GIRETTI, Edoardo
Nacque a Torre Pellice il 10 ag. 1864, da Agostino e da Giuseppina Coggiola. La madre era stata allieva di F. De Sanctis negli anni in cui questi aveva insegnato presso l'Università di Torino. Il padre, nel 1869, aveva fondato a Bricherasio un setificio e sin da giovane il G., primo di diciassette figli e laureato in giurisprudenza, si inserì nelle attività dell'impresa di famiglia, di cui doveva poi assumere la direzione.
La conoscenza, mentre era ancora studente universitario, delle problematiche dell'organizzazione industriale di un settore di ampia rilevanza internazionale come quello della seta, facilitò in lui il formarsi di una visione generale che lo portò a vedere il progresso dei popoli nella pace e nella libertà degli scambi. Nella sua lunga battaglia liberista, destinata a durare tutta la vita, il G. entrò in contatto, e operò, con altri esponenti del mondo industriale e con alcuni degli economisti più famosi del tempo, come M. Pantaleoni, V. Pareto, A. De Viti De Marco, E. Barone, U. Ricci, A. Cabiati e, soprattutto, L. Einaudi, al quale lo legò una consuetudine di amicizia e di collaborazione che non si interruppe mai.
Il G. partecipò, dunque, già da protagonista, alle battaglie antiprotezioniste che ebbero luogo in Italia all'indomani dei provvedimenti tariffari del 1887 e della conseguente guerra doganale con la Francia, e che proseguirono fino all'inizio della prima guerra mondiale. Intanto, nel 1888, all'età di 24 anni, il G. aveva fondato a Bricherasio un Panificio cooperativo - del quale fu presidente e amministratore fino al 1927 - e l'attività nel campo della panificazione lo portò a verificare in concreto gli effetti, disastrosi per i consumatori, soprattutto i più indigenti, del dazio sul grano. E di fatto, negli ultimi anni del secolo, sembrò al G. e al suo gruppo che proprio l'abolizione del dazio sul grano fosse l'obiettivo liberista in grado di mobilitare a più ampio raggio l'interesse dell'opinione pubblica, in quanto danneggiava non solo i consumatori ma anche i produttori, perché scoraggiava i settori che producevano beni esportabili, come vino, olio e agrumi, nonché ritardava l'innovazione dei metodi produttivi delle aziende agricole beneficiarie del sistema protettivo.
Si trattava soprattutto di un obiettivo che s'inseriva bene nella generale preoccupazione per l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e che consentiva a liberali e socialisti di combattere insieme contro le politiche governative. Il perseguimento di tale obiettivo, inoltre, aveva secondo il G. un valore strategico, perché una volta eliminato il dazio sul grano sarebbe venuto meno un tassello molto importante della struttura protezionista, il cui smantellamento sarebbe stato così più agevole. I numerosi scritti del G. sull'argomento, apparsi su quotidiani e anche su periodici come il Giornale degli economisti e il Journal des économistes, furono da lui poi raccolti nel volume Per la libertà del pane (Torino 1901).
La sua polemica antiprotezionista, comunque, si concentrò nel corso di questi anni, con eguale intensità e forse con maggiore insistenza e continuità, anche su altri settori protetti, in particolare la siderurgia e la produzione zuccheriera.
La protezione del settore zuccheriero veniva criticata dal G. in quanto tale industria era da lui ritenuta "essenzialmente politica", senza alcuna giustificazione se non per gli imprenditori direttamente interessati, mentre non giovava né ai produttori di barbabietole, costretti a vendere il loro prodotto a un prezzo politico, né all'industria di trasformazione (marmellate, biscotti, sciroppi ecc.), che doveva acquistare zucchero ad alto costo. Quanto all'industria siderurgica, il G. lamentava la carenza di materie prime sul territorio italiano - con conseguente necessità di importazioni massicce di ghisa e di rottami di ferro - e dimostrava, cifre alla mano, che il valore lordo della produzione nazionale di ferro e acciaio, al netto dei rincari dovuti ai dazi protettivi, era inferiore ai costi.
Nel 1891, a Milano, il G. aveva partecipato alla costituzione dell'Associazione per la libertà economica - nata su impulso di U. Mazzola e per iniziativa, oltreché del G., dell'industriale R. Gavazzi e di G. Raimondi, redattore del Corriere della sera - con l'obiettivo di introdurre e potenziare elementi di liberismo nella politica economica italiana; quasi contemporaneamente era sorta a Roma l'Associazione economica liberale, voluta da De Viti De Marco, il cui programma era apparso nel giugno 1892 sul Giornale degli economisti.
Per estendere la polemica antiprotezionistica e liberista dal livello puramente accademico, e comunque limitato a pochi addetti ai lavori, il G. decise d'impegnarsi personalmente in politica. Nel 1897, quindi, si candidò alla Camera dei deputati nel collegio di Bricherasio, dove però aveva una notevole influenza G. Giolitti, dal G. sempre apertamente avversato per la scarsa limpidezza dei metodi, ricevendone in cambio un'opposizione che gli precluse, allora e per molto tempo a seguire, la possibilità di vincere le elezioni.
Altro precipuo interesse del G. fu quello per il movimento pacifista, maturato dalla critica alle spese militari profuse in particolare nell'avventura africana, che egli apertamente deplorò in una conferenza tenuta a Torre Pellice nel febbraio 1896.
Anche in questo ambito il G. operò in stretto contatto con i principali esponenti del pacifismo italiano e internazionale, tra cui E.T. Moneta.
L'insuccesso della campagna per l'abolizione del dazio sul grano (la Camera dei deputati respinse la proposta nel marzo 1901) non scoraggiò il G., che continuò le sue polemiche antiprotezioniste, al solito d'intesa con i socialisti, sia contro il dazio sul grano, sia contro le misure a favore dei metallurgici e degli zuccherieri.
Il G. collaborò attivamente all'alleanza tra liberisti e socialisti, che si protrasse per alcuni anni, anche con conferenze e articoli apparsi tra l'altro sull'Avanti! (a partire dal 1903 e inizialmente con lo pseudonimo Free Trader).
Nel 1904 partecipò alla costituzione della Lega antiprotezionista, caratterizzata da una consistente presenza socialista - il G. era molto vicino a E. Ferri - e organizzata anche in chiave elettorale in relazione alle elezioni politiche che si tennero nel novembre di quell'anno. Il manifesto della Lega era stato redatto da G. Ferrero e il programma venne presentato da De Viti De Marco a Milano, Torino e Bologna; tuttavia, il partito socialista, fatta eccezione per il tema del dazio sul grano, non si impegnò fino in fondo. In conseguenza di ciò il G. si trovò sostanzialmente isolato in un collegio come quello di Bricherasio dominato da Giolitti, che ebbe facile giuoco nel far prevalere un altro candidato. La sconfitta, comunque, non lo dissuase dal perseguire i suoi obiettivi liberisti, della cui validità era sempre più persuaso, tanto da respingere anche la prospettiva di eventuali interventi protezionistici in favore del settore serico, in cui era direttamente impegnato come imprenditore.
Nei primi anni Dieci l'impresa libica vide il G. all'opposizione, con un atteggiamento molto più critico di quello assunto da altri illustri compagni delle sue precedenti battaglie, come Einaudi e De Viti De Marco in campo liberista, e, in campo pacifista, lo stesso Moneta, che il G. accusò di non aver manifestato alcun dissenso circa l'azione del governo italiano.
L'opposizione del G. all'avventura coloniale era fondata, oltre che su una generica avversione alla guerra, da lui considerata un modo per approfondire i conflitti internazionali piuttosto che un sistema per risolverli, anche su considerazioni di tipo economico: egli temeva che un conflitto avrebbe giocato a favore delle richieste di protezione da parte dei settori che già beneficiavano fin troppo degli aiuti pubblici e, a questo riguardo, parlava di "libicismo" siderurgico e zuccheriero. Sosteneva, infatti, il G. in uno scritto del 1912: "Fra i tanti mali, prodotti dalla nuova infatuazione imperialista e coloniale, di cui l'Italia porterà a lungo la pena dolorosa, è pur quello che è stata e sarà distornata l'attenzione del paese dal problema urgente e gravissimo della riforma del nostro regime doganale" (La nuova fase doganale e gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, in L'Unità, I [1912], 10, p. 37).
Non esitò, poi, a denunciare le speculazioni cui aveva dato luogo l'impresa libica; significativo, a questo riguardo, l'articolo Gli zuccherieri e la Libia (ibid., 32, p. 125): il G. metteva in evidenza come l'estensione della sovranità italiana sulla Libia consentisse agli zuccherieri italiani (da lui definiti "i baroni dello zucchero") di estendere a quel territorio lo speciale trattamento protettivo ottenuto sul territorio italiano, in deroga alla clausola che, in base agli accordi internazionali tra i produttori di zucchero, imponeva, invece, la riduzione della protezione.
L'azione del G. per coalizzare gruppi anche eterogenei attorno a un programma minimo di riduzione dei dazi (e quindi dei prezzi) si manifestò con particolare incisività nel periodo tra il 1912 e il 1914, anno in cui sembrò possibile giungere a qualche risultato concreto. La sua capacità di svolgere un ruolo importante in questa direzione si rafforzò con l'ingresso alla Camera nel 1913, quando, dopo tutti i tentativi falliti nelle precedenti competizioni elettorali, riuscì infine a conquistare il seggio nel collegio di Bricherasio che mantenne, però, solo per quella legislatura. Nel gennaio 1914, il G. si recò in Puglia per indagare sui risultati elettorali dei collegi di Molfetta e di Bitonto, nei quali G. Salvemini era stato sconfitto.
In quell'occasione pronunciò alcuni discorsi antiprotezionisti che ebbero largo successo. Tenne, inoltre, conferenze e comizi a Torino, Milano, Biella e Como, anche in diretto contraddittorio con sostenitori del protezionismo; in aprile, poi, fu organizzata a Roma una manifestazione in suo onore (i discorsi pronunciati in quell'occasione sono raccolti nel volume Liberali italiani per E. G., Roma 1914).
Proprio nella primavera del 1914 il G. raggiunse la punta massima di consensi intorno al programma del suo ultraventennale impegno liberista, ricevendo il plauso di politici "radicali, repubblicani, socialisti e indipendenti" (Papa, p. 61), anche se, pur in quel momento particolarmente favorevole, non si creò mai intorno a questi temi un vero e proprio movimento di pubblica opinione. Sempre in quell'anno il G. aveva pubblicato Trattati di commercio e politica doganale (Roma 1914), dove forniva un quadro aggiornato e completo, anche sotto il profilo storico, del problema doganale quale si presentava alla vigilia della guerra.
In quest'opera egli esaminava dettagliatamente la situazione del sistema industriale italiano, distinguendo tra industrie protette e non protette, nonché la composizione della bilancia commerciale italiana, con l'analisi dei beni importati e di quelli esportati. Nella conclusione si soffermava sul programma della Lega antiprotezionista e invocava la riduzione unilaterale dei dazi doganali, indipendentemente da quanto fosse stato fatto negli altri paesi.
Di lì a poco l'inizio della guerra mondiale impedì qualunque seria riproposizione degli argomenti in favore del libero scambio, o quanto meno di una riduzione graduale dei dazi doganali. Allo scoppio del conflitto non fu facile, per il G., collocarsi su una posizione coerente con le idee sempre professate, nella difficile scelta tra neutralità e intervento. La sua visione internazionalista e pacifista avrebbe dovuto fargli scegliere la neutralità, ma il G., sia per l'influenza esercitata dai suoi compagni di lotta - come Einaudi, De Viti De Marco, Salvemini -, sia, forse, in odio all'antinterventista Giolitti, nel giro di pochi mesi subì una profonda evoluzione, raggiungendo, nel marzo 1915, posizioni interventiste.
Ancora nel gennaio 1915 la posizione del G. era per la neutralità e il presidente del Comitato per la pace di Torre Pellice stava lavorando, con un'iniziativa che tuttavia non ebbe seguito, per proporre la sua candidatura al premio Nobel per la pace. La spiegazione di questo mutamento di opinione è probabilmente da attribuire (D'Angelo, pp. 192-202) all'aver egli raggiunto la convinzione che l'intervento era l'unico modo per evitare la "trasformazione del mondo in un immenso Impero germanico, dominato da un kaiser e da uno Stato maggiore di pazzi criminali".
La polemica sull'impreparazione dell'Italia alla guerra lo vide, comunque, in difesa delle posizioni dei liberisti, accusati di aver limitato l'aiuto pubblico all'industria bellica; egli sosteneva, viceversa, che l'impreparazione nasceva da una distruzione delle risorse dovuta eminentemente al protezionismo.
L'8 ott. 1916, a Milano, il G. partecipò a un convegno su questo tema, ribadendo che la giustificazione dell'intervento non comportava un mutamento del giudizio negativo riguardo all'opera svolta in precedenza dai protezionisti.
Dopo la guerra, il G. riprese le sue abituali battaglie costituendo, insieme col vecchio gruppo antiprotezionista e con nuovi simpatizzanti, come U. Zanotti Bianco ed E. Rossi, il Gruppo liberoscambista italiano, che ebbe nell'Unità e nella Riforma sociale i principali organi di diffusione. Il contesto nazionale e internazionale era, però, molto cambiato da quello d'anteguerra e le problematiche connesse alla guerra avevano modificato profondamente il quadro economico-politico. Nella specifica prospettiva liberista del G., poi, le conseguenze più gravi non si limitavano all'incremento delle misure protezioniste, ma riguardavano anche il massiccio intervento pubblico in ogni campo, provocato dalla guerra, e la necessità di smobilitare le strutture burocratiche sorte di conseguenza.
Questi temi furono oggetto, oltre che di scritti del G. anche di suoi interventi alla Camera dei deputati, in diretta polemica con i rappresentanti del governo, incluso il presidente del Consiglio F.S. Nitti.
Malgrado l'insuccesso elettorale alle elezioni del 1919, il G. continuò nella sua attività per la salvaguardia dell'economia di mercato; in questa fase, l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920, in concomitanza con il ritorno di Giolitti alla presidenza del Consiglio, fece temere al G. compensazioni in favore degli industriali, e a spese dei semplici cittadini, attraverso un rafforzamento del sistema protettivo; questo timore fu, indubbiamente, uno dei fattori che lo indussero a valutare negativamente le agitazioni operaie di quel periodo. E quando, nel giugno 1921, Giolitti introdusse la nuova legislazione tariffaria, il G. non esitò a denunciare il provvedimento, che gli appariva come il risultato di una collusione tra classe politica, industriali e operai (I danni e le ingiustizie della nuova tariffa doganale, Torino 1922).
Anche in questa circostanza il G. non si trovò solo: si mosse sulla medesima linea l'intera pattuglia liberista; tra gli altri Einaudi scrisse che avrebbe preferito la conservazione delle vecchie tariffe, anche pagabili in oro, rispetto a questo "generale elevamento del muro protezionista" (Corriere della sera, 11 ott. 1921). Poco dopo, il G. pubblicava un altro saggio, dal titolo Come attuare il libero scambio in Europa (Torino 1924): le sue critiche, data la solidità del blocco di interessi che aveva portato a quella politica doganale, non produssero altri risultati se non quello di isolarlo sempre più dal contesto politico e industriale.
Il G., tuttavia, non si lasciò scoraggiare da un clima generale così estraneo e contrario alle idee che continuava a propugnare; promosse, anzi, la costituzione del Gruppo liberoscambista italiano, sorto nell'ambito della Riforma sociale, con la partecipazione, oltre che del direttore della rivista, Einaudi, degli alleati di sempre: De Viti De Marco, Salvemini, P. Jannaccone, G. Prato e altri ancora.
Il Gruppo, in cui confluirono anche alcuni industriali, non svolse attività propriamente politica, limitandosi a documentare gli effetti del protezionismo e a fare proposte per attenuarli.
Le iniziali dichiarazioni di carattere liberista di B. Mussolini e le riforme "tendenzialmente liberiste" (come si espresse lo stesso G., che non esitò a definirle "coraggiose") del ministro A. De Stefani suscitarono nel G. qualche speranza circa le possibilità di successo della battaglia antiprotezionista.
Nel marzo 1923 egli scriveva a P. Gobetti che il governo di Mussolini era "quanto di meglio" potesse avere l'Italia in quel periodo. Questo iniziale atteggiamento di favore, basato sia sulla valutazione dell'assenza di alternative a Mussolini, sia sulla speranza - sempre rivelatasi fallace - che alla dittatura politica potesse accompagnarsi il liberismo economico, doveva pian piano lasciare spazio alla delusione circa il quadro politico ed economico, non solo nazionale, ma anche internazionale.
Infatti, dopo una serie di provvedimenti in senso liberista - soprattutto il decreto n. 1545 dell'11 luglio 1923, che riduceva numerosi dazi -, a partire dal 1925 la politica protezionista ebbe di nuovo il sopravvento, tanto che lo stesso De Stefani, prima di lasciare il ministero delle Finanze, ripristinò il dazio protettivo sullo zucchero.
Nel marzo 1924 il G. partecipò al Congresso scientifico per l'espansione delle relazioni commerciali che ebbe luogo a Lione, con la relazione Come attuare il libero-scambio in Europa, pubblicata poco dopo sulla Riforma sociale (novembre-dicembre 1924), in cui proponeva unioni doganali e leghe tra i paesi europei.
Ma, con la seconda metà degli anni Venti e, soprattutto, dopo l'inizio della crisi mondiale, il G. lasciò da parte le speranze di ritorno al libero scambio e si concentrò sulle condizioni del settore serico, non mancando di richiedere proprio quegli aiuti pubblici che in passato aveva respinto.
La "burocrazia corporativa", peraltro, sbigottiva il vecchio liberale, che negli ultimi anni della sua vita poté sperimentare direttamente come la politica di assistenza alle imprese non fosse una valida alternativa all'economia di mercato. Una tesi, questa, che egli aveva sempre vigorosamente sostenuto, e di cui non avrebbe certo immaginato, iniziando la sua lotta antiprotezionistica, di dover verificare personalmente la validità.
Nell'ultimo periodo della sua vita il G. pubblicò un saggio, scritto su commissione di Einaudi e con la collaborazione del nipote Luciano Giretti, nel quale sono sintetizzate le sue principali riflessioni sulle vicende di quegli anni (Il protezionismo e la crisi, Torino 1935).
Obiettivo principale di quest'opera era quello di spiegare in che modo i vari governi italiani avevano reagito alla crisi mondiale e ai conseguenti provvedimenti degli altri paesi. I problemi del commercio internazionale di quegli anni vi sono lumeggiati con particolare acutezza, in uno stile sobrio e in modo equilibrato. Tra l'altro, egli metteva in evidenza l'inefficacia della protezione siderurgica, dimostrata dal fatto che, durante la guerra, per produrre armi l'Italia aveva dovuto ricorrere a ferro e acciaio forniti dai paesi alleati. Inoltre, egli sottolineava che i gruppi industriali favoriti dalla guerra avevano fatto di tutto per mantenere i loro privilegi anche dopo la fine del conflitto; criticava, poi, i trattati di pace, che avevano messo in evidenza la ristrettezza di vedute dei rappresentanti delle potenze vincitrici; secondo il G., alla fine del conflitto l'Italia avrebbe dovuto incoraggiare e guidare una lega doganale comprendente gli Stati appartenenti all'ex Impero austroungarico, creando così le premesse per una confederazione europea. Inoltre, per il G. l'elemento più preoccupante risiedeva nella tendenza all'aumento dei controlli nei diversi settori del commercio con l'estero; egli criticava gli industriali che si mostravano disponibili a "collaborare per la progressiva attuazione del commercio internazionale come un monopolio ed una funzione burocratica dello Stato" (p. 66). Infine, il G. giudicava "doppiamente assurdo" il nazionalismo economico per paesi, come l'Italia, privi di materie prime, per i quali la "condizione di vita e di prosperità dovrebbe essere cercata nella massima possibile estensione dell'area e della libertà degli scambi commerciali" (p. 77). Egli concludeva, quindi, auspicando che tutti i paesi si accordassero per "fare inserire nel patto della Società delle nazioni il terzo punto abbandonato del presi-
dente Wilson per la progressiva maggiore possibile abolizione di tutte le barriere e restrizioni doganali" (ibid.).
Il G. morì a Bricherasio il 27 dic. 1940.
Fonti e Bibl.: Carte relative al G. si trovano a Torino, Fondazione L. Einaudi, Carte Einaudi (lettere del G. a L. Einaudi); Lugano, Biblioteca cantonale, Archivio G. Prezzolini; Torre Pellice, Archivio F. Falchi; New York, Biblioteca della Columbia University, Carte G. Ferrero; Firenze, Istituto storico della Resistenza in Toscana, Carte G. Salvemini. Vedi anche necr. in Rivista di storia economica, VI (1941), pp. 66-69; U. Zanotti Bianco, Nota storica sul movimento antiprotezionista in Italia, in A. De Viti De Marco, Un trentennio di lotte politiche (1894-1922), Roma 1929, pp. XI-XXII (con l'elenco dei più importanti scritti del G.; ried. Napoli 1994, a cura di A.M. Fusco, pp. LIII-LXI); P. Gobetti, Opere complete, I, Scrittipolitici, a cura di P. Spriano, Torino 1960, ad indicem; La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, V, L'Unità e La Voce politica, a cura di F. Golzio - A. Guerra, Torino 1962, ad indicem (con ristampa di alcuni articoli del G. e notizia bio-bibliografica a p. 906); A. Papa, E. G., in Belfagor, XXV (1970), pp. 50-70; S. Inghirami, La predica inutile dei liberisti. La Lega antiprotezionistica e la questione doganale in Italia (1904-1914), Milano 1991, ad indicem; L. D'Angelo, Pace, liberismo e democrazia: E. G. e il pacifismo democratico nell'Italia liberale, Milano 1995.