SANGUINETI, Edoardo
SANGUINETI, Edoardo. – Nacque a Genova il 9 dicembre 1930, figlio unico di Giuseppina Cocchi, torinese, e di Giovanni, nativo di Chiavari, impiegato di banca.
Dopo i primissimi anni trascorsi a Genova, già nel 1934, dopo che la banca in cui lavorava, gestita da antifascisti, fu costretta a chiudere, il padre trasferì la famiglia a Torino, dove venne assunto come amministratore-cassiere presso la tipografia Doyen e Marchisio. Gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza torinese, trascorsi in una casa di corso Oporto (poi corso Matteotti), furono condizionati da una diagnosi – rivelatasi poi errata – di grave dilatazione cardiaca con prognosi mortale, che costò al giovanissimo Edoardo un forzato isolamento dallo stile di vita dei coetanei, oltre che la rinuncia a dedicarsi alla passione per la danza, come ricordò sempre con rimpianto. A Torino trovò un punto di riferimento nello zio Luigi Cocchi, musicista e musicologo, che aveva conosciuto in gioventù Antonio Gramsci e Piero Gobetti e collaborato a L’Ordine nuovo, mentre un’iniziazione al jazz gli venne dal cugino Angelo Cervetto durante le vacanze estive trascorse a Bordighera, dove frequentò anche il romanziere Seborga (alias Guido Hess), che lo introdusse alla lettura di Antonin Artaud.
Nel 1946 si iscrisse al liceo classico Massimo d’Azeglio (dove fu decisivo per lui l’incontro con Albino Galvano, professore di storia e filosofia, pittore, critico d’arte, esperto di psicoanalisi) e nell’autunno 1949 s’immatricolò alla facoltà di lettere dell’Università di Torino, entrando come convittore al collegio universitario. Gli interessi del giovane Sanguineti erano molteplici e spaziavano dalla poesia (tra il 1951 e il 1954 venne composto Laborintus) alla critica letteraria (apparvero in quegli anni le sue prime recensioni in aut aut, Lettere italiane, Questioni); scritti che misero in luce la precoce apertura verso la cultura europea, dal teatro espressionista tedesco a Franz Kafka, James Joyce, Marcel Proust, e da Jean-Paul Sartre, Martin Heidegger, John Dewey, alla psicoanalisi di Carl Gustav Jung e Sigmund Freud, da Ezra Pound e Thomas Stearns Eliot, mediatori di Dante, all’antropologia ed etnologia di Ernesto De Martino e Vittorio Lanternari, dalla musica postdodecafonica (Arnold Schönberg e Anton Webern) alla pittura (i primi anni Cinquanta segnarono i contatti con Enrico Baj e con gli artisti del napoletano Gruppo 58).
Si laureò con Giovanni Getto, discutendo una tesi dantesca sui canti di Malebolge, il 30 ottobre 1956, da studente fuoricorso per vari motivi: colpito dapprima dalla perdita della madre (gennaio 1953), il 30 settembre 1954 sposò Luciana Garabello (figura fondamentale nella sua vita e per la sua scrittura) da cui ebbe poco dopo il figlio primogenito, Federico (nato il 19 dicembre 1955), cui seguirono Alessandro (nato nel 1958), Michele (nato nel 1962) e Giulia (nata nel 1973).
Nel 1956 era intanto uscito Laborintus nella collana Oggetto e Simbolo che Luciano Anceschi dirigeva per Magenta, piccolo editore di Varese destinato a lasciar traccia. L’incontro tra il critico e il poeta esordiente era stato propiziato da una recensione di Sanguineti all’antologia dello stesso Anceschi e Sergio Antonielli, Lirica del Novecento, uscita per Vallecchi nel 1953.
Laborintus, che in copertina recava il sottotitolo Laszo Varga: XXVII poesie, 1951-1954 (poi, dal 1960, solo XXVII poesie, 1951-1954), trovò impreparati critici e lettori, per la forza eversiva con cui scardinava i punti di riferimento della tradizione lirica, in rapporto diretto con la poetica medievale, complice la lettura, nell’opera di Edmond Faral, Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle, di un trattato di retorica di Everardus Alemannus, da cui il poeta ricavò il titolo del poemetto e la citazione in esergo: «Titulus est / Laborintus / quasi laborem / habens intus». Una «discesa agli inferi compiuta da un filologo amletico e arcimboldesco», definì Alfredo Giuliani quel poemetto recensendolo su il verri (1957, n. 2, poi in Id., Immagini e maniere, Milano 1965, pp. 82-88), e a distanza di cinquant’anni da quelle parole, introducendo il suo commento integrale al testo, Erminio Risso (2006) mise l’accento sul «processo di cosificazione umana» che vi si rappresentava (p. 17). Il poeta, in dialogo con Fabio Gambaro (Colloquio con Edoardo Sanguineti, Milano 1993, p. 23), lo disse ispirato a «un’anarchia culturale» molto controllata intellettualmente, che metteva in scena una scrittura non figurativa e non tonale, che guardava a Schönberg e a Webern, a Pound e Eliot, a Vassilij Kandinsky e Paul Klee, oltre che alla junghiana Psicologia e alchimia. Una «mera galleria di mummie esibibili» veniva esposta, indicava il poeta in dialogo con Ferdinando Camon (Il mestiere di poeta, Milano 1965, p. 184), insieme con i reperti di una civiltà in cui si disgregava l’identità individuale, nell’interferenza di codici e in un linguaggio storicamente alienato e manipolato dai processi di mercificazione del capitalismo.
Mentre dava alle stampe Laborintus, Sanguineti lavorò a quella «specie di secondo Laborintus» che fu per lui Erotopaegnia. Scandito in 17 sezioni immerse, tra vena ironica e istrionismo goliardico e onirico, in un incubo da delirio erotico-filologico, Erotopaegnia uscì poi, insieme con la ristampa di Laborintus e con titolo complessivo Opus metricum 1951-1959 (Milano 1960).
Sanguineti iniziò intanto a collaborare a il verri fondato da Anceschi nel 1956, e si avviò alla carriera universitaria divenendo, dal 1° novembre 1957, assistente ‘volontario’ di Giovanni Getto (poi ‘incaricato’ nel 1961, in seguito ‘ordinario’): curò con lui l’antologia Il sonetto (Milano 1957) e tenne un corso su Gozzano da cui ricavò la monografia Guido Gozzano. Indagini e letture (Torino 1966).
Terza tappa di un dantesco viaggio allegorico, Purgatorio de l’Inferno era già in cantiere nel 1958, con titolo provvisorio attinto da Giordano Bruno, Descrizion di passi e di passaggi.
Scandito come Erotopaegnia in 17 sezioni, il terzo poemetto (‘cantica’, secondo Sanguineti), composto tra il 1960 e il 1963 e pubblicato, con i due che lo precedevano, in unico volume con titolo folenghiano Triperuno (Milano 1964), segnò l’abbandono del registro onirico e il recupero, in chiave epica, della storia, raccontata attraverso la ‘microstoria’ di vicende e incontri reali, intrecciati con la ‘macrostoria’ (il fascismo, il marxismo, l’esperienza comunista cinese, le sorti della borghesia) in testi rigorosamente datati. Intrecciando l’ideologia del materialista storico con le analisi del Lukács di La distruzione della ragione e del Barthes di Mythologies, Sanguineti vi fece le prove della poetica del ‘piccolo fatto vero’, attraverso un linguaggio mai disgiunto dall’ideologia.
L’identità di Sanguineti restò sicuramente legata a vita a Ideologia e linguaggio (Milano 1965; rist. più volte fino alla nuova edizione ampliata, Milano 2001), che si collocò al centro di un decennio (1960-70) decisivo per segnare le tappe di una scrittura complessa e poliedrica. Riducendo a sintesi, essa si articolò nella produzione del saggista studioso di Gabriele D’Annunzio e Guido Gozzano, Eugenio Montale e Aldo Palazzeschi, Giuseppe Ungaretti, Ardengo Soffici, Alberto Moravia (in Tra liberty e crepuscolarismo, Milano 1961) a fianco dell’autore di studi danteschi, confluiti in Dante reazionario (Roma 1992), e del curatore e commentatore di testi (dalle foscoliane Lettere scritte dall’Inghilterra, Milano 1962, a Un giorno e altre poesie di Carlo Vallini, Torino 1967, ai Poemetti di Pascoli, Torino 1971, alle Poesie di Gozzano, Torino 1973) e dell’antologista, a partire da Poesia italiana del Novecento (Torino 1969), che suscitò vivaci polemiche per la messa in discussione di classificazioni e gerarchie tradizionali.
In apertura del decennio era iniziata anche la collaborazione con Luciano Berio e uno tra i primi lavori in comune fu «un’opera, nel senso di ‘teatro musicale’», cioè una ‘messa in scena’ con parole e musica, canto e due cori, di cui uno sparso tra il pubblico.
Eseguita alla Piccola Scala di Milano nel 1963, quell’opera ‘protofemminista’, Passaggio, che prevedeva una ‘Lei’ (per Sanguineti Rosa Luxemburg; per Berio la Milena di Kafka), pur suscitando proteste tra gli spettatori, non decretò per questo la fine della collaborazione tra Sanguineti e Berio (raccolta parzialmente in Per Musica, Modena 1998), che continuò da Laborintus II (1963-1965) ad A-Ronne (1974) e oltre, fino alla morte del compositore (2003).
Intanto l’attività poliedrica di Sanguineti si andava cimentando anche con le traduzioni (Le Baccanti di Euripide nel 1968, Fedra di Seneca e Satyricon di Petronio nel 1969 ) e con il teatro (da K, 1959, uscita nel 1962 in K e altre cose, a Traumdeutung del 1964 e Protocolli del 1968, poi riuniti in Teatro, Milano 1969, a Storie naturali, Milano 1971). Con Luca Ronconi aveva già collaborato per l’Orlando furioso, debuttando a Spoleto il 4 luglio 1969, pietra miliare del nuovo teatro basato sulla simultaneità e la frantumazione degli episodi messi in scena attraverso un montaggio polifonico e policentrico. A completare la fisionomia caleidoscopica del poeta si adoperò infine il romanzo, da Capriccio italiano (Milano 1963) a Il giuoco dell’oca (Milano 1967).
Dal Satyricon di Petronio Capriccio italiano recuperò la tecnica narrativa per frammenti, proponendoli in prospettiva psicoanalitica e onirica attraverso metamorfosi che ribaltavano le attese del romanzo borghese.
In una testimonianza restata a lungo inedita (cfr. G. Policastro, Sanguineti, Palermo 2009, pp. 171-177), Giacomo Debenedetti confessò che il risultato di chi lo leggeva era che quel romanzo «ci è rimasto dentro, ci infesta: siamo davvero stati, anche noi, in quell’inferno [...]» (p. 176). La reversibilità di registri, dal tragico al comico, che lo caratterizzava, definì anche la fisionomia testuale del Giuoco dell’oca, ma con un’attenzione spostata verso la celebrazione del visivo, nel catalogo universale di una banalizzata quotidianità.
La fine del decennio comportò eventi decisivi nella vita di Sanguineti. Nel 1967 non gli venne rinnovato l’incarico di insegnamento, per cui nell’autunno del 1968 accettò la chiamata all’Università di Salerno, dove si trasferì con la famiglia, diventando nel 1970 professore straordinario e nel 1973 professore ordinario. Aveva intanto avviato, sempre nel 1968, un’intensa militanza politica, candidandosi con il Partito comunista italiano (PCI) a Torino alle elezioni per la Camera (divenne poi consigliere comunale a Genova tra il 1976 e il 1981 e deputato alla Camera dal 1979 al 1983 come indipendente nelle liste del PCI).
Del ’68 non condivise, da gramsciano integerrimo, il «rivoltismo piccolo borghese», stigmatizzando la mancata trasformazione del momento della «rivolta» in «momento rivoluzionario» in grado di contrastare i meccanismi di mercificazione del potere che si avviavano a divenire irreparabili.
Ne restò segnata la sua produzione poetica, che si avviò verso una «rinnovata forza comunicativa del verso» che divenne «la cifra delle proses en poème degli anni ’70» (E. Baccarani, La poesia nel labirinto, Bologna 2002, p. 275): da Reisebilder (Berlino 1972; ispirata alle ‘immagini di viaggio’ di Heinrich Heine e scritta durante un soggiorno di sei mesi a Berlino, ospite di un progetto di accoglienza per scrittori stranieri), a Postkarten (Milano 1978) e Stracciafoglio (Milano 1980). Il poeta-cittadino del mondo, perennemente in viaggio, da quel momento in poi (tra Europa e Cina, Georgia e Uzbekistan, Urss, Stati Uniti, Canada, Messico, Sudamerica, Giappone, India, Tunisia, Egitto e via enumerando), annotava in quei resoconti, con mania collezionistica suggeritagli dal ‘suo’ Benjamin, le tensioni delle metropoli del capitalismo invase dal feticcio della merce in cui l’intellettuale-poeta, producendosi in una sorta di esame di coscienza, leggeva, da aspirante materialista storico, la fine delle utopie.
Da quel momento Sanguineti continuò a condurre il proprio esame di coscienza travestendosi, dalle raccolte degli anni Settanta-Ottanta in poi, da ‘io’ personaggio oggettivato, estroflesso; un ‘io’ in terza persona, sempre più esposto alle trasformazioni di una ‘realtà effettuale’ sottoposta a processi di velocizzazione accelerata.
Nelle 67 ‘cartoline’ di viaggio, scritte tra il 1972 e il 1977, Sanguineti si applicò a tradurre esperienze occasionali in ‘piccoli fatti veri’, secondo la ricetta proposta nella poesia 49 («per preparare una poesia, si prende “un piccolo fatto vero” (possibilmente / fresco di giornata):»). Ma in una realtà sempre più esposta a occasioni polverizzate il neofigurativismo, estratto da un vissuto brechtianamente straniato, si disintegrava nell’eccesso di determinazioni (gli adesso, i qui) che nulla determinavano, mentre la vena ‘elegiaca’ avviata con Reisebilder andava definendosi come vena ‘comica’. La pulsione anarchica, mai sopita, esplose in figurazioni fonetiche e iconiche: quelle che punteggiavano le 21 ottave di Alfabeto apocalittico, una per ogni lettera dell’alfabeto, uscite nello stesso anno di Cataletto (1982) ed eseguite dall’autore a Mantova il 1° maggio in una performance associata alla mostra dedicata all’Apocalisse di Baj. Non a caso la vena testamentaria, unita alla parodia dell’io ‘labile e lapsile’ e alla linea guida dell’eros, si associò sempre, nelle raccolte degli anni Ottanta e Novanta, da Scartabello (Macerata 1981) a Cose (Napoli 1999), a un’intensa sperimentazione linguistica, fino all’apice di Novissimum Testamentum (Lecce 1986), che si confrontava con l’ottava francese di François Villon del Lascito, delle Ballate, del Testamento. Si trattava pur sempre di praticare, anche in quella sorta di ‘iperacrostico’ che caratterizzò la scrittura del poeta dagli anni Ottanta in poi, la rinuncia al ‘grande stile’: lo testimoniò l’approdo a Varie ed eventuali. Poesie 1995-2010 (Milano 2010), ultima sintesi di una poesia che, nel riferire in chiave grottesca ‘occasioni’ in forma di rebus o acrostici alla maniera dell’Opificio di letteratura potenziale - OpLePo (Sanguineti era stato eletto faraone poetico dell’Istituto patafisico di Milano e satrapo trascendentale dal 2001), o in forma di poesie ‘fuggitive’ costruite su una registrazione di percezioni e stati mentali frammentari, coniugò sino all’ultimo pulsione anarchica e materialismo storico.
Per il poeta tornato a Genova dal 1974, chiamato dall’Università sulla cattedra di letteratura italiana che tenne fino al pensionamento del 2000, si apriva intanto, ad affiancare l’impegno politico, una fase di collaborazione con i quotidiani (dopo l’esperienza di Paese sera, avviata già nel 1971, quelle, tra le altre, con Il Giorno, l’Unità, Il Lavoro di Genova) e di sistematizzazione della propria opera, mentre si intensificava la produzione, su committenza, di testi destinati al teatro. ‘Travestimenti’, li sottotitolò da quel momento Sanguineti, a partire da Faust. Un travestimento (Genova 1985), seguito da Commedia dell’Inferno. Un travestimento dantesco (Genova 1989), Orlando furioso. Un travestimento ariostesco (Bologna 1996), Sei personaggi.com. Un travestimento pirandelliano (Genova 2001), L’amore delle tre melarance. Un travestimento fiabesco e gozziano (Genova 2001). Travestimento fu per lui sempre ‘nozione essenziale’: dagli anni Ottanta e Novanta i travestimenti si trovarono a convivere con la revisione della produzione poetica e narrativa, con le raccolte del traduttore, con quelle dell’articolista (stipate, tra il 1976 e il 1993, in Giornalini, Scribilli, Ghirigori, Gazzettini), e del saggista, che teneva fede alla ricerca di totalità connaturata in Sanguineti e protratta in lui fino dagli anni dell’infanzia.
Accanto alle sillogi di narrativa (Smorfie. Romanzi e racconti, Milano 2007, esteso da Capriccio italiano a Vociferazioni), presero così corpo quelle di poesia, inaugurate già nel 1971 da Catamerone (comprensivo di Triperuno e Wirrwarr), cui seguirono Segnalibro. Poesie 1951-1981 (Milano 1982 e 2010), con una sezione di testi Fuori Catalogo, e Il gatto lupesco. Poesie 1982-2001 (Milano 2002), con una sezione di Poesie fuggitive (1996, 2001). Una selezione della produzione poetica venne compresa in Mikrokosmos. Poesie 1951-2004 (Milano 2004). A fianco, il traduttore di testi classici riunì versioni di tragedie greche e latine in Teatro antico. Traduzioni e ricordi (Milano 2006), mentre la produzione saggistica veniva strutturandosi in La missione del critico (Genova 1987), in Il chierico organico, e in Cultura e realtà (Milano 2000 e 2010), quest’ultima aperta da Come si diventa materialisti storici?, una lectio dedicata al novantunesimo compleanno di Pietro Ingrao (già Lecce 2006) e chiusa da Per una teoria della citazione.
Frattanto l’antologista proponeva, con Atlante del Novecento italiano (Lecce 2001), una silloge per sole immagini allineate in ordine alfabetico, da Corrado Alvaro a Cesare Zavattini, mentre il lessicografo accumulava migliaia di schede per l’aggiornamento del Grande Dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, e lasciava trasmigrare la passione per i lessici nelle Schede gramsciane (Torino 2004), e il traduttore intensificava il suo lavoro con versioni da Goethe, Molière, Brecht, Shakespeare, tra le altre. Toccò a Ritratto del Novecento (eseguito con performance audio-visiva in sala Borsa a Bologna tra il 12 e il 16 dicembre 2005; poi, in volume, Lecce 2009) restituire un affresco della storia della cultura mondiale nella forma di singolare lascito testamentario, in cui si trovò stipata tutta la poliedricità dell’artista, dell’intellettuale, del politico ‘prestato alla poesia’, come a Sanguineti piaceva definirsi, in un compiuto, complesso, anomalo autoritratto.
Divenuto sempre più personaggio pubblico, ospite di dibattiti, conferenze, eventi politici e culturali in Italia e all’estero, insignito di riconoscimenti (dalla nomina, nel 1996, a cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana alla Corona d’oro di Struga del 2000, ai premi letterari, tra cui nel 2003 il premio Campiello alla carriera e nel 2006 il Librex Montale), Sanguineti continuò sino alla fine, già aggredito dal male, a esporsi senza riserve, radicale nelle scelte di campo, molto amato dai giovani per la coerenza del suo schierarsi a sfida dei perbenismi istituzionali, ironico e caustico sempre, irriverente e rigorosissimo.
Morì a Genova il 18 maggio 2010.
Per volontà del Comune di Genova fu sepolto nel Pantheon del cimitero monumentale di Staglieno. Sul monumento dello scultore Gino Guerra dedicato, nel 1982, ai lavoratori portuali e collocato nella stazione marittima, sono incisi i versi della Ballata del lavoro.
Opere. La vastissima produzione di Sanguineti sarà consultabile nella Bibliografia on line degli scritti di E. S., in corso di allestimento da parte di E. Risso e G.L. Picconi (http://www. bibliografiasanguineti.unige.it).
Tra i volumi usciti postumi: Ballate, a cura di A.M. Giancarli, postfazione di N. Lorenzini, Pescara 2013, pp. 27-33; Ifigenia in Aulide di Euripide, edizione, introduzione e commento di F. Condello, Bologna 2012, pp. 7-86; Corollaire, edizione bilingue, trad. di P. Atzei - B. Casas, Caen 2013; Lettere a un compagno, a cura di F. Curi, Milano-Udine 2017. Integralmente commentato è il solo Laborintus (E. Risso, “Laborintus” di E. S. Testo e commento, Lecce 2006); un commento parziale del poemetto è offerto da Sanguineti nelle lettere a Giuliani (ora in A. Giuliani - A. Porta - N. Balestrini - E. Sanguineti - E. Pagliarani, “Queste e non altre”. Lettere e carte inedite, a cura e con un saggio introduttivo di F. Milone, Pisa 2016, pp. 109-157). Un commento al suo Purgatorio de l’Inferno è nelle lettere di Sanguineti a Enrico Filippini, conservate presso l’Archivio Filippini della Biblioteca cantonale di Locarno.
Fonti e Bibl.: Presso la Biblioteca universitaria di Genova sono in via di catalogazione 19.761 volumi del fondo personale di Sanguineti, concessi in comodato dal Comune di Genova (il materiale inventariato è consultabile nel sito Magazzino Sanguineti in www.bibliotecauniversitaria.ge.it/). Restano, in casa Sanguineti, i documenti d’archivio (lettere, carte e appunti preparatori, Taccuini compilati a partire dal 1955 registrando giorno per giorno, specie tra il 1955 e il 1970, letture, viaggi, incontri, film visionati, musiche ascoltate), oltre a una videoteca comprendente un migliaio di videocassette e DVD, dal cinema muto di Charlie Chaplin a Lars von Trier, una ricca collezione di musica classica e di opere d’arte. Alcuni materiali sono consultabili nel sito della Regione Liguria (http:// magazzinosanguineti.it/archivio-del-novecento-in-liguria), che ospita anche una stesura non definitiva del commento di Sanguineti ai canti 1-26 del Purgatorio dantesco, composto nel 1967, lasciato inedito e destinato al figlio Federico, esperto dantista.
Una Bibliografia ragionata delle opere è in M. Innocenti, S. didatta e conversatore, Sanremo 2016, pp. 109-175. Per gli scritti destinati al teatro si segnalano: la Scheda biblio-teatrografica, in F. Vazzoler, Il chierico e la scena. Cinque capitoli su S. e il Teatro, Genova 2009, pp. 213-220; la scheda di M. Dolores Pesce, in E. S. e il teatro. La poetica del travestimento, Alessandria 2003; la Bibliografia e teatrologia, a cura di F. Condello - C. Longhi, in E. Sanguineti, Teatro antico. Traduzioni e ricordi, Milano 2006, pp. 319-337. Oltre alle opere del poeta citate, ci si limita a indicare la voce S. E. nell’Autodizionario degli scrittori italiani, a cura di F. Piemontese, Milano 1990, pp. 319-321, e Abecedario di E. S., video-intervista in due dvd a cura di R. Campo, regia di U. Paolozzi Balestrini, Roma 2006.
Per le notizie bibliografiche si vedano: la Nota bibliografica, in G. Sica, S., Firenze 1974, pp. 88-97; la Bibliografia essenziale della critica stesa da L. Vetri, in E. S. Opere e introduzione critica, Verona 1993, pp. 179-183, nonché la Bibliografia di M. Cucchi - S. Giovanardi, in Poeti italiani del secondo Novecento (1945-1995), Milano 1996, pp. 1198-1202. Una Nota bibliografica relativa a Triperuno è in N. Lorenzini, Triperuno di E. S., in Letteratura italiana (L’Espresso), XVII, Il secondo Novecento. Le opere dal 1962 ai giorni nostri, Roma 2007, pp. 171 s.; una Nota bibliografica è in G. Policastro, S., Palermo 2009, pp. 151-159. Tra i numeri monografici di rivista: “Attenzione a S.”, il verri, 2005, n. 29. Tra gli Atti di Convegni: S. Ideologia e linguaggio, a cura di L. Giordano, Salerno 1991; Per E. S.: “good luck (and look)”, a cura di A. Pietropaoli, Napoli 2002; S.: la parola e la scena, a cura di F. Carbognin - L. Weber, in Poetiche, 2006, 3; Per E. S.: lavori in corso, a cura di M. Berisso - E. Risso, Firenze 2012; E. S.: ritratto in pubblico, a cura di L. Weber, Milano-Udine 2016. Tra le interviste si segnalano, oltre a quelle citate, Una conversazione con E. S., in S. Colangelo, Metrica come composizione, Bologna 2002, pp. 132-150; G. Galletta, S./Novecento, Genova 2005; S.’s Song. Conversazioni immorali, a cura di A. Gnoli, Milano 2006. Si vedano inoltre: N. Lorenzini, S. e il teatro della scrittura, Milano 2011; E. Testa, Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di S., Novara 2011; F. Curi, Struttura del risveglio, nuova ed. accr., Milano-Udine 2013; C. Allasia, «La testa in tempesta», Novara 2017. La fisionomia multiforme del poeta, pienamente rappresentata in Album S., a cura di N. Lorenzini - E. Risso, Lecce 2002, è restituita, da ultimo, in E. S. Literature, Ideology and the Avant-Garde, a cura di P. Chirumbolo - J. Picchione, London 2013.