CALANDRA, Edoardo
Nacque a Torino da Claudio e da Malvina Ferrero l'11 sett. 1852 e, persa la madre, col fratello Davide venne educato dal padre, un avvocato appassionato di studi di idraulica, geologia e archeologia. Durante le assenze del padre, deputato nella IX e nella X legislatura (1865-1870) per il collegio di Savigliano, i due fratelli erano affidati al nonno materno, appassionato raccoglitore di antichità.
A 17 anni il C. abbandonò il liceo per dedicarsi allo studio della pittura; dopo i primi rudimenti nello studio del pittore D. Roscio, studiò presso l'Accademia Albertina e infine presso la scuola privata di E. Gamba. Nel 1874 fece la sua prima esposizione a Torino, presso la Società promotrice e il Circolo degli artisti, e i suoi quadri di soggetto storico ebbero una buona accoglienza. Nello stesso anno, col pittore G. Rocci, compì un viaggio lungo le rive del Reno; nell'inverno tra il 1875 e il 1876 fu a Parigi dove cercò di entrare in contatto con le nuove tendenze artistiche della Francia di quegli anni. Tuttavia, nonostante questa esperienza, il C. continuò a restare legato alla pittura di ispirazione storica. Nel 1880 partecipò col fratello Davide, avviato ormai decisamente alla scultura, agli scavi di una necropoli medievale rinvenuta dal padre presso Moncalieri: il C. ne stese, con suo padre, una relazione pubblicata nello stesso anno a Torino (Di una necropoli barbarica scoperta a Testona), e in margine a questa esperienza dipinse i suoi ultimi quadri, la Rosmunda e il Ritorno d'Italia.
Dal 1880 frequentava il negozio dell'editore Casanova, dove convenivano De Amicis, Praga, Camerana, Giacosa, Boito, Verga, F. Martini. Da questi contatti nacque la sua attività di illustratore di opere letterarie: il Casanova gli affidò le illustrazioni del Filo di Giacosa, delle Novelle rusticane di Verga e, nel 1884, di Fiabe e leggende di Praga. Questa attività, intermedia tra pittura e letteratura, segnerà la definitiva crisi dell'ispirazione pittorica del C. che farà le sue prime prove letterarie nel 1884 con i racconti La bell'Alda e Reliquie, editi a Torino dal Casanova, curandone anche le illustrazioni.
Già dai primi racconti è possibile ricostruire l'origine della conversione letteraria del C.: lo stimolo, qui come nella pittura, nasceva dalla scelta di un'ambientazione storica (il medioevo per Labell'Alda, l'età napoleonica per Reliquie).Tuttavia la scrittura gli appariva ora uno strumento molto più idoneo a compiere queiroperazione di decifrazione dell'immobile volto della storia. L'abbandono della pittura non fu dunque per lui una crisi tematica, ma di strumenti espressivi, testimoniata del resto dalla sua incapacità a superare il segno realistico di una figuratività definita tradizionalmente dal disegno e dal contorno. Lo strumento linguistico, seppure ancora gravato da impacci e incertezze nella scelta dei modelli stilistico-espressivi, gli permetterà sin dalle prime prove di sperimentare un arco più ampio di possibilità. Il recupero della fiaba nella Bell'Alda sarà perciò venato di deformazioni ironiche e di incursioni metapsichiche che persisteranno anche nella narrativa più matura, così da permettere ai critici l'inserimento del C. nella Scapigliatura piemontese.
Nel 1882 il vecchio nucleo familiare del C. si smembrava con la morte del padre e le nozze dei fratelli Dina e Davide. Nel 1884, in qualità di membro della sezione storia dell'arte dell'Esposizione nazionale di Torino, con G. Giacosa curò la progettazione, realizzata daTarchitetto A. D'Andrade, del cosiddetto borgo e rocca medievale nel parco del Valentino. Nel 1885, in compagnia di un cugino suo omonimo, visitò la Grecia e il Medio Oriente (Turchia, Egitto, Palestina), e di questo viaggio lasciò qualche traccia in alcuni quadretti di soggetto esotico. Nel 1886 pubblicò a Torino i Lancia di Faliceto, con prefazione di G. Giacosa, e come per i precedenti suoi volumi ne curò le illustrazioni.
L'ispirazione del C. si mantiene frammentaria (si tratta di alcuni racconti in cui sono narrate le vicende di una famiglia piemontese tra il 940 e il 1886), e trae vita dalla suggestione storica. Prosegue così una esteriore sperimentazione di moduli espressivi eterogenei, incerti fra un tono cronachistico, solo lievemente compromesso dall'intervento fantastico dell'autore, e l'ironizzazione discreta e velata delle memorie municipali.
Del 1887 è il racconto Ipifferi di montagna, del 1889 il romanzo La contessa Irene e la raccolta di racconti Vecchio Piemonte, tutti e tre pubblicati a Torino dal Casanova. La scrittura del C. appare ancora dominata da una fondamentale frammentarietà di ispirazione e da una povertà fantastica che gli impone il supporto storico come meccanismo d'avvio della narrazione. Tuttavia gli interessi del C. continuano a divergere sempre più sensibilmente dalla pura e semplice ricostruzione d'ambiente per spingersi, attraverso l'incastro dell'elemento macabro e fatale e dell'espressione di stati di esaltazione psichica, a delineare un sorta di secondo livello della realtà.
Tra il 1890 e il 1896 il C. volse il proprio interesse al teatro, scrivendo commedie e drammi che vennero rappresentati a Torino anche da grandi attori quali E. Zacconi e la Duse. Fra questi si ricordano: Ad oltranza, commedia in quattro atti, Torino 1890; Disciplina, scene in quattro atti (in collab. con S. Lopez), Torino 1892; L'irreparabile, scene, Torino 1894; Leonessa, dramma in quattro atti, Torino 1894. Sono rimaste inedite: La signorina Lidia, commedia in tre atti, U copsla testa, commedia en tre att (1893); L'offeso, dramma in tre atti. Ma dopo il 1896 non si occupò più di teatro, altro che in scritti ed abbozzi rimasti quasi tutti inediti, e ritornò invece alla narrativa con quelle che sono le sue opere più importanti. Nel 1895 pubblicò a Torino una seconda raccolta di racconti, già apparsi in periodici, anch'essa dal titolo Vecchio Piemonte (2 ediz. accresciuta: Torino 1905) e nel 1899 sempre a Torino uscì la prima edizione di La bufera, romanzo che viene comunemente considerato il suo capolavoro.
Egli tentava una risoluzione della sperimentata incapacità a pervenire ad una costruzione narrativa di vasto respiro. Il romanzo infatti si strutturava come un ampio affresco storico ricostruito minuziosamente sulle vicende del Piemonte al tempo della campagna d'Italia, tra il 1797 e il 1799. All'unicità del protagonista, inoltre, il C. sostituiva l'intrecciarsi delle vicende di due personaggi principali, uno maschile e uno femminile. Nonostante ciò, permaneva sul romanzo l'ipoteca dell'ispirazione frammentaria del C., evidente nell'artificioso giustapporsi dei casi dei due personaggi. Le due storie non arrivano infatti a trovare mai una fusione dettata da necessità intrinseche, e finiscono così per correre su binari paralleli. Accanto a questo nucleo principale, si collocano poi minori inserti narrativi che disgregano e frammentano la trama, reinserendo nella programmatica unitarietà romanzesca l'atomismo proprio dei precedenti racconti. Un'analoga incertezza si riscontra al livello espressivo, dove il C. rimane sospeso fra l'esattezza del tratto realistico e l'indeterminatezza, lo sfumato, del segno decadente. La bufera è anche il romanzo in cui più apertamente si dispiegano le ambizioni del C. ad una rappresentazione storica guidata da una sorta di personale discorso ideologico. Il tracciato dei rapporti tra aristocrazia declinante, borghesia nascente e masse popolari si trova infatti ad essere schematicamente impostato secondo una scelta in direzione della nuova classe, rappresentata come potenziale portatrice di valori lasciati cadere dall'aristocrazia. Il tramite più diretto di questa scelta è dato dall'ironizzazione del costume nobiliare, realizzata semplicisticamente attraverso una successione di tipi, quasi macchiettistici, fissati nella vacuità del gesto lezioso come in stampe settecentesche. Su questo versante, come anche nella rappresentazione cronachistica dello sfondo storico, si esercita ancora una volta la sua inclinazione alla minuziosa ricostruzione di costumi ed eventi, il "vero" teorizzato dal C., stimolo e condizione allo scatto della fantasia, e supporto dell'intera struttura romanzesca. Il carattere composito ed incerto dell'opera dovette apparire evidente anche al C., che si dedicò infatti ad una revisione ampia e minuziosa del romanzo, uscito a Torino in seconda edizione rifatta nel 1911.
Sulla Gazzetta del popolo della domenica apparve, dal 29 dic. 1901 al 5 genn. 1902, un saggio del romanzo rimasto incompiuto Prospero Venturina (ilmanoscritto è datato 1888) con il titolo In viaggio, e nel 1902 a Torino uscì la raccolta di racconti La falce;nel 1906 sempre a Torino pubblicò A guerra aperta, volume che comprende due romanzi brevi, La signora di Riondino e La marchesa Falconis;nel 1909 ancora a Torino uscì il romanzo Juliette.
Con queste opere si può dire conclusa la fase più feconda della produzione del C. la cui ultima opera, La straniera, comprendente novelle e lavori teatrali, venne pubblicata postuma a Torino nel 1914. Le costanti che presiedono alla costruzione,di queste sue ultime opere non si modificano sostanzialmente rispetto alle direttrici di sviluppo delle precedenti prove; tuttavia l'attenuazione delle punte più accentuate del contrasto stilistico-espressivo tra contorno e sfumato, l'abbandono delle ambizioni al discorso ideologizzato, e l'eliminazione della troppo facile ironizzazione permettono all'autore di attingere ad una dimensione originale della narrazione storica. In questo senso appare esemplare soprattutto il romanzo breve La signora di Riondino, che è, come La bufera, il racconto di una attesa; qui la semplificazione degli eventi e la riduzione del personaggi di contorno mettono finalmente in luce il carattere metaforico da parte del C. dell'uso della storia. Come già nella Bufera e come in genere in tutta la sua opera, la struttura della narrazione poggia solo sul protagonista e non sul contrasto di questo con un antagonista palese; così l'assenza dell'antagonista, che è una costante di tale narrativa, determina l'assenza dell'azione e dunque di ogni possibile sviluppo o progresso della trama. Questo carattere di immobilità della narrazione distacca decisamente l'opera del C. da possibili accostamenti al genere tradizionale del romanzo storico. Nella narrativa del C. infatti la storia scompare in quanto sfondo di uno scontro tra forze contrastanti, e si accampa in fimzione di antagonista, emblema di una fatale necessità che irrompe irresistibilmente in una struttura sociale armonica e serena scompigliandola, rovesciandone il carattere comunitario, isolando l'individuo e annullandone ogni possibilità di azione. La dimensione metastorica ed esistenziale di questo originale uso della storia come personaggio (una storia che si manifesta in genere attraverso la guerra, assunta come simbolo di un evento cieco, improvviso, casuale) consente inoltre una definizione più precisa dell'impegno "contemporaneo" del C., considerato generalmente uno scrittore appartato, sostanzialmente estraneo alla propria epoca. Con l'invenzione di un antieroe travolto inevitabilmente dal cieco procedere della storia, egli tracciava invece tra incertezze e ripensamenti, una metafora del proprio tempo e del disagio dell'individuo nella fase di transizione dalla civiltà preindustriale alla società industriale.
Il C. trascorse i suoi ultimi anni fra Torino, nella casa del fratello Davide, e Murello, località ampiamente rappresentata nelle sue opere e legata all'infanzia dello scrittore. Morì a Torino il 28 ottobre del 1911.
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