CALVO, Edoardo
Nacque (13 ottobre 1773) e visse a Torino, dove soccombette il 29 aprile 1804 a una malattia contratta nell'esercizio della sua professione di medico ospitaliero. Manifestò con vigore prima idee rivoluzionarie, onde il timore di persecuzioni durante l'occupazione austro-russa, e poi sentimenti misogallici, che gli procurarono la minaccia d'arresto dalle autorità francesi ma l'importanza politica del suo atteggiamento e dei suoi scritti è in gran parte frutto di un'esagerazione dei posteri, che risale specialmente al Brofferio. In realtà egli ebbe semplicemente un animo schietto, impetuoso, insofferente d'ipocrisie e di fanatismi e nel tempo stesso proclive alla malinconia e sensibilissimo alle sofferenze dei suoi simili. Spirito colto ed arguto, trovò nella poesia a volta a volta diletto e consolazione e sfogo ai suoi generosi risentimenti, fossero questi suscitati dalla rapacità dei governanti o dalla tirchieria degli amministratori dell'ospedale.
Col Diavolo in statu quo (anno I della Rep. ital.), poemetto eroicomico in ottave italiane, tentò la satira anticlericale, che tosto riprese nei tre canti delle Follie religiose (1801) scritto in dialetto piemontese, come poi tutte le altre sue poesie. La sua dirittura di animo e la delusione per il malgoverno dei Francesi gl'ispirarono le dodici Favole morali in terza rima (1802 e 1803); l'intento politico si fa più deciso nelle ottave delle Poesie inedite in dialetto piemontese (1803) e diviene satira personale nell'azione tragicomica in martelliani: Ai ven për tuit la söa, ossia Artaban bastonà, il maggiore fra i componimenti che egli lasciò inediti. Fra questi ricorderemo ancora il Ritratto del conte Chiavarina (sonetto), le strofe sulle vecchie zítelle (Le Fie d'arforma) nello stile giocoso-satirico dei toni allora di moda a Torino, il Passaport d'Aristocrat e il Sairà, che a lui con qualche fondamento si attribuiscono.
La violenza alcun poco retorica di queste due composizioni, il tono di diatriba delle Follie, le monotone figurazioni allegoriche dell'Artaban ci mostrano le idee e i sentimenti del C., certo non le esprimono. Quando però questo stesso suo mondo ideale è sentito da lui unicamente come schiettezza morale e semplicità di vita, il che accade nelle Favole o nell'ode Su la vita di campagna, allora questa semplice schiettezza, fatta di comune buon senso e dell'indulgente e onesta spregiudicatezza dell'uomo di scienza, riduce a qualche cosa d'intimo certa mescolanza di accenti popolari e di eleganze classicheggianti, che altrove è poco più che un gioco fra il rettorico e l'accademico. Così il C. nel momento in cui la poesia dialettale rifiorisce in tutta l'Italia, fu il poeta più grande del Piemonte, e nella complessità del suo stato d'animo bene espresse tutta la complessità di vita che il dialetto in quel momento era capace di esprimere. Lasciò pure qualche scritto di medicina, e si adoperò per diffondere l'innesto del vaiolo.
Opere: Poesie piemontesi di Edoardo Calvo, ed. centenaria a cura di L. de Mauri, Torino 1901, con la bibliografia delle precedenti edizioni: inoltre: Poesie scritte in dialetto piemontese da messer E. C., 3ª ed. con aggiunte, Torino 1816.
Bibl.: Per il primo centenario della morte di E. C.: spigolature di due amici del dialetto e delle memorie torinesi (V. Armando e T. Agostinetti), Torino 1905; L. Collino, Storia della poesia dialettale piemontese, Torino 1904, pp. 97-156. Biografia (oltre alle op. cit.), in M. Buniva, Discours historique sur l'utilité de la vaccination, Torino 1804, p. 38-39; A. Brofferio, I miei tempi, cap. cx; C. Gantesi, E. C. (Bosset biografich leterari), Torino 1894.