PERSICO, Edoardo
PERSICO, Edoardo. – Nacque a Napoli l’8 febbraio 1900 da Giovanni e da Rosa Grimaldi. Nonostante la tubercolosi, frequentò il ginnasio Giuseppe Garibaldi (1909), il liceo Vittorio Emanuele (1917-18), quindi la Facoltà di giurisprudenza. Richiamato alle armi (1918-22), militò nel 18° reggimento artiglieria (1921), poi nel 39° fanteria, sostenendo nel frattempo gli esami universitari. Tornato a Napoli dopo un soggiorno a Parigi (1923), strinse amicizia alla Biblioteca nazionale con Carlo Curcio, militò nel Partito socialdemocratico e fu tra gli organizzatori del foglio Cattolici con il fratello Renato e con Erminio Cavallero (1924). Abbandonata l’idea di laurearsi, pubblicò nel 1923 a proprie spese il racconto filosofico La città degli uomini d’oggi (A. Quattrini, Firenze), pieno di suggestioni da L’homme di Ernest Hello e da scrittori religiosi come Domenico Giuliotti e Charles Péguy. Con il manoscritto Il porto lontano – che nelle sue intenzioni doveva far parte di un ciclo dal titolo Il giro del mondo, sorta di storia privata del secolo memore della ‘commedia umana’ di Honoré de Balzac – prese contatto, alla fine dello stesso anno, con Piero Gobetti, fondatore a Torino del settimanale antifascista Rivoluzione liberale e, dopo un viaggio in Jugoslavia (cfr. Mariani, 1977, pp. 248, 253 s., 257; di un secondo a Mosca parlano Alfonso Gatto, in Edoardo Persico: profezia dell’architettura, 1945, e Veronesi, 1953; d’Orsi 1990), nel 1924 sottoscrisse l’Appello ai meridionali di Guido Dorso e partecipò alla formazione dei gruppi di Rivoluzione liberale a Napoli, attività per cui subì un primo arresto. Dalla sua proposta di creare un periodico letterario nacque nel 1924 il supplemento Il Baretti, che ospitò il suo primo articolo, Lettera dalla Spagna. Gli interessi di Persico si allargarono presto dalla politica alla cultura all’interno di una poetica imperniata sui concetti di modernità, europeismo e aristocrazia morale del letterato di cui la Lettera a sir John Bickerstaff fu una sorta di manifesto (1926). Dopo la forzata chiusura di Rivoluzione liberale (1926), la seconda e ultima parte di un suo articolo sul deputato, radicale e pacifista, Joseph Caillaux, comparve grazie a Curcio su Critica fascista (1926).
Sposata Cesira Oreste (1925), dalla quale avrebbe avuto due figli, Roberto (1930) e Renato (1933), si trasferì a Roma, poi a Pineta di Pescara, e infine a Torino (1926), dove visse tra penose ristrettezze lavorando come uomo di fatica alla FIAT, esperienza di cui rimane testimonianza in un articolo del 1927, La FIAT: operai, per Motor Italia, nella cui redazione era entrato e in cui compì le prime esperienze in fatto di grafica. Quello stesso anno fu coinvolto da Mario Gromo nella direzione della nascente casa editrice Fratelli Ribet, ma i rapporti si ruppero nel 1928. Fondò allora una propria casa editrice, La Biblioteca Italiana di Edoardo Persico, che pubblicò Il sarto spirituale (1928) di Giuseppe Prezzolini e Pretesti di critica (1929) di Lionello Venturi, ceduto quest’ultimo all’editore Hoepli per problemi economici. Contemporaneamente, nello studio di Alberto Sartoris iniziò a interessarsi di architettura e conobbe i pittori Carlo Levi, con cui strinse una profonda amicizia, Gigi Chessa e Francesco Menzio che, insieme a Jessie Boswell, Nicola Galante ed Enrico Paulucci, avrebbero costituito il gruppo dei Sei di Torino. La presentazione della personale di Menzio alla sala Guglielmi di Torino e l’articolo sul gruppo pubblicato in Le Arti plastiche (1929) segnarono l’inizio della sua attività di critico d’arte. In tale veste si fece promotore di una pittura moderna in contatto con le principali correnti europee, dall’impressionismo alla scuola di Parigi.
Mentre il controllo della polizia politica si faceva su di lui assiduo, Persico si trasferì a Milano (1929), dove Pier Maria Bardi lo assunse come segretario della propria galleria e redattore-capo della rivista Belvedere (1930). Quando lo spazio fu rilevato dai fratelli Ghiringhelli, ne divenne il direttore (1930), suggerendo anche il nome, Il Milione, in omaggio a Marco Polo. La mostra d’inaugurazione fu una personale di Ottone Rosai, in sintonia con le scelte anticonformiste di Persico, che trovarono allora riscontro nel fascismo eterodosso di Dino Garrone e Berto Ricci. Frutto di tale collaborazione fu l’opuscolo Il Rosai (1930), in opposizione al Novecentismo e a una borghesia ritenuta priva di statuto morale.
Leggendo la ricerca delle avanguardie attraverso il primitivismo di Venturi e la filosofia di Jacques Maritain, Persico si fece interprete di un’ansia di rinnovamento etico-civile; espose per la prima volta in Italia opere di Paul Klee, Vasilij Kandinskij, Juan Gris, Jean Arp, dette spazio agli astrattisti italiani, a outsider come Luigi Spazzapan o all’arcaismo del gruppo dei Nuovissimi (si ricordano: Aligi Sassu, Giacomo Manzù, Renato Birolli), secondo un’impostazione di poetica che trovò compiuta verbalizzazione nel 1933 nella conferenza Capolavoro sconosciuto (perduta). Nonostante il parere contrario dei Ghiringhelli, si fece patrocinatore di una moderna arte cristiana, come testimoniano gli articoli pubblicati nel 1930-31 su L’Ambrosiano e La Casa bella, di cui era divenuto redattore. Dedicò qui il suo primo intervento ad Arturo Martini (1930) e, senza dimenticare la lezione del cubismo, propugnò una scultura risolta nel pittoricismo del modellato, di cui Lucio Fontana fu per lui il rappresentante più compiuto. Nel 1931 due conferenze testimoniavano lo spostarsi dell’interesse di Persico dall’ambito letterario a quello specificamente architettonico: Invenzione cristiana di Enea, che celebrava l’eroe virgiliano quale edificatore di una nuova civiltà sulle rovine del mondo pagano, e Ceci tuera cela, che al palazzo della Permanente riconosceva in Henry van de Velde l’iniziatore del movimento moderno.
Se i suoi scritti d’arte erano soprattutto di polemica morale ed esulavano dal concreto esame delle opere, quelli di architettura aderirono invece a una conoscenza storica e concreta dei manufatti, cui la sua intelligenza poliedrica conferì uno sguardo eccentrico e rare facoltà d’intuizione. Oppose a Strapaese la propria polemica «stracittadina» e in Gli architetti italiani, apparso su L’Italia letteraria nel 1933, avviò un esatto bilancio della situazione nostrana. Se nella conferenza Mistica dell’Europa, organizzata nel 1934 al Milione in occasione della mostra del gruppo dei Quattro (in cui erano Renato Guttuso e Nino Franchina), ribadì, ai fini della creazione di uno stile nazionale, la necessità di un sistema di valori capace di riallacciare l’Italia alla più viva tradizione europea, in Punto e a capo per l’architettura, pubblicato su Domus alla fine del 1934, affermò la necessità di un’architettura non appiattita su un mal compreso stile moderno o una mediterraneità di maniera. In opposizione con la teoria del ‘lusso necessario’ di Ugo Ojetti, tale riflessione trovò precise corrispondenze con l’idea di architettura come impegno sociale cara a Giuseppe Pagano Pogatschnig, direttore dall’inizio del 1932 di La Casa bella cui mutò il nome in Casabella.
Grazie a questo sodalizio, Persico avviò una strategia critica impostata su due campi d’intervento complementari: la critica architettonica e il progetto grafico (e poi architettonico), trasformando in pochi anni la rivista nel più lucido strumento interpretativo del razionalismo italiano. Rifiutò d’identificare il razionalismo sia con la triade del vetro-ferro-cemento, sia con lo standard di Le Corbusier e, consapevole dei problemi posti dalla rivoluzione industriale, difese il Bauhaus di Walter Gropius.
Nel 1933, recensendo su La Fiera letteraria la Mostra internazionale di architettura moderna alla V Triennale di Milano, ne affrontò la storiografia delle origini, che poi sviluppò compiutamente nella conferenza Profezia dell’architettura, tenuta nel 1935 a Torino presso la società Pro cultura femminile, dove collegò l’art nouveau alla teoria postimpressionistica dei colori complementari e tracciò un albero genealogico che andava da Victor Horta a Frank Lloyd Wright, anticipando il primo saggio sull’architettura moderna, Pioneers of the modern movement, di Nikolaus Pevsner (1936). Il testo rimase però inedito nonostante il critico fosse diventato nel 1935 condirettore di Casabella.
Sin dal 1931 si era occupato di fotografia, pubblicità e tipografia, ma fu in qualità di caporedattore di Casabella e poi di direttore dell’ufficio promozione dell’Editoriale Domus, che egli concepì composizioni grafiche sempre più efficaci per comunicazione visiva, come testimoniano il bozzetto per la copertina di La Bella italiana, caratterizzato da un gioco di astrazione vicino al linguaggio del Bauhaus (1934-35, non realizzato); il volume Arte romana (1935), da lui scritto, illustrato e impaginato con la collaborazione di Anna Maria Mazzucchelli, segretaria di redazione; la monografia Dopo Sant’Elia edita da Domus (1935), ai quali si devono aggiungere opuscoli, cataloghi e pagine pubblicitarie (spesso non firmate).
La formula dell’impaginazione equivaleva per lui a un’esplicita opzione per il moderno, che andava al di là dell’adesione al movimento Nuova Tipografia e che trovò formulazione teorica nelle lezioni da lui tenute nel 1934 all’Istituto per le Industrie artistiche di Monza, dove si diplomarono molti futuri designer della Olivetti.
Il passaggio dalla grafica all’architettura fu per Persico un approdo naturale e obbligato e avvenne nel 1934, quando progettò l’installazione nella galleria Vittorio Emanuele di Milano di una struttura in tubi Mannesmann verniciati quale supporto dei manifesti per le elezioni plebiscitarie. Realizzato con la collaborazione di Marcello Nizzoli, il lavoro anticipò la ristrutturazione dei negozi Parker di largo S. Margherita (1934, distrutto) e di corso Vittorio Emanuele (1935, distrutto), dove Persico costruì un ritmico spazio astratto. Su un puro schema grafico si basò anche il progetto per la sala delle Medaglie d’oro alla Mostra dell’Aeronautica italiana del 1934, dove concepì un’architettura luminosa che incantò Gropius e che s’impose quale imprescindibile riferimento linguistico per una versione italiana del razionalismo internazionale. Risalgono al 1935 il progetto del chiosco Domus per la fiera di Bari e quelli per gli arredamenti della casa del fratello Renato a Napoli e degli studi a Milano di Gianni Mazzocchi e di Antonio Cazzaniga, per i disegni esecutivi dei quali Persico si avvalse dell’architetto Alessandro Pasquali.
Nonostante una nuova detenzione, nel 1935 su richiesta di Gino Valori ideò i bozzetti per le scene delle commedie Ninetta di Sabatino Lopez, La fattoria Polker di Arturo Rossato e La trilogia di Dorina di Gerolamo Rovetta (non realizzate) e su invito di Ferdinando Ballo approntò per il festival musicale di Venezia le scenografie di due balletti (non realizzati), immaginando spazi percorsi da velari di cellofan. Insieme con Nizzoli e l’architetto Giancarlo Palanti si aggiudicò il I premio al concorso per il salone d’Onore della VI Triennale di Milano (1936), diretta da Pagano, Mario Sironi e Carlo Alberto Felice.
Ornato da fotomosaici dei grandi condottieri romani e reso surreale da un candore accecante, l’ambiente voleva essere un atto di fiducia in un’Europa pacificata, ma il nome fu mutato in sala della Vittoria e fu aggiunta un’iscrizione – tratta dal discorso di Benito Mussolini per il successo in Africa – sullo zoccolo della statua (gesso) realizzata da Lucio Fontana, artista per il quale il critico stava curando la prima monografia, che sarebbe uscita postuma per i tipi della rivista Campo grafico (1936).
Morì a Milano nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1936 nella sua casa in corso XXII Marzo.
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