educazione linguistica
La storia dell’espressione educazione linguistica e delle riflessioni e prese di posizione che ne sono scaturite, inizia almeno nella seconda metà dell’Ottocento, esattamente dal 1873, da uno scritto del filologo Francesco d’Ovidio, che per primo (pare) usò l’espressione «nell’ambito dei dibattiti linguistici e pedagogici subito accesi dalle mutate condizioni sociali, culturali e scolastiche dell’Italia unificata» (Sabatini 1991: 15). L’espressione fu poi assunta da altri, fra cui grandi figure di pedagogisti come Giuseppe Lombardo Radice nelle sue Lezioni di didattica (1913) e Maria Teresa Gentile in Educazione linguistica e crisi di libertà (1966) (per questi e altri rimandi storici cfr. De Mauro 1998 e Balboni 2009).
Un secolo più tardi, l’espressione ha tuttavia assunto un significato peculiare. A partire dagli anni Settanta del Novecento, infatti, designa un particolare settore di studi, un filone di ricerca di tipo linguistico-educativo finalizzato all’insegnamento della lingua italiana, con una doppia vocazione, descrittiva e applicativa, tale da prefigurare – per ampiezza e rigore dei contenuti e originalità di metodologie e di proposte didattiche – uno statuto disciplinare autonomo (Ferreri 2002). Oggi quindi l’educazione linguistica entra a buon diritto in molti curricula universitari e post-universitari di formazione dei docenti di italiano. Oltre all’accezione ‘stretta’ (insegnamento della lingua italiana) fatta propria da molti autori, esiste anche un’accezione larga di ‘educazione linguistica’, ben documentata nella ricerca recente, come «quella parte dell’educazione generale che include l’insegnamento dell’italiano come lingua nazionale, delle lingue materne diverse dall’italiano (dai dialetti alle lingue minoritarie), delle lingue straniere e di quelle classiche» (Balboni 2009: IX-X).
Una data importante per la nuova educazione linguistica è il 1962, anno in cui fu promulgata in Italia una legge (la n. 1859 del 31 dicembre 1962) che innalzava l’obbligo scolastico a 14 anni e istituiva la scuola media unica. Si venne dunque a creare una situazione nella quale «un nuovo pubblico di scolari tradizionalmente fermi all’istruzione elementare, vale a dire i figli delle classi operaie e contadine, si affacciarono per la prima volta alla scuola superiore, e questa radicale trasformazione nella composizione del pubblico scolastico non fu indolore» (Lo Duca 2003: 22). All’epoca la società italiana era caratterizzata da una dialettofonia diffusa: masse di giovanissimi allievi, provenienti da famiglie poco o per nulla scolarizzate, si trovarono a fare i conti con contenuti disciplinari complessi, veicolati in una lingua ancora in gran parte ‘straniera’, e con docenti abituati da sempre al ben diverso ruolo di formatori della futura classe dirigente del paese. La conseguenza ovvia fu che migliaia di giovani, immessi per obbligo nella scuola media, ne venivano poi regolarmente espulsi dopo qualche anno di frustranti esperienze.
Chi si accorse, tra i primi, del ruolo assolutamente centrale svolto in questa situazione dalle abitudini linguistiche degli allievi fu un prete, don Lorenzo Milani, ispiratore e coautore, assieme ai ragazzi della scuola che aveva fondato a Barbiana (in provincia di Firenze), di Lettera a una professoressa (1967). In questo libretto di non molte pagine era contenuta una durissima denuncia della pedagogia linguistica dominante, in nome di quanti non riuscivano, fondamentalmente a causa del dislivello linguistico e culturale, a frequentare con successo la scuola, e quindi ad affrancarsi da una condizione sociale subalterna. Si levarono, in quegli anni, altre voci, fiorirono altre esperienze esemplari – per es. con le figure dei maestri Bruno Ciari e Mario Lodi – cui dobbiamo non solo il coraggio dell’azione pedagogica innovativa, ma anche la pazienza del resoconto scritto, che consente, oggi, di conoscere dal di dentro quel periodo ricco di fermenti e innovazioni (Renzi & Cortelazzo 1977; Lo Duca 2003: 24-37).
Contemporaneamente si levavano altre voci, quelle della ‘giovane’ linguistica italiana, che pur partendo da premesse diverse approdavano alle medesime conclusioni. Una prima importante lezione del resto era già venuta da Tullio De Mauro, che nel 1963 aveva pubblicato la Storia linguistica dell’Italia unita, poi ripresa e ampliata nel 1970. Quest’opera, fondamentale per la nuova educazione linguistica, partiva da una premessa: la stretta connessione tra la situazione linguistica di un paese e le sue vicende economiche, politiche, sociali, culturali. Deriva da questa premessa la convinzione che non è possibile descrivere, e tanto meno mutare, la prima senza prestare la dovuta attenzione alle seconde e provare a incidere su di esse. Temi come l’assetto demografico delle diverse aree del paese, l’urbanesimo, le migrazioni interne, l’analfabetismo e il livello di scolarità, il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa, ecc. furono proposti all’attenzione degli studiosi di lingua (e non solo), accanto ad alcuni classici temi quali le caratteristiche, i mutamenti e la diffusione dei dialetti e delle varietà dell’italiano. La strada era aperta per una diversa impostazione della pedagogia linguistica, di cui non tardarono a cogliersi i primi frutti.
Il documento intitolato Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, disponibile anche in rete (ad es. all’indirizzo http//www.giscel.org.), rappresenta per molti aspetti l’atto di nascita ufficiale della ‘nuova’ educazione linguistica. Esso fu pubblicato nel 1975 dopo due anni di gestazione nell’ambito della SLI (Società di Linguistica Italiana) con il contributo fondamentale di Tullio De Mauro, e costituisce il manifesto costitutivo del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica), filiazione diretta della SLI. Le Dieci tesi contengono una serie di principi generali cui ogni docente, di lingua e d’altro, dovrebbe uniformarsi (tesi 1-4); una critica radicale della pedagogia linguistica tradizionale (tesi 5-7); la proposta di una nuova «educazione linguistica democratica» (tesi 8); una serie di idee sulla formazione degli insegnanti e sul rinnovamento della scuola (tesi 9-10).
Si ritrovano in questo documento le idee e le proposte provenienti dai tanti operatori della scuola e dai tanti linguisti e ricercatori che avevano già da tempo preso posizione su questo fronte. Per la prima volta si mettevano in discussione alcuni capisaldi dell’insegnamento linguistico tradizionale: l’ignoranza o addirittura la demonizzazione del retroterra linguistico degli allievi dialettofoni; la centralità della produzione scritta e la pratica del tema (e questo mentre venivano ignorate altre forme di scrittura certamente più frequenti e utili nella vita reale, quali prendere buoni appunti, sintetizzare, saper produrre testi diversificati sulla base della specificità contestuale, e così via); la sistematica sottovalutazione delle abilità ricettive, orali e scritte; l’insegnamento grammaticale (consistente fondamentalmente in esercizi di ➔ analisi grammaticale e ➔ analisi logica), definito senza mezzi termini come parziale, inutile e addirittura nocivo perché fondato su «teorie del funzionamento d’una lingua che sono antiquate e, più ancora che antiquate, largamente corrotte ed equivocate» (Dieci tesi).
L’impatto di questo documento sulla scuola fu importante ma non risolutivo, nel senso che la grande maggioranza dei docenti di italiano si limitò ad ascoltare le nuove proposte, magari frequentando uno dei tanti corsi di aggiornamento all’epoca organizzati, continuando però a lavorare nella quotidiana pratica scolastica più o meno nel modo consueto. Ma molti giovani insegnanti, toccati dalla denuncia e consapevoli della insufficienza della loro preparazione universitaria, cercarono con coraggio e passione di cambiare i contenuti e i metodi del loro insegnamento linguistico, in ciò aiutati dall’associazionismo dei docenti (oltre al GISCEL nacque in quegli anni, ed è ancora [2010] attivo, anche il LEND Lingua E Nuova Didattica, che raggruppava insegnanti di lingue straniere: www.lend.it), da alcuni interventi teorico-applicativi che ebbero all’epoca un grande e positivo impatto (basti per tutti ricordare qui Berretta 1977 e Simone 1979) e dai molti nuovi manuali di educazione linguistica che videro la luce in quegli anni. A cominciare dal Libro d’italiano (1974) di Raffaele Simone, una sorta di coraggiosa grammatica per le scuole totalmente rinnovata nei contenuti e nello spirito, cui seguirono molte innovative opere per le scuole, scritte da linguisti che tentavano per questa via di influire sui contenuti e sulle pratiche didattiche in uso (vanno menzionati ad es. i manuali di Francesco Sabatini, 1980 e 1984, e di Maria Luisa Altieri Biagi, 1984, che ebbero larga e duratura influenza nella scuola).
Un altro effetto positivo delle Dieci tesi fu quello di smuovere le autorità scolastiche, che misero mano in quegli stessi anni alla riforma dei programmi educativi. Uscirono così i nuovi programmi: per la scuola media nel 1979, e per la scuola elementare nel 1985. Non è difficile scoprire in questi testi ufficiali molte delle idee della nuova educazione linguistica, nel frattempo sostenuta da una ricerca linguistica e didattica davvero imponente che ha continuato nel tempo a dare altri frutti ‘ufficiali’ (ad es. nelle Indicazioni per il curricolo, edite nel 2007 per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo; Colombo 2008).
È impossibile riassumere in poche righe lo sviluppo dell’educazione linguistica, documentato dai moltissimi corsi di formazione e aggiornamento, gruppi di studio, seminari e convegni – locali, regionali, nazionali – cui numerosi insegnanti hanno preso parte nel corso degli anni. Fecero da collante di quel movimento da una parte le numerose pubblicazioni, spesso collettive, in cui i migliori specialisti in campo, assieme a sconosciuti docenti delle scuole, affrontavano i temi cruciali dell’educazione linguistica; dall’altra una rivista ideata e diretta da Raffaele Simone, «Italiano e Oltre», che segna nelle sue date di nascita (1986) e di chiusura (2004) un fecondissimo periodo di ricerca e di dibattito. Vanno citati anche i volumi della collana del GISCEL e le sintesi che in anni diversi si fecero degli studi di settore: Lavinio (1992) e Ferreri (2002), nonché i due volumetti di bilancio di Ferreri & Guerriero (1998) e di GISCEL (2007).
In estrema sintesi, i temi più discussi e sui quali furono condotte le analisi più puntuali e avanzate le proposte applicative più interessanti nell’ambito dell’educazione linguistica si articolano attorno ad alcuni nuclei fondamentali. Anzitutto, al centro degli interessi fu lo sviluppo delle abilità linguistiche di base (ascoltare, parlare, leggere, scrivere), tema che ricevette nuova linfa sia dagli studi sulle varietà dell’italiano, che a partire dagli anni Ottanta del Novecento ampliarono in direzioni ancora inesplorate le conoscenze sulla lingua italiana, sia dalla linguistica del testo e dagli studi di tipologia testuale. Questi ultimi orientarono l’attenzione di docenti e ricercatori sulla varietà dei testi che normalmente si producono nelle diverse situazioni comunicative, sulle loro peculiarità e regolarità, e dunque sulla necessità di prevedere un addestramento mirato che non trascuri nessuna delle forme ritenute utili e formative. Le domande su quali fossero effettivamente queste forme, e con quali mezzi sia opportuno intervenire nelle diverse fasce scolari, sono ancora aperte.
L’insegnamento della grammatica, da sempre uno dei capisaldi della pedagogia linguistica tradizionale, subì un profondo processo di revisione, incrementato dal notevole sviluppo degli studi grammaticali e di teoria linguistica che la lingua italiana aveva conosciuto negli ultimi decenni, e che produsse le grandi grammatiche di riferimento. In questo campo si passò dall’iniziale ripudio del modello tradizionale, divenuto in alcuni casi rifiuto tout court della grammatica, all’adozione di nuovi modelli grammaticali (strutturali, nozionali, generativi e altro), con il lento e faticoso ricomporsi di un nuovo quadro, sostanzialmente eclettico nei contenuti ma abbastanza unanimemente orientato su una metodologia attiva, che fece del metodo scientifico adattato alla classe (individuazione di un problema di lingua, raccolta dei dati, formulazione di un primo abbozzo di regola, verifica dell’ipotesi avanzata) il suo punto di forza (Lo Duca 20042).
Dall’originaria denuncia di don Lorenzo Milani, il tema dello svantaggio linguistico che si traduce in svantaggio sociale fu sempre tra i più frequentati, intrecciandosi nel tempo con i problemi connessi alla diffusa dialettofonia delle classi popolari (anni Settanta e Ottanta del Novecento) e, in anni più recenti, con i problemi linguistici dei nuovi immigrati, portatori di lingue molto diverse tra loro e dall’italiano. Al dibattito sul dialetto, mai esaurito del tutto e talvolta snaturato da ambigue valenze politiche, si aggiunse il tema dell’integrazione linguistica (e sociale) dei giovani e giovanissimi immigrati, per i quali si pose con drammatica urgenza la necessità di elaborare nuove conoscenze e nuove forme di intervento. Sulle prime la ricerca linguistica si mosse tempestivamente: sorse e si consolidò negli anni un nuovo settore di studi, la linguistica acquisizionale, che studia l’acquisizione spontanea dell’italiano da parte di apprendenti stranieri non sottoposti a insegnamento formale (➔ acquisizione dell’italiano come L2).
La ricerca ha già dato utili indicazioni su come procedere, con quali priorità e con quali strumenti, e su quali risultati è lecito attendersi nei tempi scanditi dagli ordinamenti scolastici. In questo settore l’educazione linguistica si incontra con una disciplina gemella, la glottodidattica, da sempre impegnata sul fronte dell’insegnamento delle lingue straniere.
Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina.
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Balboni, Paolo (2009), Storia dell’educazione linguistica in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Gelmini, Grugliasco, UTET Università.
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Ferreri, Silvana & Guerriero, Anna Rosa (a cura di) (1998), Educazione linguistica vent’anni dopo e oltre. Che cosa ne pensano De Mauro, Renzi, Simone, Sobrero, Scandicci, La Nuova Italia.
GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) (a cura di) (2007), Educazione linguistica democratica. A trent’anni dalle Dieci tesi, Milano, Franco Angeli.
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