COLLAMARINI, Edoardo (Odoardo Stefano)
Nacque a Bologna il 13 sett. 1863 da Emilio e da Matilde Cocchi. Compiuti brillantemente gli studi presso l'istituto di belle arti di Bologna, si diplomò nel 1884. Agli esordi della sua attività di architetto, iniziò, in quegli stessi anni, una stretta consuetudine con Alfonso Rubbiani, il celebre e ancor oggi discusso restauratore e "costruttore di illusioni" (A. Rubbiani, catal., 1981), una consuetudine che doveva durare a lungo, condizionando fortemente lo sviluppo della sua personalità. E in qualità di disegnatore firmò nove tavole nell'atlante allegato al volume del Rubbiani per il restauro della chiesa bolognese di S. Francesco (La chiesa di S. Francesco, Bologna 1886: vedi A. Rubbiani..., catal., 1981, pp. 93, 223 ss. e ill. 1-7 a pp. 73-75).
Nel 1887 il C. partecipò al concorso artistico internazionale per il completamento della facciata della basilica di S. Petronio, il tema del compimento essendo stato imposto dalla Commissione permanente di belle arti di Roma. Il Disegno di compimento della facciata di S. Petronio è conservato nel Museo di S. Petronio a Bologna (n. 24).
Tutti i progetti presentati furono considerati mediocri; e, come si desume dalla relazione scritta da Federico Berchet per la commissione giudicatrice, non fu assegnato alcun primo premio. Furono invece dati due premi di incoraggiamento, uno a Giuseppe Ceri, progetto n. 5, e l'altro al C., progetto n. 15. Il progetto del C., dal motto "O qui adspicis benevolus esto", proponeva un disegno improntato ad una scolastica manipolazione di motivi architettonici del Trecento (A. Rubbiani..., catal., 1981, pp. 59, 146 e ill. 165 a p. 125).
L'iniziativa per il concorso petroniano aveva nel frattempo scatenato una vivace polemica che assumeva ben presto i toni di una contrapposizione politica fra "antimassonici", favorevoli, e "anticlericali", contrari.
Fra gli altri si contrapponevano da un lato, il Comitato per Bologna storica e artistica, ovviamente A. Rubbiani, e poi A. Gatti ed altri, e dall'altro nomi celebri come G. Carducci, bersagliato dai clericali, e C. Ricci. Giuseppe Sacconi col suo parere contrario rafforzava le file degli oppositori al concorso. Sidney Colvins, allora direttore del British Museum di Londra, in visita a Bologna e richiesto di una opinione, ebbe a dire: "Spero che non rovineranno S. Petronio con una facciata come pur troppo hanno fatto altrove per altri monumenti" (Gazzetta dell'Emilia, 5 nov. 1887).
La polemica trovò largo spazio su vari giornali come La Patria,Fanfulla, e fogli polemici come La Striglia e altri; toni molto aspri ebbe però su L'Unione, quotidiano cattolico, e sulla Gazzetta dell'Emilia, testata di segno opposto. Il giovanissimo C. prese parte alla polemica in prima persona, schierato in campo cattolico.
Nel suo articolo Per la facciata di S. Petronio su L'Unione del 28 sett. 1887, dopo aver registrato la freddezza della cittadinanza e i malumori contro il Comitato, e dopo aver tirato alcune stoccate contro il Carducci, affermava; "È doloroso che una parte della stampa cittadina non voglia dare appoggio ad una eletta schiera di persone che accettano così grave compito pieno di tante responsabilità qual è quello di proseguire la facciata della nostra Basilica, mentre a Firenze ed a Milano, quanti hanno patrocinata la causa delle fronti di quelle Cattedrali, sono stati, non solo bene accolti dalle rispettive cittadinanze, ma validamente appoggiati dalla stampa di ogni partito e colore...". E concludeva: "quindi il grido prematuro che si voglia compiere un delitto artistico e che ha raffreddato molti animi, pesa indegnamente non sul Comitato dell'opera della facciata, ma sugli artisti italiani, a cui si nega la capacità di una produzione lodevole, degna continuazione dell'arte del Trecento". I venti progetti furono esposti apartire dal 4 ottobre di quell'anno nell'aula magna dell'Accademia di belle arti. Critiche molto taglienti all'iniziativa furono fatte da C. Ricci (Uno,due e... tre!, in Fanfulla, 18-19 ott. 1887).
Accanto ai progetti ufficiali fu esposto anche, fuori concorso, sempre all'Accademia di belle arti nella sala Curlandese, un disegno, prodotto della collaborazione fra il Rubbiani ed il C. e non firmato, per il completamento della facciata petroniana. Il progetto, redatto dal C. in coppia con uno dei notabili della cultura architettonica bolognese, di completamento non era, giacché gli autori, non tenendo ovviamente conto delle indicazioni contenute nel bando del concorso, proponevano una facciata quasi totalmente nuova in "stile gotico". Oltre alla rimozione delle due porte laterali da porsi una a "rendere decorosa la parte del tempio in piazza del Pavaglione, la altra quella che esce in Corte dei Galluzzi", i due suggerivano di asportare persino le sculture di Iacopo della Quercia e di esporle altrove nella basilica. Senza dubbio il progetto rifletteva ancor più precisi intenti polemici del Rubbiani che non idee e convincimenti del Coliamarini. Il concorso comunque non ebbe seguito.
L'anno seguente il C. ottenne un secondo premio di lire 1.000 "a titolo di incoraggiamento" per la sua partecipazione, con un disegno dal motto "Etna" al concorso bandito dal municipio di Bologna nel 1887 e chiuso nel marzo 1888 per la sistemazione del "nuovo piazzale alla porta di Galliera" al termine della via dell'Indipendenza e in prossimità della stazione ferroviaria. La competizione, alla quale parteciparono solo sei concorrenti, fu vinta dal progetto di T. Azzolini e A. Muggia (Arte e storia, VIII [1889], pp. 22 s.).
Nel 1891 il C. vinse il concorso indetto dall'Accademia dei Virtuosi al Pantheon per una facciata da farsi alla chiesa romana di S. Maria d'Aracoeli; sempre a Roma il C. aveva fornito, assieme ad E. Tognetti, un progetto per la sinagoga (1890). Nuovamente con A. Rubbiani, ma questa volta partecipante anche Achille Casanova, il C. presentò il 31 marzo 1898 un Progetto di ridipintura murale della basilica di S. Antonio in Padova,secondo stile del secolo XIV-XV… (A. Rubbiani..., catal., 1981, pp. 386s., 411 s., ill.).
Il progetto, contrassegnato dal motto "Gemma paupertatis", prospettava una decorazione universalmente diffusa fra l'architettonico e il decorativo, basata su schemi liturgici e devozionali ispirati dalla figura e dalle opere del santo; esso fu prescelto dall'Amministrazione dell'Arca, che aveva indetto il concorso. I lavori, iniziati nel 1903, si protrassero fino al 1925.
In questi stessi anni, oltre ad ottenere numerosi riconoscimenti, il C. iniziò una carriera pubblica ricoprendo varie cariche. Assistente nell'amministrazione provinciale per l'arte antica (1892), socio onorario dell'Accademia di belle arti (1894), sempre nel capoluogo emiliano, al IX congresso degli ingegneri tenutosi a Bologna nel 1899ricevette il diploma di primo grado e la medaglia d'argento dal ministero della Pubblica Istruzione. Il giovane C. andava quindi delineandosi come una delle figure più promettenti delle nuove leve di architetti emiliani e acquistava notorietà anche fuori della sua regione.
Nel 1896 fu incaricato dal principe Alfonso Doria-Pamphili di costruire una nuova cappella funeraria gentilizia nella sua villa romana di Belrespiro fuori porta S. Pancrazio.
La cappella, destinata a sostituire quella provvisoria, chiude la prospettiva del viale del Maglio e sorge nel luogo precedentemente occupato dall'antica fontana dei Delfini: la prima pietra fu posta nel 1896 e l'inaugurazione avvenne solennemente il 25 sett. 1902 con il trasporto e la tumulazione delle salme di vari membri della famiglia. Il tempio è costituito da una cappella sovrapposta a una cripta con arcosoli.
Eseguita con dovizia di materiali pregiati, presenta uno stile medievaleggiante fra memorie bizantine e romanico-gotiche, il tutto in assoluta estraneità all'ambiente della secentesca villa dell'Algardi. L'opera contiene però motivi di interesse ed è dimostrativa del clima architettonico dell'eclettismo italiano che si protraeva oltre i propri limiti storici. Affreschi e cartoni per mosaici ed invetriate furono approntati ed eseguiti dal pittore triestino P. Bortoluzzi, conosciuto dal 1898 come Pieretto Bianco: diresse i lavori l'ingegner Paraccini.
Nel frattempo il C. aveva anche intrapreso la carriera di docente: insegnò dapprima a Roma presso la scuola serale delle arti decorative (1889-1892) e poi all'istituto Aldini-Valeriani di Bologna; dal 12 nov. 1899fu professore di architettura presso l'istituto di belle arti di Parma e dal 1º nov. 1904 di disegno architettonico presso l'università della stessa città; dal marzo 1908professore di architettura presso lo istituto di belle arti di Bologna, di cui divenne direttore il 30 aprile 1917, succedendo al pittore Silvio Gordini, e presidente dal 1º marzo 1924 (l'istituto diventerà poi Reale Accademia di belle arti).
Le linee alle quali si attenne il C. nella pratica d'insegnamento non si discostano dai dettami di una cultura eclettica provinciale della quale egli faceva totalmente parte. Molto versato nel definire una metodologia pratica per l'apprendimento di problemi costruttivi, era però legato ai linguaggi eclettici e ai materiali tradizionali: per il cemento armato e le possibilità in esso riposte mostrò forte indifferenza.
Il 22 febbr. 1897fu posta la prima pietra dell'istituto salesiano a Bologna, progettato dal C. nel 1896 (la prima metà fu inaugurata il 30 maggio 1899), e presso il quale doveva più tardi sorgere la sua opera maggiore, il tempio del Sacro Cuore. Negli stessi anni il C. eseguì, sempre a Bologna, opere minori. Del 1894 è ilcenotafio in stile cosmatesco per il cardinale Battaglini in S. Francesco e ivi ancora l'altare della seconda cappella a destra dell'ambulacro; nel 1899riaprì e adornò la cappella dei SS. Biagio e Cristoforo in S. Martino. Fra il 1894 e il '98eresse nel cimitero bolognese della Certosa le cappelle Talon, Bernaroli e Salina, ornata questa con sculture di G. Pacchioni, oltre al monumento Faccioli, in collaborazione con E. Barbieri.
Per gli anni a cavallo dei due secoli sono ancora da ricordare altre sue partecipazioni ad importanti gare architettoniche di vasta risonanza nazionale. Il C. fu presente infatti nei concorsi per la facciata del duomo di Arezzo (1895-1896), per quella del duomo di Milano, per il palazzo della Cassa di risparmio di Pistoia, per il duomo di Montepulciano e per la facciata della chiesa di S. Lorenzo a Firenze: quest'ultima partecipazione al concorso del 5 apr. 1900 non fu per il C. di molta soddisfazione: il suo progetto fu infatti assai criticato. Nel 1903 progettò un edificio per la Biblioteca nazionale di Firenze.
Fin dal tempo del ripristino di S. Francesco, il C. principiò a fianco del Rubbiani la sua attività prima di disegnatore poi di restauratore di edifici storici.
Il primo intervento di restauro architettonico su edificio medievale da lui concepito e autonomamente condotto fu quello a S. Maria degli Angeli, la cui facciata fu disegnata quasi ex novo: "riuscìcosa elegante, ma la parte d'imitazione superò quella indicata dalle tracce" (Zucchini, 1959, p. 58). Il restauro, per la partenza del C. per Parma, fu compiuto dal Rubbiani nel 1900; ed è tipica testimonianza di invenzione arbitraria su labili indicazioni rimaste.
Il lungo intervento (1911-25) sul complesso di S. Stefano chiarisce ancor meglio gli atteggiamenti di fronte al problema del restauro tipici della cerchia gravitante attorno al Rubbiani e al Comitato per Bologna storica e artistica.
Lo Zucchini, che pure usciva da quella cerchia, affermò (1959) che il C. "pur essendo un valente architetto, aveva un temperamento del tutto contrario a quello del buon restauratore e la mano troppo corriva a lasciarsi guidare dalla fantasia".
Il complesso stefaniano subì varie e pesanti manomissioni e fantasiose integrazioni: la chiesa della Trinità ebbe tutte le cappelle demolite e fu eretta la cappella della Croce su "forme d'invenzione" (Zucchini), come pure d'invenzione fu la nuova facciata, arretrata; ancor più manomessa l'attigua chiesa del Crocefisso, con abbassamento del pavimento, demolizione di alcune cappelle e ridecorazione abbastanza gratuita del vano principale, e altro (vedi A. Rubbiani..., catal., Bologna 1981, pp. 222 s., ill. 5 a p. 229). Il C. fu anche coinvolto nello scoprimento delle cupole della chiesa di S. Giacomo (1914-15), ricoperte con embrici di cotto, operazione voluta dal Rubbiani e compiuta dallo Zucchini, che trovò contrario C. Ricci, direttore generale delle Belle Arti. Secondo il Rubbiani, S. Giacomo "nel sec. XVIII fu accecata del suo grande occhio a rosa, privata delle sue cupole, sfregiata nel suo diadema, coperta alla peggio da una tettoia di fienile, popolata entro di facchini di gesso" ciò che lo induceva a "profondi sospiri per quella bellezza profanata" e a sostenere l'inderogabilità del ripristino, per il quale il C. prestò la mano e "col suo magistrale disegnare diè forma alla mia [di Rubbiani] incerta visione" (vedi anche nel Fondo Collamarini, nella Galleria comunale d'arte moderna di Bologna, la lettera del 12 genn. 1909 con la quale Rubbiani, a nome del Comitato per Bologna storica e artistica, lo ringrazia per il disegno che illustra la realizzazione dei "restauri"). A differenza di Rubbiani, onirico evocatore di fantasmi medievali, il C. seguì piuttosto le indicazioni di quello con una certa qual "sordità" e acriticamente. Allo Zucchini che lo accusava di operare un falso decorando la cappella Leoni in S. Martino nel 1919 (lavori 1919-28) con la "riproduzione in cemento delle terrecotte trecentesche esistenti nel fianco settentrionale della chiesa", il C. "rispose che non aveva inteso di fare un restauro archeologico, ma un restauro estetico" (Zucchini, 1959, pp. 115, 118).
Gli altri interventi di restauro in vari edifici di Bologna e dell'Emilia furono più o meno informati alle idee descritte: a Parma nel 1904 il C. ricevette l'incarico di ripristinare la chiesa romanica di S. Croce e nello stesso anno eseguì un progetto di restauro della Steccata (L. Testi, in L'Arte, VII [1904], pp. 325 s.); a Bologna lavorò in S. Maria delle Muratelle (1928); tra gli edifici civili si ricordano casa Bernaroli (1907-12) e il palazzo del podestà (1910), dove ancora il C., con G. Zucchini e A. Casanova, collaborò con Rubbiani.
Più cautela e sensibilità dimostrò forse il C. per problemi di trasformazione dell'ambiente urbano dell'antico centro di Bologna: al tempo dell'apertura della via Rizzoli, tenendo una posizione intermedia, nel suo scritto A tutti gli amministratori di buona volontà che fanno parte dei Consigli provinciale e comunale a Bologna (Bologna 1916), suggeriva una conciliazione al fine di conservare l'ambiente intorno alla Mercanzia e alle Due Torri, coordinando "le demolizioni inevitabili e le costruzioni entro le misure e distanze che non danneggino le prospettive create dalla storia".
Considerato ormai il maggior architetto emiliano del nuovo secolo, all'Esposizione internazionale di Roma nel 1911 il C. ebbe l'incarico di realizzare il padiglione, emiliano-romagnolo nella sezione dedicata alle regioni d'Italia. Diede una delle sue prove più fiacche, con un'architettura che, seppur effimera, era costituita da una indefinibile commistione di pezzi ripresi, o meglio prelevati da celebri edifici storici emiliani, un autentico pastiche: torricini estensi, facciate "bentivolesche", testate malatestiane e altro, in un insieme insulso ed episodico, assemblato corrivamente (ill. 50 in Roma 1911, catal., Roma 1980, p. 248; vedi anche L. Angelini, in Emporium, XXXV [1912], pp. 17, 22).
Dal 1901 al 1912 C. fu impegnato anche nella realizzazione della sua opera maggiore, la chiesa del Sacro Cuore nella zona la Bolognina, presso il parco ferroviario della stazione centrale bolognese.
Concepì il tempio salesiano in forma di basilica a pianta centrale vagamente memore di bizantino e di romanico: un impianto cruciforme sovrastato da una grande cupola emisferica, che crollò il 21 nov. 1929, poco più di un anno dopo la scomparsa del C., rovinando parte dell'interno (Resto del Carlino, 22 nov. 1929; A. Raule, in Charitas, XIII [1929], 11, pp. 80-82). Danni molto gravi riportò ancora il tempio nel bombardamento del 25 sett. 1943; fu riaperto al culto nel 1947. Dietro al Sacro Cuore fu eretta fra il 1926 e il 1929 l'altra metà dell'Istituto salesiano.
Abbastanza simile al Sacro Cuore salesiano è il santuario della Madonna del Sangue a Re in Val Vigezzo nel Novarese, i cui progetti sono degli anni 1909 e 1916. In esso, risalente al 1922, sono evidenti reminiscenze di un gotico forse più transalpino che nostrano. Complessa, in certo qual modo macchinosa, la volumetria esterna del santuario, con cupole, semicalotte e torricelli non certo atti ad aumentare la chiarezza della costruzione; l'interno appare invece decisamente unitario e ben calibrato, per certi lati più riuscito del Sacro Cuore di Bologna. Il santuario di Re viene considerato il capolavoro del Collamarini. Per queste sue prove nel campo dell'edilizia religiosa il C. godette l'apprezzamento dell'ambiente cattolico.
Ancora a Bologna il C. diede altre opere: fra l'altro, la Casa dei ciechi in via Castiglione (1908); la facciata del palazzo Bonora, anticamente Hercolani (1912); l'istituto di chimica generale "Ciamician" e vari altri edifici dell'università (istituti di botanica e di veterinaria); lo Châlet dei Giardini Margherita per incarico del comune; nella metropolitana di S. Pietro, la cappella di S. Anna, l'ancona in prospettiva eseguita in marmi da D. Venturi e con pitture di M. C. Trebbi (1906) e il monumento a Benedetto XV con busto eseguito da G. Romagnoli (1914); e poi il palazzo del Credito romagnolo, in via Rizzoli; l'edificio dell'istituto dell'orto botanico (1916); ammodernamenti di case in via Rizzoli e via Orefici; villino in viale XII Giugno, n. 14, di "raffinato disegno", e due villini in viale Panzacchi; battistero (1927) di S. Bartolomeo in Strada Maggiore; i palazzi della Società immobiliare romagnola e della Cassa di risparmio in via Irnerio; la facciata del palazzo delle provincie di Romagna e il rifacimento di quella della casa già di A. M. Colonna.
A Reggio Emilia il C. restaurò la casa detta del Boiardo (1906-1910), lavorò nel pal. Saporiti (1908-12), nella Cassa di risparmio, con la fastosa "celebrazione" ariostesca con marmi e bronzi nel salone del pubblico (1908-14); a Pesaro fece la Banca popolare e il palazzo delle poste (1904-10), trasformando la ex chiesa di S. Domenico. Intervenne poi in altri centri dell'Emilia e della Romagna: sono suoi il monumento a s. Francesco a San Marino; la facciata del santuario del Monticino a Brisighella e la sistemazione di quello di San Giovanni Calamosco; interventi nella chiesa di Casalecchio di Reno; la nuova facciata della parrocchiale di Castelfranco; il campanile e la facciata della chiesa di S. Lorenzo a Varignana. A Imola il C. restaurò la casa Sersanti.
Il C. morì a Bologna il 25 sett. 1928.
Ebbe doti di bonomia e cordialità tipiche della sua gente: "un ometto grassottello, dal volto roseo, che gli aveva procurato dagli amici il soprannome di "Bamben Gesò"" (A. Barbacci, Ricordo di E. C., in Atti e mem. dell'Accademia Clementina di Bologna, XIII [1978], pp. 73-75). Considerato dai contemporanei uno dei maggiori esponenti della cultura bolognese, il C. fu sepolto nel Campo Carducci della Certosa, presso le tombe di G. Carducci, di E. Panzacchi e di O. Respighi.
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio dell'Accad. di belle arti, Fasc. personale, oltre ad alcuni grandi disegni acquarellati, in partic. quattro progetti per la facciata di S. Lorenzo a Firenze (1901); Ibid., Gall. comun. d'arte moderna, Fondo Collamarini, disegni e documenti; Roma, Archivio Doria Pamphili, 1896, Fondaz. di cappella, pergamena commemor. della fondazione e della apposiz. della prima pietra, scaff. 97, n. 5, int. 12; 1902,Villa Pamphilj, 25 sett. 1902, inaugur. nuovo tempio e trasporto e tumulazione salme, scaff. 97, n. 5, int. 12 A, e due foto d'epoca della cappella (abside e ingresso cripta); A. C. Negrin, Sui programma del concorso artist. internaz. per il compimento della facciata di S. Petronio in Bologna, Vicenza 1886; R. Cattaneo, Alcune parole intorno ai restauri di S. Francesco... Risposta al sig. Collamarini, Bologna 1887; A. Gatti, La basilica di S. Petronio ed il concorso per la sua facciata, Bologna 1887, pp. 141-148; G. Carocci, Bologna. Il concorso per la facciata di S. Petronio, in Arte e storia, VII (1888), p. 32; Bologna. Premi del IX Congresso degl'ingegneri..., ibid., XVIII (1899), p. 156; I. B. Supino, La facciata della basilica di S. Lorenzo in Firenze, in L'Arte, IV (1901), pp. 261 s.; E. Gerspach, Carnet de voyage: Padoue…, in Revue de l'art chrétien, XLVI (1903), p. 384; D. Joseph, Gesch. der Architektur Italiens, Leipzig 1907, p. 507; A. Rubbiani, S. Giacomo degli Eremitani in Bologna…, in Rassegna d'arte, IX (1909), pp. 178 s.; Id., Due ristauri, in L'Archiginnasio, VII (1912), 1-2, pp. 79 s.; Notizie varie. Il concorso per la Cassa di Risparmio di Fano, in Architettura e arti decorative, IV (1924-1925), pp. 464-468, 474-479, L'architetto C. e gli affreschi del Santo, in L'Avvenire d'Italia, 27 sett. 1928; G. Zucchini, Edificidi Bologna, Roma 1931, pp. 41, 176; Id., Disegni antichi e moderni per la facciata di S. Petronio di Bologna, Bologna 1933, pp. 25-27, 31 s. n. 87, 32 n. 89, tavv. XXIX s.; Id., Un disegno ined. di A. Rubbiani e di E. C. per la facciata della basilica di S. Petronio di Bologna, in Atti e mem. della R. Accademia Clementina di Bologna, I (1933); G. Giovannoni, Quesiti di restauro dei monumenti, I, Il Duomo di Montepulciano, in Palladio, I (1937), p. 181; G. Lipparini, La R. Accademia di Belle Arti di Bologna, Firenze 1941, pp. 57, 58, 59, 74; A. Schiavo, Villa Doria Pamphilj, Milano 1942, p. 143; L. Garani, Il bel S. Francesco di Bologna, Bologna 1948, passim; A. Raule, Le chiese di S. Stefano in Bologna, Bologna 1955, pp. 11, 22, 48; U. Beseghi, Introduzione alle chiese di Bologna, Bologna 1956, pp. 344, 347; E. Lavagnino, L'arte moderna.., Torino 1956, p. 511, fig. 476; A. Raule, Il santuario del Sacro Cuore…, Bologna 1958; Id., La chiesa metropolitana di S. Pietro, Bologna 1958, pp. 34, 71; G. Zucchini, La verità sui restauri bolognesi, Bologna 1959, ad Indicem; A. Raule, La Certosa di Bologna, Bologna 1961, passim; C. L. V. Meeks, Italian Archit. 1780-1914, New Haven-London 1966, pp. 255, 259; G. Roversi, Santuario del Sacro Cuore, Bologna 1967; C. Ricci-G. Zucchini, Guida di Bologna [1931], Bologna 1968, ad Indicem; L. Bortolotti, Il Suburbio di Bologna nella storia e nell'arte, Bologna 1972, pp. 117-119; G. Capelli, Gli architetti del primo Novecento a Parma, Parma 1975, pp. 49-58, 204 s.; L. Patetta, L'archit. dell'eclettismo, Milano 1975, pp. 298, 299; G. Spagnesi, L'archit. a Roma al tempo di Pio IX, Pomezia 1976, p. 265; E. Gottarelli, Urbanistica e architettura a Bologna agli esordi della unità, Bologna 1978, ad Indicem; A. Rubbiani: i veri e i falsi storici (catal.), a cura di F. Solmi-M. Dezzi Bardeschi, Bologna 1981, pp. 245-247 e passim; U. Mazzei, Il palazzo del Podestà a Bologna, in L'Archit., XXVII (1981), pp. 590-595; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VII, p. 211; P. A. Corna, Diz. della st. dell'arte in Italia, Piacenza 1930, I, pp. 265 s.; H. Vollmer, Künstlerlex. des XX. Jahrh's, I, p. 461.