliberato spergiuro. Essi non esiteranno a dichiarare che, nella scelta di una religione, egli era animato soltanto dall’interesse e che (secondo l’espressione di un poeta profano) si servì degli altari della chiesa come di un comodo sgabello al trono dell’impero. Una conclusione così aspra e assoluta non è tuttavia avallata dalla nostra conoscenza della natura di Costantino, o del cristianesimo. In un tempo di fervore religioso, si osserva che i capi più astuti sentono un poco di quell’entusiasmo che ispirano agli altri105.
In rapporto a Costantino ciò significa che l’imperatore avrà avuto dei motivi politici per la sua decisione a favore del cristianesimo, ma che questi non bastano per spiegare in modo sufficiente l’attenzione al cristianesimo prestato da Costantino. Da un’adozione esterna della nuova religione poteva essere certamente nata una vera fede106. Con il rifiuto del sacrificio pagano a Giove durante il suo ultimo soggiorno a Roma nel 326, Costantino avrebbe chiaramente e inequivocabilmente resa chiara la sua appartenenza alla fede cristiana107. Se Gibbon ha delineato in modo esauriente lo sviluppo religioso di Costantino nel corso di queste esposizioni, egli applica anche a questo aspetto della storia dell’imperatore lo schema bipartito di una fase inizialmente positiva e poi negativa108. Nel periodo del concilio di Nicea si verificarono gli omicidi dei familiari; con il ritardo del battesimo, che presumibilmente assolve da tutti i peccati l’imperatore, egli avrebbe non solo dato un esempio pessimo per i futuri sovrani, ma avrebbe anche distrutto i fondamenti della morale109.
A un livello superiore, quello della storia dell’Impero romano, la politica religiosa di Costantino portò a conseguenze diverse: mentre la diffusione della religione cristiana tra i popoli germanici trasmetteva loro «le lezioni della fede e dell’umanità» («the lessons of faith and of humanity»)110, la cristianizzazione all’interno dell’Impero portò alla divisione tra potere temporale e potere spirituale contribuendo così, nel medio termine, all’indebolimento dell’Impero stesso. Gibbon osserva che Costantino e i suoi successori rimasero fedeli alla «prerogativa imperiale»111, ma a lunga scadenza sarebbe diventato sempre più chiaro che l’alleanza, desiderata da Costantino, dello Stato con la Chiesa, che rappresentava «una distinta e indipendente società», alla lunga non avrebbe potuto resistere112. Nell’ordinazione autonoma dei chierici e, di conseguenza, nella crescita del ceto ecclesiastico, nei privilegi sempre più estesi e nel mantenimento del clero, nel diritto di proprietà della Chiesa, nella giurisdizione e nella potestà in ambito penale all’interno della Chiesa, Gibbon riconosce delle forze che minacciavano l’equilibrio dello Stato dall’interno113. Risulta particolarmente interessante che Gibbon non solo valuti il suffragio dei membri della comunità come diritto repubblicano ovvero come diritto democratico, che non sarebbe esistito più nello Stato, ma avrebbe avuto una continuazione all’interno della Chiesa114, ma anche che egli veda nelle prediche un rinnovo della vecchia libertà repubblicana di parola, in modo che la Chiesa cristiana poteva più volte mettere in dubbio in tutto l’Impero l’autorità del sovrano assoluto115.
Non c’è da meravigliarsi che la memoria dell’imperatore sia stata onorata dai membri della Chiesa, considerato il grande favore concesso da Costantino al cristianesimo:
La chiesa, riconoscente a un principe che ne favorì le passioni e ne promosse gl’interessi, ha consacrato con le sue lodi la memoria di Costantino. Egli le diede sicurezza, ricchezza, onori e soddisfazione, e considerò la difesa della fede ortodossa come il più sacro e importante dovere d’un magistrato civile116.
Con queste frasi Gibbon inizia il capitolo ventunesimo, l’ultimo in cui si occupa di Costantino. Lo storico si dedica agli scismi all’interno della Chiesa e alle eresie, e dimostra come il liberatore della Chiesa cristiana sia diventato, o meglio sia dovuto diventare, il persecutore di quei cristiani che non hanno voluto seguire la confessione della Chiesa che è stata definita come quella ortodossa. In tutto questo, lo scisma donatista rappresenta il problema minore, limitandosi al Nordafrica, mentre «il male […] della controversia sulla trinità» («the mischief of the Trinitarian controversy») avrebbe coinvolto l’intero mondo cristiano117. Al più tardi all’indomani del concilio di Nicea divenne chiaro che l’autorità imperiale, ovvero il dispotismo imperiale118, non riuscì a ottenere più di tanto nel risolvere la questione dogmatica nata dall’unione della filosofia greca con la fede cristiana e che oltretutto superava la forza conoscitiva dello spirito umano119, e che il tentativo dell’imperatore di imporre un dogma con ogni mezzo rafforzò la resistenza negli altri gruppi cristiani120. Con la decisione di impegnarsi in tale questione dogmatica l’imperatore si era avventurato in un problema che non poteva risolvere nei suoi contenuti e che, soprattutto a causa del suo futuro ondeggiamento tra ortodossia e arianesimo, ha fatto apparire debole lo stesso imperatore121. Gibbon illustra attraverso la valutazione particolareggiata dell’«immortale» Atanasio, che divenne il principale avversario spirituale del potere imperiale, quali pericoli potevano nascere per l’Impero in questo ambito122. Finché si confrontavano Costantino e Atanasio le forze erano equamente distribuite123, ma da Costanzo in poi si mostrarono, nel conflitto continuo con e per Atanasio, i nuovi limiti del potere imperiale124. Inoltre, per Gibbon la controversia sull’arianesimo testimonia la dinamica distruttiva con cui le questioni sul dogma cristiano potevano scuotere le fondamenta della società romana tardoantica125; a questo proposito egli parla della distruzione «delle viscere dell’impero»126. Anche nell’Africa del Nord la politica religiosa di Costantino avrebbe avuto delle conseguenze negative che sarebbero andate oltre il suo stesso governo, facendo precipitare questa parte dell’Impero in una persistente confusione religiosa127. Costantino si sarebbe mostrato un abile monarca («artful monarch») soltanto nei rapporti con i pagani, assicurando da un lato alla religione tradizionale la tutela imperiale, e dall’altro lato indebolendola in modo consapevole e mirato con interventi parziali, per esempio attraverso il divieto dell’arte divinatoria o della prostituzione presso i templi128. Per gli storici che hanno scritto le loro opere dopo Gibbon e che si sono occupati della tarda antichità, del declino dell’Impero romano occidentale o di Costantino, la History di Gibbon era ed è ancora una sfida, perché ha posto la critica di Costantino dell’Illuminismo francese su una base scientifica. Al posto della polemica, Gibbon si è talvolta servito dell’ironia, ma ha preso sul serio il primo imperatore cristiano come personaggio storico da comprendere con gli occhi della sua epoca. La sua immagine di Costantino influenzò Jacob Burckhardt129 come anche Theodor Mommsen e numerosi altri storici dell’Ottocento e del Novecento130. Johannes Straub ha descritto in modo appropriato il significato di Gibbon per lo studio dell’epoca costantiniana con le seguenti parole:
Non appena Gibbon mette in secondo piano il pre-giudizio di principio a favore dell’interesse per le intenzioni e le decisioni di Costantino, egli apre, con i risultati delle sue osservazioni e delle sue riflessioni critiche, la porta verso una nuova comprensione ‘dell’ideatore della svolta’ e diventa il precursore della ricerca moderna su Costantino131.
1 Sull’immagine di Costantino da parte di Gibbon si veda: G. Giarrizzo, Edward Gibbon e la Cultura Europea del Settecento, Napoli 1954, pp. 274-279; D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’ and the Fall of Rome, in History and Theorie, 8 (1969), pp. 71-96; J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, in Gibbon et Rome à la lumière de l’Historiographie moderne, éd. par P. Ducrey, Genève 1977, pp. 159-185 (ora in J. Straub, Regeneratio imperii. Aufsätze über Roms Kaisertum und Reich im Spiegel der heidnischen und christlichen Publizistik, II, Darmstadt 1986, pp. 252-282); B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, 1772-1794, Baltimore 1989, pp. 102-112; F. Paschoud, Gibbon et Constantin, in International Journal of the Classical Tradition, 15 (2008), pp. 173-186; H. Schlange-Schöningen, “Der Bösewicht im Räuberstaat” – Grundzüge der neuzeitlichen Wirkungsgeschichte Konstantins des Großen, in Konstantin der Grosse. Das Bild des Kaisers im Wandel der Zeiten, hrsg. von A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Köln 2008, pp. 231-234.
2 Le citazioni da Gibbon sono tratte dalla traduzione italiana Storia della Decadenza e Caduta dell’Impero Romano, Torino 1967. Si tenga in ogni caso presente la più recente edizione critica di D. Womersley: E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 3 voll., London 1991.
3 Sul giansenista Louis-Sébastien Le Nain de Tillemont, le cui opere sono state utilizzate da Gibbon in modo capillare per la sua History, si veda ad esempio A. Momigliano, Eighteenth-Century Prelude to Mr. Gibbon, in Gibbon et Rome, cit., p. 62; F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., pp. 174-175; G.W Bowersock, Gibbon’s Historical Imagination, in The American Scholar, 57 (1988), pp. 33-47, ora in Id., From Gibbon to Auden. Essays on the Classical Tradition, Oxford 2009, pp. 3-19, in partic. 7-8. Sull’uso delle fonti da parte di Gibbon si veda A. Momigliano, Gibbon’s Contribution to Historical Method, in Historia, 2 (1954), pp. 450-463, poi in Id., Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1955, pp. 195-211, in partic. 195-198.
4 Sulla biografia di Gibbon si veda K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff. Leben und Werk führender Althistoriker der Neuzeit, Darmstadt 1972, pp. 8-15; P.B. Craddock, Young Edward Gibbon. Gentleman of Letters, Baltimore 1982; Id., Edward Gibbon. Luminous Historian, cit.; NP Suppl. VI (2012), W. Nippel, s.v. Edward Gibbon, cc. 467-471.
5 The Autobiographies of Edward Gibbon, ed by J. Murray, London 18972; si veda D. Womersley, Gibbon’s ‘Memoirs’: Autobiography in Time of Revolution, in Edward Gibbon. Bicentenary essays, ed. by D. Womersley, J.W. Burrow, J.G.A. Pocock, Oxford 1997, pp. 347-404; D. Womersley, Gibbon and the ‘Watchmen of the Holy City’. The Historian and His Reputation 1776-1815, Oxford 2002; G.W. Bowersock, Watchmen. Gibbon’s Autobiographies, in Essays in Criticism, 53 (2003), pp. 82-91, ora in Id., From Gibbon to Auden, cit., pp. 43-51.
6 E. Gibbon, Memoirs of My Life, éd. par G.A. Bonnard, London 1966, pp. 48-49, 55; si veda D. Womersley, Gibbon and the ‘Watchmen of the Holy City’, cit., pp. 257-334; G.W. Bowersock, Watchmen. Gibbon’s Autobiographies, cit., p. 48.
7 Si veda B. Young, Gibbon, Newman and the religious accuracy of the historian, in Edward Gibbon. Bicentenary essays, cit., p. 318.
8 Si veda D. Wootton, Narrative, irony, and faith in Gibbon’s ‘Decline and Fall’, in Edward Gibbon. Bicentenary essays, cit., p. 215.
9 E. Gibbon, Memoirs of My Life, cit., pp. 58-60; si veda P.B. Craddock, Young Edward Gibbon, cit., p. 50.
10 Si veda E. Giddey, Gibbon à Lausanne, in Gibbon et Rome, cit., pp. 23-45.
11 E. Gibbon, Memoirs of My life, cit., p. 74.
12 K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff, cit., p. 10.
13 E. Gibbon, Storia della Decadenza, cit., I, pp. 692-733.
14 E. Gibbon, Memoirs of My life, cit., pp. 82-84; si veda E. Giddey, Gibbon à Lausanne, cit., p. 29.
15 E. Gibbon, Essai sur l’étude de la littérature. A Critical Edition, ed. by R. Mankin, Oxford 2010.
16 Sul significato di quest’opera per la History di Gibbon si veda P.R. Ghosh, Gibbon Observed, in The Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 138, 141, 146; Id., The Conception of Gibbon’s History, in Edward Gibbon and Empire, ed. by R. McKitterick, R. Quinault, Cambridge 1997, pp. 271-275; D. Wootton, Narrative, Irony, and Faith, cit., pp. 209-210.
17 E. Gibbon, Memoirs of My life, cit., pp. 101-102.
18 Ivi, pp. 125-127. Si veda P.B. Craddock, Young Edward Gibbon, cit., pp. 167-171; G. Imbruglia, ‘My ecclesiastical history’: Gibbon between Hume and Raynal, in Edward Gibbon. Bicentenary Essays, cit., pp. 73-74, 83; P. Blom, Böse Philosophen. Ein Salon in Paris und das vergessene Erbe der Aufklärung, München 2011, p. 220.
19 E. Gibbon, Memoirs of My life, cit., p. 136: «In my Journal the place and moment of conception are recorded; the fifteenth of October 1764, in the close of evening, as I sat musing in the Church of the Zoccolanti of Franciscan fryars, while they were singings Vespers in the Temple of Jupiter on the ruins of the Capitol. But my original plan was circumscribed to the decay of the City, rather than of the Empire». Si veda P.R. Ghosh, Gibbon’s Dark Ages: Some Remarks on the Genesis of the ‘Decline and Fall’, in The Journal of Roman Studies, 73 (1983), pp. 1-23, in partic. 5-7.
20 Si veda P.R. Ghosh, Gibbon’s Dark Ages, cit., p. 8.
21 Ivi, pp. 13-14. Le opere minori di Gibbon sono state pubblicate da P.B. Craddock, The English Essays of Edward Gibbon, Oxford 1972.
22 P.R. Ghosh, Gibbon’s Dark Ages, cit., pp. 16-18.
23 Si veda F.C. Scheibe, Christentum und Kulturverfall im Geschichtsbild Edward Gibbons, in Archiv für Kulturgeschichte, 50 (1968), pp. 254-260; D. Womersley, The Transformation of The Decline and Fall of the Roman Empire, Cambridge 1988, pp. 99-133; P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 60-72; W. Nippel, Einführung, in Edward Gibbon. Verfall und Untergang der römischen Imperiums. Bis zum Ende des Reiches im Westen, hrsg. von W. Kumpmann, VI, München 2003, pp. 52-62.
24 Si veda S.T. McCloy, Gibbon’s Antagonism to Christianity and the Discussions that It Has Provoked, Chapel Hill 1933; Religious Scepticism. Contemporary Responses to Gibbon, ed. by D. Womersley, Bristol 1997.
25 E. Gibbon, A Vindication of Some Passages in the Fifteenth and Sixteenth Chapters of the History of the Decline and Fall of the Roman Empire, London 1779 (l’edizione in E. Gibbon, The History of the Decline, cit., III, pp. 1106-1184). Si veda P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 121-131; D. Womersley, Gibbon and the ‘Watchmen of the Holy City’, cit., pp. 43-99.
26 Si veda Index librorum prohibitorum 1600-1966, ed. by J.M. de Bujanda, Montreal 2002, pp. 384, 928-932; si veda anche S.T. McCloy, Gibbon’s Antagonism to Christianity, cit., p. 368.
27 Appartengono a questo gruppo di scritti per esempio il saggio breve su The Circumnavigation of Africa e l’opera molto più ampia delle Antiquities of the House of Brunswick, pubblicate in P.B. Craddock, The English Essays, cit., pp. 375-397, 398-531. Si veda P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 294-301.
28 P.R. Ghosh, Gibbon’s Dark Ages, cit., p. 18.
29 E. Gibbon, Storia della Decadenza, cit., II, cap. 38, p. 1415. Si veda D. Francesconi, Republican Memory and Imperial History: A Narrative Principle of Gibbon’s Decline and Fall, in The Modern Schoolman, 84 (2007), pp. 343-344.
30 E. Gibbon, Storia della Decadenza, II, cit., cap. 38, p. 1416: «La storia della sua rovina è semplice e ovvia, e anziché indagare perchè l’impero romano fu distrutto, dovremmo piuttosto meravigliarci che sia durato così a lungo».
31 Ivi, pp. 1416-1417: «Il vigore del governo militare fu indebolito e finalmente abbattuto dai parziali ordinamenti di Costantino e il mondo romano fu sommerso da un’inondazione di barbari».
32 Ivi, p. 1417: «Questa pericolosa novità diminuì la forza e fomentò i vizi d’un doppio regno, si moltiplicarono gli strumenti di un sistema oppressivo e arbitrario, e s’introdusse e mantenne una vana emulazione di fasto, non di merito, fra i degeneri successori di Teodosio».
33 Ivi, p. 1417: «Durante un lungo periodo di decadenza, la sua inespugnabile città respinse le armi vittoriose dei barbari, difese le ricchezze dell’Asia e dominò in pace e guerra l’importante stretto, che unisce l’Eusino al Mediterraneo. La fondazione di Costantinopoli contribuì più alla conservazione dell’Oriente, che alla rovina dell’Occidente». Si veda P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 107-108.
34 Si veda H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der französischen Aufklärung, in Kaiser Konstantin der Grosse. Historische Leistung und Rezeption in Europa, hrsg. von K.M. Girardet, Bonn 2007, pp. 164, 168; cfr. il contributo di H. Schlange-Schöningen, Voltaire e gli illuministi francesi, in questa stessa opera.
35 Si veda P.R. Ghosh, Gibbon’s Dark Ages, cit., p. 19; G. Imbruglia, ‘My ecclesiastical history’, cit., pp. 73-102.
36 E. Gibbon, Storia della Decadenza, II, cit., cap. 38, p. 1417: «Poichè la felicità d’una vita futura è il grande oggetto della religione, possiamo sentire senza sorpresa, o scandalo, che l’introduzione, o almeno l’abuso del cristianesimo esercitò un certo influsso sulla decadenza e caduta dell’impero romano. La Chiesa predicò con successo la dottrina della pazienza e della pusillanimità, le virtù attive della società furono scoraggiate e gli ultimi resti dello spirito militare andarono a seppellirsi nei conventi».
37 Si veda H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der französischen Aufklärung, cit., pp. 167-168; Id., Voltaire e gli illuministi francesi, cit.
38 E. Gibbon, Storia della Decadenza, II, cit., cap. 38, pp. 1417-1418.
39 Ivi, p. 1418: «I vescovi da milleottocento pulpiti inculcavano il dovere dell’obbedienza passiva al legittimo ortodosso sovrano; […] ma la pura e genuina influenza del cristianesimo si può scorgere nei suoi benefici sebben parziali effetti sui barbari del Settentrione».
40 Ivi, p. 1418. Si veda anche J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., p. 182.
41 E. Gibbon, Storia della Decadenza, II, cit., cap. 38, pp. 1418-1421.
42 Ivi, p. 1420.
43 Ivi, p. 1421: «Gli stati bellicosi dell’antichità, la Grecia, la Macedonia e Roma, educavano una razza di soldati, ne esercitavano i corpi, ne disciplinavano il coraggio, ne moltiplicavano le forze con regolari evoluzioni e convertivano il ferro che possedevano in forti e utili armi. Ma questa superiorità insensibilmente diminuì col decadere delle leggi e dei costumi e la debole politica di Costantino e dei suoi successori armò e istruì, per la rovina dell’impero, il rude valore dei mercenari barbari».
44 Ivi, p. 1421.
45 Ivi, I, cit., cap. 14, p. 396, nota 3.
46 Ivi, p. 397: «Le immediate e memorabili conseguenze di questo rivolgimento furono la fondazione di Costantinopoli e l’affermazione della religione cristiana».
47 Ivi, cap. 16, p. 509: «I motivi della sua conversione, quali si possono variamente dedurre dalla benevolenza, dalla politica, dalla convinzione o dal rimorso, ed i progressi di quella rivoluzione, che per la potente influenza sua e dei suoi figli fece divenire il cristianesimo la religione dominante dell’impero romano, formeranno un capitolo molto interessante nel terzo volume di questa storia». D. Womersley, Gibbon and the ‘Watchmen of the Holy City’, cit., pp. 32-37 ha mostrato come la discussione sulla posizione di Gibbon sul cristianesimo antico abbia influenzato il suo lavoro nella seconda e terza edizione della History e così anche la sua immagine di Costantino. Nella terza edizione del primo volume, uscita nel 1777, Gibbon ha modificato la formulazione originaria della frase e valutato diversamente i motivi della conversione di Costantino. La versione precedente metteva al primo posto la fede di Costantino come possibile spiegazione: «I motivi della sua conversione, quali si possono variamente dedurre dalla fede, dalla virtù, dalla politica, o dal rimorso» (ed. Womersley, VI, p. 1105).
48 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 14, p. 359: «Nonostante la recente tradizione, che le assegna per genitore un re britanno, siamo obbligati a riconoscere che Elena era figlia di un locandiere; ma possiamo in pari tempo sostenere la legittimità del suo matrimonio, contro quanti l’hanno rappresentata come concubina di Costanzo». Si veda F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., p. 184.
49 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 14, p. 359: «avendo l’animo gongio di ambizione».
50 Si veda H. Schlange-Schöningen, Das Bild Konstantins in der französischen Aufklärung, cit., p. 165; Id., Voltaire e gli illuministi francesi, cit.
51 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 14, p. 405: «Il trono era l’oggetto dei suoi desideri e quand’anche fosse stato meno animato dall’ambizione, il trono era per lui l’unico mezzo di salvezza. Egli conosceva bene il carattere e i sentimenti di Galerio e sapeva abbastanza bene che, se voleva vivere, doveva decidersi a regnare».
52 Ivi, p. 367: «Ma le azioni di Costantino erano guidate dalla ragione e non dal risentimento. Egli persisté nella saggia risoluzione di mantenere l’equilibrio del potere nel diviso impero».
53 Ivi, p. 370: Massimiano «meritò la sua sorte; ma si sarebbe preferito lodare l’umanità di Costantino, se questi avesse risparmiato quel vecchio benefattore di suo padre e padre di sua moglie».
54 Ivi, p. 372: «e pare che il popolo godesse dello spettacolo, senza trovare, in quel trattamento fatto a prigionieri reali, nulla che ripugnasse al diritto delle genti o alle leggi dell’umanità».
55 Ivi, p. 381: «Nell’uso della vittoria, Costantino non meritò la lode di clemente, né incorse nel biasimo di eccessivo rigore. Inflisse quel medesimo trattamento, al quale la sconfitta avrebbe esposto la sua persona e la sua famiglia: fece morire i due figli di Massenzio e ne sterminò accuratamente tutta la stirpe».
56 Si veda P. Gay, Style in History, London 1974, pp. 40-56 (sull’uso di artful da parte di Gibbon si veda in particolare pp. 45-46).
57 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 14, p. 362: «il diritto del suo merito superiore era stato riconosciuto».
58 Ivi, p. 369: «principe sagace».
59 Ivi, p. 372: «clemente imperatore»; Gibbon nota che «sembra che il regno di Costantino nella Gallia fosse l’epoca più innocente ed anche virtuosa della sua vita» (Ibidem). Si veda D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., p. 83.
60 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., p. 372.
61 Ivi, p. 374: «saggio principe».
62 Ivi, p. 376.
63 Ivi, p. 380: «Si è paragonata la celerità della marcia di Costantino alla rapida conquista d’Italia compiuta dal primo dei cesari; e questo lusinghiero parallelo non ripugna alla verità della storia, giacché non passarono più di cinquattotto giorni dalla resa di Verona alla definitiva decisione della guerra».
64 Ibidem.
65 Ivi, p. 389; sul coraggio di Costantino e sulla sua arte bellica nelle vesti condottiero si veda anche pp. 392 segg.
66 Ivi, p. 391.
67 Ivi, p. 392: «Tale era, infatti, l’indole singolare di questo imperatore, che si dimostrava tanto indulgente, ed anche trascurato nell’esecuzione delle sue leggi, quanto era severo, anzi crudele nel farle. Difficilmente è dato osservare un sintomo di debolezza più decisivo di questo nel carattere di un principe, o nella costituzione di un governo». Si veda anche la critica alle misure legislative di Costantino all’indomani della sua vittoria su Licinio, p. 397 nota 3: «Questi editti di Costantino dimostrano una passione e precipitazione, che molto poco si addicono al carattere di un legislatore».
68 Ivi, p. 397.
69 Ivi, cap. 17, p. 519: «La vittoria e le discordie intestine dei cristiani offrirono copioso e vario materiale, sia di edificazione, sia di scandalo». Si veda anche P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., p. 102.
70 Si veda G. Giarrizzo, Edward Gibbon e la Cultura Europea, cit., p. 278; D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., pp. 75-76; D. Womersley, The Transformation, cit., pp. 147-148; P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 105-106; F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., pp. 176-179.
71 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 17, p. 520.
72 Ivi, pp. 524-525: «La conservazione delle province orientali si può in certa misura attribuire alla politica di Costantino, in quanto i barbari dell’Eusino, che nel secolo precedente avevano mandato le loro navi nel cuore del Mediterraneo, ben presto desisterono dall’esercitare la pirateria, disperando di poter forzare quell’insormontabile ostacolo». Si veda anche P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., p. 108.
73 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 17, p. 528.
74 Augusto, che per Gibbon rappresenta l’artefice della mancata libertà borghese nell’Impero romano, avrebbe potuto consolidare il suo potere donando denaro e grano ai cittadini romani, in modo che essi avrebbero dovuto dimenticare la libertà; Costantino, nella sua nuova città, avrebbe invece nutrito «una plebaglia sfacciata e pigra» («a lazy and insolent populace»), facendo pagare la popolazione egiziana che lavorava. Lo sperpero («prodigality») di Costantino «non si può giustificare con alcuna considerazione di interesse pubblico o privato» (p. 532). Si veda anche le esposizioni pressoché identiche di Gibbon su Augusto nel suo Essai sur l’étude de la littérature, cit., p. 141: «Auguste […] parvient au trône, et fit oublier aux républicains qu’ils eussent jamais été libres». Nella sua History Gibbon paragona più volte Costantino ad Augusto (E. Gibbon, Storia della Decadenza, II, cit., cap. 21, p. 679); si veda anche G.W. Bowersock, Gibbon’s Historical Imagination, cit., pp. 4-5 e 13-14; D. Womersley, The Transformation, cit., pp. 74-76; D. Francesconi, Republican Memory, cit., p. 346.
75 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 17, pp. 534-535.
76 Ivi, p. 536.
77 Ivi, pp. 544-545.
78 Ivi, p. 548: «Costantino, per assicurare il suo trono e la pubblica tranquillità da questi temibili servitori, decise di separare il governo civile da quello militare». Si veda anche ivi, II, cap. 27, pp. 975-976: «E il trono di Graziano era difeso dalle sanzioni del costume, della legge, della religione, e da quel giusto equilibrio fra le forze civili e militari stabilito dalla politica di Costantino».
79 Ivi, cap. 17, p. 549.
80 Ivi, p. 550: «Raramente si possono allontanare con parziali rigori quei mali, che provengono da impruenti consigli; e sebbene i successivi imperatori si studiassero di ristabilire la forza e il numero delle guarnigioni di frontiera, l’impero, fino all’ultimo istante del suo dissolvimento, continuò a languire per quella ferita mortale, prodotta da Costantino con tanta imprudenza o leggerezza». Si veda anche D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., p. 77; P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., p. 109; F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., p. 181.
81 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 17, pp. 550-551.
82 Si veda A. Demandt, Der Fall Roms. Die Auflösung des Römischen Reiches im Urteil der Nachwelt, München 1984, pp. 132-134.
83 Si veda G. Giarrizzo, Edward Gibbon e la Cultura Europea, cit., pp. 274-275; F.C. Scheibe, Christentum und Kulturverfall, cit., pp. 246-247.
84 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 17, pp. 568: «I sudditi di Costantino erano incapaci di discernere quella decadenza del genio e delle virtù virili, che tanto li rendeva inferiori alla dignità degli antenati; ma potevano ben sentire e deplorare i mali della tirannia, del rilassamento della disciplina e della moltiplicazione delle tasse. Lo storico imparziale, che riconosce la giustizia delle loro lagnanze, noterà alcune circostanze favorevoli, che tendevano ad alleviare la miseria della loro condizione. La minacciosa tempesta dei barbari, che così presto avrebbe distrutto le fondamenta della grandezza romana, era ancora respinta o tenuta sospesa alle frontiere».
85 Ivi, cap. 18, p. 569: «Dallo zelo riconoscente dei cristiani il liberatore della chiesa è stato ornato di tutte le qualità d’un eroe, e perfino d’un santo, mentre il malcontento del partito soccombente ha paragonato Costantino al più aborrito di quei tiranni, che coi loro vizi e la loro debolezza disonorarono la porpora imperiale. Le stesse passioni si sono in certa misura perpetuate nelle generazioni successive e il carattere di Costantino è ancora oggi considerato come un soggetto di satira o di panegirico».
86 Si veda G. Giarrizzo, Edward Gibbon e la Cultura Europea, cit., pp. 275-277.
87 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 18, p. 570 e nota 2. Si veda D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., pp. 79-80; P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., p. 112; F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., p. 183.
88 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 18, pp. 569-570.
89 Ivi, p. 570: «La sconfinata ambizione, che dal momento in cui accettò la porpora a York appare come la sua passione dominante, può essere giustificata dai pericoli della sua situzione, dal carattere dei suoi rivali, dalla coscienza del proprio merito e dalla speranza che il suo successo l’avrebbe messo in grado di restituire la pace e l’ordine al travagliato impero». Si veda D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., pp. 198-199; P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., pp. 109-110.
90 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 18, pp. 570-571. Si veda anche D. Womersley, The Transformation, cit., pp. 153-154.
91 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 18, p. 571. Si veda anche G. Giarrizzo, Edward Gibbon e la Cultura Europea, cit., p. 278; D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., p. 84.
92 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 18, p. 572: «La morte di Massimiano e di Licinio può forse essere giustificata da quelle massime di politica, che s’insegnano nelle scuole dei tiranni; ma una narrazione imparziale delle esecuzioni, o meglio degli assassinii, che macchiarono gli ultimi anni di Costantino, suggerirà al nostro giudizio più obiettivo l’idea di un sovrano, che poteva sacrificare senza scrupoli le leggi della giustizia e i sentimenti della natura ai dettami delle sue passioni o del suo interesse».
93 Ibidem: «Ma la dignità regia della famiglia Flavia, elevata alla nobiltà da Claudio il Gotico, discese per varie generazioni; e Costantino medesimo ebbe in eredità dal padre la porpora, che trasmise ai suoi figli».
94 Ivi, pp. 573-577.
95 Ivi, p. 577 e nota 3. Si veda anche il commento ironico a p. 584, dove anche la morte di Fausta è descritta soltanto come una possibilità.
96 P. Wesseling, Observationes varia, Amsterdam 1727, pp. 111-115; Si veda E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, ed. by I.B. Bury, II, London 1909, pp. 560-561 (appendice I).
97 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 644.
98 Si veda J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., pp. 176-179.
99 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 645. Si veda anche J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., pp. 168-170, e F. Paschoud, Gibbon et Constantin, cit., pp. 184-186.
100 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 647 e nota 1.
101 Ivi, p. 648: «O poteva forse abbracciare la filosofica e gradevole idea, che nonostante la varietà dei nomi, dei riti, e delle opinioni, tutte le sette e nazioni del mondo sono unite nel culto del Padre e Creatore comune dell’universo».
102 Ivi, pp. 649-650: «La passiva e docile obbedienza, che si piega sotto il giogo dell’autorità o anche dell’oppressione, doveva apparire tra le virtù evangeliche la più cospicua e vantaggiosa a un sovrano assoluto. I primi cristiani facevano derivare l’istituzione del governo civile non già dal consenso del popolo, ma dai decreti del cielo. Quand’anche l’imperatore avesse usurpato lo scettro per mezzo del tradimento e della strage, egli assumeva immediatamente il sacro carattere di vicario della divinità». Si veda anche J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., pp. 171-175.
103 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 652.
104 Ivi, pp. 656-657.
105 Ivi, pp. 659-660. Qui si fa riferimento a Voltaire, dalla cui epopea La Pucelle d’Orléans Gibbon cita nella nota alcuni versi attribuiti a Costantino («Les saints autels n’étoient à mes regards / Qu’un marchepié du trône des Césars»). Si veda anche J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., p. 263; D. Womersley, The Transformation, cit., p. 259 e P.B. Craddock, Edward Gibbon. Luminous Historian, cit., p. 110.
106 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 660: «Spesso l’interesse personale è il metro della nostra fede, non meno che della nostra condotta; e gli stessi motivi di vantaggi temporali, che valsero a influire sulla politica o sulle pubbliche manifestazioni di Costantino, poterono insensibilmente disporne l’animo ad abbracciare una religione così propizia alla sua fama e alla sua fortuna. [...] Come la lode non meritata suscita talora la vera virtù, così l’apparente pietà di Costantino (se pure da principio fu solo apparente) poté gradatamente, per la forza della lode, dell’abitudine e dell’esempio, convertirsi in vera fede e fervente devozione».
107 Ivi, p. 662.
108 Si veda D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., pp. 85-93. Secondo David P. Jordan, Gibbon suggerisce una tarda conversione dell’imperatore (intorno al 324 d.C.) per poter collegare anch’essa alla cattiva seconda metà del suo regno (si veda in particolare p. 92).
109 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 664: «I tiranni, che vennero dopo di lui, ne presero animo a credere che le macchie del sangue innocente, che avessero potuto spargere in un lungo regno, si sarebbero d’un tratto lavate nelle acque di rigenerazione; e l’abuso della religione minava così pericolosamente i fondamenti della virtù morale». Si veda D.P. Jordan, Gibbon’s ‘Age of Constantine’, cit., p. 92.
110 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 20, p. 665.
111 Ivi, p. 666.
112 Ivi, p. 668.
113 Ivi, pp. 670-678. Si veda in particolare p. 672: «e gli sciami dei monaci, emersi dal Nilo, coprirono e oscurarono la faccia della cristianità». Si veda anche J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., p. 183.
114 Ivi, pp. 669-670.
115 Ivi, pp. 677-678. Si veda in particolare p. 678: «Quando l’eresia o lo scisma turbavano la pubblica pace, i sacri oratori suonavano la tromba della discordia e forse della sedizione».
116 Ivi, cap. 21, p. 681.
117 Ivi, p. 685. Si veda poi p. 700 sulla «felice ignoranza della chiesa gallicana». Sulle considerazioni di Gibbon sull’arianesimo si veda B. Young, Gibbon, Newman and the religious accuracy, cit., pp. 318-323.
118 E. Gibbon, Storia della Decadenza, I, cit., cap. 21, p. 702.
119 Ivi, p. 687.
120 Ivi, p. 688.
121 Ivi, pp. 790-792.
122 Ivi, pp. 708-724.
123 Ivi, p. 708: «e sebbene il suo spirito non fosse immune dal contagio del fanatismo, Atanasio dimostrò una superiorità di carattere e di doti, chel’avrebbe qualificato molto più dei degeneri figli di Costantino al governo d’una grande monarchia»; p. 712: «e l’altero animo dell’imperatore fu soggiogato dal coraggio e dall’eloquenza d’un vescovo, che ne implorava la giustizia e ne scuoteva la coscienza».
124 Ivi, p. 724: «e il figlio di Costantino fu il primo dei regnanti cristiani a provare la forza di quei principi, che per la causa della religione possono resistere ai più violenti sforzi del potere civile». Si veda anche cap. 22, p. 755, il paragone tra Costantino e Costanzo II: «che ereditò i difetti, ma non le doti del padre».
125 Ivi, pp. 725-730.
126 Ivi, p. 730: «Mentre le fiamme della controversia ariana consumavano le viscere dell’impero».
127 Ibidem: «La rigida esecuzione delle leggi di Costantino aveva eccitato uno spirito di malcontento e di resistenza. I vigorosi sforzi di suo figlio Costante per ristabilire l’unità della chiesa inasprirono quei sentimenti di odio reciproco, che erano stati la prima causa della separazione».
128 Ivi, p. 734: «L’astuto monarca procedeva con lenti e cauti passi a distruggere l’irregolare e cadente edificio del politeismo. Gli atti di parzialità, che compieva secondo le occasioni, sebbene segretamente dettati dallo zelo confessionale, erano coloriti dai più bei pretesti di giustizia e di pubblico bene, e mentre mirava a scalzare i fondamenti dell’antica religione, affettava di riformarne gli abusi».
129 Si veda J. Burckhardt, Die Zeit Constantins des Großen, in Id., Gesammelte Werke, I, Basel 1978, p. VIII.
130 Si veda T. Heinze, Konstantin der Große und das konstantinische Zeitalter in den Urteilen und Wegen der deutsch-italienischen Forschungsdiskussion, München 2005.
131 J. Straub, Gibbons Konstantin-Bild, cit., pp. 175-176.