AMALDI, Edoardo
Nacque a Carpaneto Piacentino il 5 settembre 1908 da Ugo, docente universitario, e da Luisa Basini.
La formazione
A causa degli spostamenti di sede dovuti alla carriera accademica del padre, dopo aver frequentato le scuole inferiori a Modena, dal 1919 seguì gli studi liceali a Padova e nel 1924 si trasferì a Roma. Qui si iscrisse nel 1925 al corso di laurea in ingegneria, per poi passare a quello in fisica, dove ebbe come maestri Enrico Fermi e Franco Rasetti. Tra i giovani allievi di quel periodo vi era anche Emilio Segrè, col quale Amaldi pubblicò, ancora studente, il suo primo lavoro scientifico (Sulla dispersione anomala del mercurio e del litio, in Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei, s. 6, VII [1928], pp. 919-921). Si laureò il 6 luglio 1929 con una tesi sull’effetto Raman nel benzolo, sotto la supervisione di Rasetti. Dalla sua tesi derivarono altri due lavori, uno dei quali ancora in collaborazione con Segrè, anch’essi pubblicati nel 1929 nei Rendiconti lincei.
Dopo il servizio militare, nel 1931 trascorse un periodo di studio a Lipsia, con una borsa dell’Opera Alberoni di Piacenza, lavorando – sotto la guida di Peter Debye – sulla diffrazione di raggi X nei liquidi. Tornato a Roma alla fine dell’anno, divenne assistente di Orso Mario Corbino e proseguì i lavori di spettroscopia (1932-34) con Segrè, col quale scoprì fra l’altro un nuovo effetto (dai due giovani chiamato degli 'atomi gonfi', oggi noti come 'atomi di Rydberg'), e con Georg Placzek, con cui studiò lo spettro Raman rotazionale dell’ammoniaca.
Nel 1933 sposò Ginestra Giovene, anche lei laureata in fisica, da cui avrebbe avuto quattro figli: Ugo, Paola, Francesco e Daniela.
Amaldi apparteneva, con Segrè, Ettore Majorana e Bruno Pontecorvo, al gruppo di giovani fisici che a partire dalla fine degli anni Venti si era raccolto attorno a Fermi e Rasetti nell’Istituto di fisica dell’Università di Roma, allora situato in via Panisperna e diretto da Corbino. I loro indirizzi di ricerca si spostarono nel giro di pochi anni dall’iniziale interesse per i problemi di spettroscopia atomica e molecolare verso il nascente settore della fisica dei nuclei. Dopo la scoperta della radioattività artificiale da parte dei coniugi Joliot-Curie, nel marzo 1934 Fermi, prima da solo e poi in collaborazione con l’intero gruppo, cominciò una ricerca sistematica bombardando campioni di tutti gli elementi noti, con utilizzo di neutroni invece che di particelle alfa. In questa fase si aggiunse al gruppo il chimico Oscar D’Agostino, che si era appena perfezionato in chimica delle sostanze radioattive a Parigi, presso l’istituto dei Curie. Nello stesso anno anche Amaldi trascorse un periodo presso il Cavendish Laboratory, per accrescere il bagaglio teorico e sperimentale necessario alle nuove ricerche del gruppo.
I risultati di questa lunga serie di esperimenti furono di importanza fondamentale per la comprensione delle proprietà dei nuclei e culminarono nell’ottobre 1934 con la scoperta dell’efficacia dei neutroni lenti nell’attivazione di trasformazioni nucleari. Tanto il modo di organizzare il lavoro sperimentale quanto quello di comunicare gli importanti risultati ottenuti rappresentavano una novità significativa rispetto alla tradizione accademica: i lavori portavano la firma di tutti i membri del gruppo ed erano pubblicati in forma di estratti 'anticipati' della rivista del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) La ricerca scientifica. Fu per questi risultati che a Fermi fu assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1938.
A partire dal 1936, Amaldi restò di fatto il solo a mantenere una collaborazione continua con Fermi, poiché Majorana aveva smesso di frequentare l’Istituto, Rasetti e Pontecorvo si allontanavano sempre più frequentemente da Roma, Segrè aveva vinto una cattedra a Palermo e D’Agostino era passato all’Istituto nazionale di chimica del CNR, diretto da Nicola Parravano. Nel 1937 anche Amaldi dovette allontanarsi per un breve periodo, essendo risultato vincitore di un concorso a cattedra nell’Università di Cagliari. Poco dopo, però, fu chiamato di nuovo a Roma per succedere sulla cattedra di fisica sperimentale a Corbino, morto improvvisamente nel gennaio dello stesso anno.
Nel 1937 Amaldi, Fermi e Rasetti costruirono il loro primo generatore di neutroni, basato su un generatore Cockroft-Walton da 200 kV, con un tubo acceleratore di protoni e deutoni (nuclei di deuterio, costituiti da un protone e un neutrone): esso fu il modello dell’acceleratore da 1 MeV poi realizzato all’Istituto superiore di sanità. La macchina fu completata nel 1939, quando Fermi, che l’aveva fortemente voluta, aveva già lasciato l’Italia (E. Amaldi- D. Bocciarelli - F. Rasetti - G.C. Trabacchi, Generatore di neutroni a 1.000 kV, in La ricerca scientifica, X [1939], pp. 623-632). La partenza senza ritorno di Fermi il 6 dicembre 1938, in occasione del conferimento del Nobel, segnò – insieme alla conclusione di un’esperienza senza precedenti per la ricerca fisica italiana – la fine della prima fase della vita accademica e scientifica di Amaldi.
In quegli anni, Amaldi acquisì una competenza sulle proprietà dei neutroni che ne fece una delle massime autorità nel settore e fu testimone diretto dei tentativi fatti da Fermi per mantenere la fisica nucleare italiana a un livello competitivo sul piano internazionale. Anche se non fu coinvolto in prima persona in quelle iniziative, è del tutto ragionevole ritenere che averle osservate da una posizione privilegiata abbia fatto maturare in lui la convinzione che costituì il filo conduttore dei suoi interventi di politica scientifica nel dopoguerra: la necessità di attrezzarsi con istituzioni di respiro nazionale, superando i localismi dei singoli istituti universitari e la spartizione a pioggia dei fondi disponibili.
Diversamente da Fermi, che non voleva essere coinvolto in questioni politiche, proprio negli anni di via Panisperna Amaldi passò dall’indifferenza all’antifascismo: un ruolo importante in questa sua evoluzione lo ebbe Emilio Sereni, cugino di Pontecorvo, che destò il suo interesse per le questioni della giustizia sociale e per le condizioni delle classi subalterne. Dopo la partenza di Fermi, Amaldi si adoperò per il trasferimento a Roma di Gian Carlo Wick, uno dei migliori fisici nucleari del momento, ma proveniente da una famiglia antifascista torinese ed egli stesso politicamente sospetto. Durante la guerra, fu vicino alle posizioni del Partito d’Azione, e nel dopoguerra al Partito repubblicano di Ugo La Malfa, che ben conosceva personalmente (Ricordi di famiglia, in The legacy of Edoardo Amaldi in science and society, 2010, pp. 322 s.).
L’inizio della seconda guerra mondiale, nel settembre 1939, colse Amaldi durante un viaggio negli Stati Uniti che ebbe conseguenze importanti sul suo destino personale. Dopo aver tentato senza successo di trovare una collocazione lavorativa nella ricerca statunitense, maturò la decisione di operare in prima persona per mantenere viva la scuola scientifica alla cui nascita aveva partecipato e che, dopo una breve stagione felice, appariva seriamente compromessa. Al suo ritorno a Roma, infatti, Amaldi rimaneva l'unico del gruppo originario dei fisici di via Panisperna a lavorare ancora in Italia: Majorana era scomparso nel 1938 e dal 1939 Fermi era a New York alla Columbia University, Rasetti in Canada, a Québec, Segrè a Berkeley e Pontecorvo in Inghilterra.
Nel giugno 1940, fu richiamato alle armi e inviato in Africa settentrionale ma dopo sei mesi, su richiesta della facoltà di scienze dell’Università di Roma, poté tornare alla docenza universitaria. Durante gli anni della guerra si adoperò per concentrare a Roma un gruppo di ricercatori capace di portare avanti con continuità un lavoro di buon livello.
Prese così avvio una nuova fase di studi, che utilizzava l’acceleratore da 1 MeV entrato in funzione presso l’Istituto superiore di sanità. Intorno a questa macchina si sviluppò sotto la guida di Amaldi un’intensa attività di ricerca sulle proprietà della fissione nucleare, da poco scoperta. Del gruppo facevano parte: presso l’Istituto di sanità, Daria Bocciarelli e Giulio Cesare Trabacchi, ai quali si aggiunse nel 1940 Mario Ageno; presso l’Istituto di fisica dell’Università, oltre a Wick, Bruno Ferretti, Oreste Piccioni, Marcello Conversi e Gilberto Bernardini, dal 1940 Bruno Nestore Cacciapuoti (già allievo di Segrè a Palermo) ed Ettore Pancini; per brevi periodi furono presenti anche Giuseppe Cocconi, Giovanni Gentile jr., Piero Caldirola e Antonino Borsellino, poi trasferiti in altre sedi. Si formò così una squadra di studiosi che nell’Italia del dopoguerra avrebbe costituito l’ossatura della ricerca di punta in fisica. Verso la metà del 1941, però, le ricerche sulla fissione nucleare furono interrotte, per non rischiare il coinvolgimento in progetti con finalità belliche e l'attività proseguì in direzione dello studio dei processi d'urto di neutroni contro protoni e deutoni.
Nell’istituto universitario romano si sviluppò anche, con l’appoggio di Amaldi e sotto la direzione di Bernardini, la ricerca nel settore dei raggi cosmici, per la quale non erano necessari gli onerosi mezzi richiesti dalla fisica nucleare. Questa attività poté contare negli anni della guerra e del primo dopoguerra anche sul sostegno dell’Istituto nazionale di geofisica costituito dal CNR nel novembre 1936, che aveva sede presso l’Istituto di fisica dell’Università e dopo la partenza di Fermi era diretto da Antonino Lo Surdo (F. Foresta Martin - G. Calcara, Per una storia della geofisica italiana. La nascita dell’Istituto nazionale di geofisica (1936) e la figura di Antonino Lo Surdo, Milano 2010, pp. 132-150).
Il 19 luglio 1943 l’Istituto di fisica rimase danneggiato durante il bombardamento alleato dello Scalo ferroviario di San Lorenzo: si salvarono tuttavia i contatori e l’elettronica per le ricerche di Piccioni e Conversi sui 'mesotroni' (come si diceva allora per indicare particelle con massa 'intermedia') dei raggi cosmici. Il materiale fu trasferito, per metterlo al sicuro, negli scantinati di un liceo romano, il Virgilio: «Le misure – scrisse in seguito Amaldi – [continuarono] senza interruzione, durante i mesi di guerra e di occupazione; tenere questo esperimento in funzione ad ogni costo era divenuto per tutti un simbolo della nostra volontà di continuità culturale e scientifica» (Gli anni della ricostruzione, in Giornale di fisica, XX [1979], 3, p.191). Queste ricerche, proseguite con la collaborazione di Pancini, si chiusero alla fine del 1946 provando in modo conclusivo che quella che era ritenuta fino ad allora la particella prevista da Hideki Yukawa come mediatore delle interazioni forti nei nuclei era invece un oggetto di altra natura: un risultato che ebbe un ruolo fondamentale nei successivi sviluppi degli studi sulle particelle elementari.
Dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, Amaldi e Wick furono contattati dagli uomini delle missioni speciali alleate incaricati di reperire informazioni sul lavoro scientifico che era stato condotto con finalità belliche, in particolare per quanto riguardava il possibile uso militare della fissione nucleare. Gli alleati dovettero arrendersi all’evidenza che in Italia non era stato fatto alcun passo significativo in quella direzione ma l’attenzione ricevuta quali esperti di fisica nucleare fu per Amaldi e Wick una conferma indiretta dei sospetti su quanto presumibilmente stava accadendo nella ricerca nucleare di guerra, in Germania e soprattutto negli Stati Uniti. Le supposizioni ebber drammatica conferma nell’agosto 1945, quando i giornali diedero notizia delle bombe atomiche che avevano colpito Hiroshima e Nagasaki. Amaldi la apprese mentre trascorreva le vacanze a Rocca di Mezzo con Bernardini, Wick e alcuni giovani ricercatori dell’Istituto di fisica romano e non ebbe difficoltà a immaginare di cosa si trattasse, prima ancora che Fermi gliene accennasse nella loro corrispondenza successiva. Il 1945 fu un anno duro anche sul piano familiare, per la morte della secondogenita Paola, di otto anni, a causa di una febbre miliare.
Tra il 1945 e il 1947 Amaldi si dedicò allo studio delle interazioni neutrone-nucleo. Frattanto, nell’ottobre 1945, era stato costituito dal CNR, presso l’Istituto di fisica dell’Università di Roma, il Centro di studio sulla fisica nucleare e sulle particelle elementari, con cui ottenevano supporto finanziario e istituzionale le due principali linee di ricerca: quella nucleare guidata da Amaldi e quella sui raggi cosmici diretta da Bernardini.
Nel 1946 Amaldi inviò al chimico Luigi Morandi, fratello del ministro dell’Industria e Commercio Rodolfo, e all’amministratore delegato della FIAT Vittorio Valletta un circostanziato rapporto sulla situazione della fisica in Italia, indicando alcuni passi da compiere e le linee lungo le quali sarebbe stato possibile un adeguato sviluppo: la ricerca fondamentale in fisica delle particelle elementari e in fisica nucleare propriamente detta, lo studio del nucleo in vista di possibili finalità applicative, la prospettiva dell’utilizzo dell’energia nucleare a scopi civili. Stabilì inoltre una collaborazione col Centro informazioni studi esperienze (CISE), costituito a Milano da un gruppo di fisici e ingegneri interessati allo sviluppo della ricerca applicata per gli usi pacifici dell’energia nucleare.
Nell’estate del 1946 tornò negli Stati Uniti e Fermi gli prospettò la possibilità di un posto all’Università di Chicago. Per quanto la proposta fosse allettante la rifiutò, avendo ormai deciso che il suo ruolo era quello di guidare la ricostruzione della fisica in Italia. Non fu estranea a questa decisione la constatazione, nelle sue conversazioni con Fermi, che le misure restrittive imposte per ragioni di sicurezza alle ricerche di interesse militare non rendevano più possibile comunicare liberamente sul piano scientifico. Si persuase che l’imposizione di regole di segretezza era inaccettabile sul piano etico e dannosa per l’avanzamento della ricerca, una convinzione ispirò tutte le sue azioni successive in materia di politica scientifica.
Il viaggio negli Stati Uniti mise Amaldi a diretto confronto con l’abisso che si era scavato tra la situazione della ricerca in Italia e quanto la fisica stava conoscendo oltre Oceano. Questa realtà lo condusse, con Bernardini, a concentrare l’attività di ricerca sul settore dei raggi cosmici (su questo dal 1947 si orientò anche il suo contributo scientifico personale), per la quale mezzi finanziari occorrenti erano alla loro portata ed esistevano nel paese le competenze necessarie: la ricerca sui raggi cosmici costituì in tal modo un elemento di raccordo fra le diverse anime dell’Istituto romano e i gruppi costituiti in altre sedi italiane.
In questa prospettiva, la prima concreta realizzazione del Centro di studio costituito dal CNR a Roma nel 1945 fu il laboratorio della Testa Grigia per lo studio dei raggi cosmici, inaugurato nel gennaio 1948 presso la stazione superiore della funivia del Plateau Rosa a Cervinia. Il progetto andò in porto grazie al riscontro positivo ottenuto dal memoriale del 1946, con fondi erogati dal ministro Morandi, integrati da sostanziose donazioni di industriali. Mentre alla Testa Grigia cominciavano le ricerche, che presto coinvolsero fisici provenienti da varie sedi italiane, Amaldi continuò la sua opera per ottenere sostegno finanziario: su sua sollecitazione, tra l’altro, Fermi scrisse ad Alcide De Gasperi, dopo le elezioni politiche dell’aprile 1948, richiamandone l’attenzione sulla necessità di un sostanziale incremento della dotazione del CNR. Nel giro di pochi anni centri analoghi a quello di Roma furono fondati in altre sedi universitarie: nel 1947 venne istituito a Padova un Centro per lo studio degli ioni veloci, mentre nel 1951 nacque a Torino un analogo Centro sperimentale e teorico di fisica nucleare. La costituzione a Milano di un quarto centro del CNR, nel 1952, seguì di poco la fondazione, nell’agosto 1951, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), di cui i centri di Roma, Padova, Torino e poi Milano divennero le prime quattro sezioni. L’INFN ebbe come primo presidente Bernardini; Amaldi faceva parte del consiglio direttivo in quanto direttore della sezione di Roma.
Nello stesso periodo in cui dava il suo contributo alla nascita dell’INFN, Amaldi era coinvolto in un altro progetto simile, di portata europea. Il problema di una collaborazione efficace tra i fisici del Vecchio continente, pressati dalla necessità di recuperare terreno rispetto agli Stati Uniti e consapevoli del fatto che nessuno Stato sarebbe riuscito da solo a disporre dei mezzi necessari, portò all’idea di realizzare laboratori sovranazionali dotati di acceleratori in grado di competere con quelli che si stavano costruendo nei centri di ricerca americani. Una serie di contatti, mediati inizialmente dall'UNESCO, condussero al progetto congiunto di un laboratorio europeo per la ricerca in fisica delle alte energie. Attraverso un complesso iter di trattative scientifiche e diplomatiche si arrivò, dopo un primo periodo transitorio, alla costituzione del CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire), nel settembre 1954.
Della prima fase di storia del CERN Amaldi fu uno dei protagonisti, insieme al fisico francese Pierre Auger e a pochi altri; per il ruolo chiave da lui svolto fu nominato segretario generale del cosiddetto CERN provvisorio durante la fase cruciale, tra il 1952 e il 1954, che portò dal progetto iniziale alla definitiva ratifica da parte dei governi interessati. Amaldi rifiutò poi, per potersi nuovamente dedicare alla ricerca, il posto di direttore generale che gli era stato offerto ma continuò a ricoprire negli anni successivi importanti posizioni di responsabilità e sentì sempre il CERN come una sua creatura. Nel 1958 entrò a far parte dello Scientific policy committee; nel 1963 creò, e presiedette fino al 1969, l’European committee for future accelerators, un organismo indipendente incaricato di studiare e proporre le nuove macchine acceleratrici da realizzare al CERN e altrove in Europa; nel 1968-69 fu presidente del gruppo che progettò il nuovo protosincrotrone da 300 GeV, e quando il progetto fu finalmente approvato nel 1971 era presidente del Council del CERN.
All'inizio del 1953 l’INFN, ormai consolidato, decise di procedere alla costruzione di un centro di ricerca dotato di una macchina acceleratrice da utilizzare congiuntamente tra le varie sedi. Amaldi ebbe un ruolo fondamentale nel rilanciare l’antica idea di Fermi e nella localizzazione del laboratorio: la scelta di Frascati fu fatta nell’aprile 1954, al termine di un periodo di serrato confronto tra le ragioni e le aspirazioni di Milano e Roma, sostenute rispettivamente dal presidente del CNR Gustavo Colonnetti e dal presidente del neoistituito Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN) Francesco Giordani. D’intesa con quest’ultimo, Amaldi fu attivissimo nel sollecitare l’intervento di tutte le autorità pubbliche interessate, per mettere sul piatto della bilancia un’offerta finanziaria che risultasse vincente. Il rafforzamento dell’intesa con Giordani e con il segretario del CNRN Felice Ippolito segnò un importante passo verso l’autonomia istituzionale dell’INFN, che Amaldi considerava fondamentale.
Nei limiti imposti dagli impegni istituzionali e di politica scientifica, Amaldi continuò a dedicarsi alla ricerca attiva, dando un contributo rilevante, sia personalmente sia come riferimento di organizzazioni e gruppi di ricerca, alla definizione di quel quadro di sintesi delle particelle elementari che è stato il tema di punta della ricerca in fisica tra gli anni Cinquanta e i Settanta. Dopo un primo periodo di lavoro sulle interazioni dei muoni veloci con i nuclei (1950-53), diresse a Roma un gruppo impegnato nello studio dei raggi cosmici con la tecnica delle emulsioni nucleari. Coi suoi collaboratori partecipò a un’importante collaborazione internazionale, in cui pacchi di emulsioni erano lanciati ad alta quota per essere esposti alla radiazione cosmica. In una delle lastre esaminate dai fisici di Roma si trovò, all’inizio del 1955, una traccia che poteva essere interpretata come prova dell’annichilazione di un antiprotone, una particella della cui esistenza si stava allora cercando l’evidenza sperimentale. Amaldi propose a Segrè, che si trovava a Berkeley, una collaborazione per individuare analoghe tracce in emulsioni esposte, anziché all’imprevedibile radiazione cosmica, al fascio di protoni del Bevatron, l’acceleratore appena entrato in funzione nel laboratorio californiano, l’unico al mondo capace di portare i protoni all’energia necessaria per la produzione di coppie protone-antiprotone. La collaborazione Roma-Berkeley durò un paio d’anni, fornendo importanti risultati sugli antiprotoni e le caratteristiche della loro annichilazione; ma la prima evidenza rintracciata nelle emulsioni arrivò solo dopo che l’esistenza dell’antiprotone era stata stabilita dal gruppo di Segrè in un esperimento indipendente, basato su una diversa tecnica di rivelazione. Per questo risultato, Segrè e Owen Chamberlain ottennero nel 1959 il premio Nobel, un riconoscimento che il gruppo di Amaldi mancò per poco.
L’episodio confermò, agli occhi di Amaldi, l’assoluta necessità del progetto avviato con l’INFN e il CERN per dotare la fisica italiana ed europea di laboratori e strumenti competitivi. Nel giro di pochi anni, il ritardo fu colmato: nel 1957 entrò in funzione la prima macchina del CERN, un sincrotrone da 600 MeV, seguita nel 1959 dal grande protosincrotrone da 30 GeV; nello stesso arco di tempo il gruppo dell'INFN impegnato nella realizzazione del laboratorio nazionale di Frascati, diretto da Giorgio Salvini, portò a compimento la costruzione dell'elettrosincrotrone da 1,1 GeV. Per impulso di Amaldi, l’INFN imboccò nel 1960 la strada di uno sviluppo ulteriore dei laboratori di Frascati, con AdA, il primo anello di accumulazione per elettroni e positroni, progettato da Bruno Touschek, e Adone, versione successiva dello stesso tipo di macchina.
Verso la fine degli anni Cinquanta Amaldi abbandonò la ricerca sui raggi cosmici, e tra il 1961 e il 1968 collaborò a una serie di esperimenti per l’identificazione dei monopoli magnetici; negli anni successivi si dedicò, con un gruppo presso l’elettrosincrotrone di Frascati, a ricerche sull’elettroproduzione di mesoni.
Divenuto presidente dell’INFN dal 1960 al 1965, Amaldi ne orientò le scelte programmatiche in modo da rendere i suoi centri di ricerca complementari a quanto si stava realizzando su più larga scala a Ginevra. Quello della presidenza Amaldi fu un periodo particolarmente travagliato nella vita dell’Istituto, in cui vennero al pettine vari nodi di tipo istituzionale e si dovettero prendere importanti decisioni di carattere amministrativo e scientifico. L’esplosione nel 1963 del 'caso Ippolito', su presunte irregolarità amministrative nella conduzione del Comitato nazionale per l’energia nucleare sorto dalla trasformazione del CNRN, generò conflitti e tensioni anche nell’INFN, che pure non ne era direttamente toccato, mostrando come fosse urgente affrontare una volta per tutte la questione della sua autonomia e personalità giuridica, poi risolta nel 1967 dal nuovo presidente, Salvini.
Amaldi riteneva che le inchieste giudiziarie che avevano colpito a metà degli anni Sessanta Ippolito e Domenico Marotta, direttore dell'Istituto superiore di sanità (personalità che conosceva bene sia per le collaborazioni istituzionali avute con entrambi, sia per i rapporti personali intercorrenti da anni) avessero avuto «conseguenze paragonabili solo alle più grandi sconfitte» subite dall’Italia (Intervista sulla materia, dal nucleo alle galassie, a cura di P. Angela, Roma-Bari 1980, rist. in Edoardo Amaldi scienziato e cittadino d’Europa, Milano 1992, pp. 113-286). Si impegnò quindi nella mobilitazione di buona parte della comunità scientifica in difesa dei due imputati e continuò negli anni successivi a esprimere giudizi molto severi su quanti – anche nella comunità scientifica – avevano concorso a scatenare quelle vicende.
Anche in quel difficile periodo Amaldi fu promotore di progetti innovativi e contribuì ad aprire nuovi settori, benché spesso gli impegni di carattere istituzionale limitassero la sua partecipazione diretta alle attività di ricerca. Alla fine degli anni Cinquanta, nel clima della nascente corsa allo spazio tra USA e URSS seguita al lancio dello Sputnik, fu tra i primi a lanciare l’idea di una collaborazione europea, riproponendo il modello che aveva funzionato nella creazione del CERN. Esito di queste iniziative fu la creazione nel 1964 della European space research organization (ESRO), che poi concorse alla nascita della European space agency (ESA).
Come nel caso dei centri legati alla fisica delle particelle elementari, l’impegno sul versante istituzionale e la curiosità scientifica andavano di pari passo: alla scuola estiva di Varenna del 1962 aveva cominciato a sviluppare un interesse per il problema della rivelazione sperimentale delle onde gravitazionali; nel 1970 all’Istituto di fisica di Roma si costituì sotto la sua direzione un gruppo per la progettazione e costruzione di rivelatori criogenici per onde gravitazionali, che negli anni seguenti trasformò le prime piccole antenne in grandi strumenti di elevata sensibilità, come l’antenna criogenica Explorer installata al CERN. La ricerca delle onde gravitazionali rappresentò l’ultima fase del suo impegno scientifico diretto.
Nel 1947 Amaldi era stato eletto socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei, di cui divenne socio nazionale l’anno successivo. Fu poi socio anche di altre importanti accademie italiane e straniere: fra queste l’Accademia nazionale delle scienze, detta dei XL (1957), l’Accademia delle scienze sovietica (1958), la National academy of sciences degli Stati Uniti (1962), l’Accademia reale svedese (1968). Il 3 ottobre 1988 fu eletto presidente dell’Accademia dei Lincei. Da queste posizioni accademiche si dedicò fra l’altro, con zelo crescente negli anni, all’impegno attivo nelle organizzazioni di scienziati per la pace e il disarmo, e per i diritti umani. La convinzione che il carattere intrinsecamente internazionale della ricerca potesse essere sfruttato, negli anni della guerra fredda, per costruire canali di comunicazione ufficiosi ma efficaci e favorire la distensione fu per lui un’idea guida, anche se non poté assistere al riconoscimento pubblico che essa ricevette nel 1995, quando il premio Nobel per la pace fu assegnato al movimento Pugwash, in cui era stato attivamente coinvolto fin dai primi anni della sua fondazione.
Con altrettanta convinzione Amaldi fu attento alla memoria della comunità scientifica, dedicando una parte rilevante della sua attività, negli anni Settanta e Ottanta, alla ricostruzione di momenti significativi della storia della fisica. Fin dalle prime biografie scientifiche di amici e colleghi come Ettore Majorana ed Enrico Persico, questa passione per la dimensione storica della scienza lo portò ad affrontare temi più generali e a impegnarsi in lavori più ambiziosi, tra cui un progetto di storia della fisica a Roma (rimasto incompiuto), di cui restano ampie tracce nel suo vasto archivio personale. Fu molto attento anche al recupero e alla conservazione della documentazione, archivistica e museale, della ricerca scientifica.
Morì a Roma il 5 dicembre 1989.
Un elenco completo delle pubblicazioni, non solo scientifiche, di Amaldi si trova nel volume The legacy of Edoardo Amaldi in science and society, a cura di F. Ferroni, II ed. ampliata, Bologna 2010, pp. 383-412; una selezione dei suoi lavori storici è in E. Amaldi, 20th century physics: Essays and recollections. A selection of historical writings, a cura di G. Battimelli - G. Paoloni, Singapore 1998; un manoscritto di ricordi inediti e una scelta di lettere su temi a esso collegati sono in E. Amaldi, Da Via Panisperna all’America, a cura di G. Battimelli - M. De Maria, Roma 1997.
L’archivio personale di Amaldi consta di circa 650 scatole, attualmente depositate presso la biblioteca del Dipartimento di fisica della Sapienza Università di Roma: parte della documentazione è strettamente collegata all’archivio istituzionale del Dipartimento di fisica, parte proviene invece da depositi e versamenti successivi operati dagli eredi. Si tratta di una fonte di prim’ordine non solo per quanto riguarda le sue vicende personali ma anche per quelle della fisica nella seconda metà del Novecento, in Italia e a livello internazionale. Sono disponibili un dettagliato calendario della corrispondenza (circa 26.000 lettere), un elenco di consistenza dell’intero archivio e inventari dettagliati delle carte donate dagli eredi, alla redazione dei quali hanno lavorato G. Battimelli, M. De Maria, E. Mazzina, L. Orlando, G. Paoloni, N. Valente.
Una bibliografia aggiornata al 2010 degli scritti per e su Amaldi si trova in The legacy of E. A. in science and society, cit., pp. 413-420. Una prima presentazione sistematica della sua attività scientifica e della sua opera di organizzatore culturale fu offerta dalla commemorazione di G. Salvini, La vita e l’opera di E. A., in Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei, s. 9, I (1990), pp. 7-39. Il successivo volume P. Angela - C. Rubbia, E. A. scienziato e cittadino d’Europa, Milano 1992, raccoglieva la biografia redatta da Rubbia per il CERN e un’intervista di Angela ad Amaldi del 1980. Il suo ruolo come punto di riferimento scientifico e accademico-politico nell’Istituto di fisica dell’Università di Roma è dettagliatamente ricostruito, per gli anni dal 1938 al 1960, da G. Battimelli - M.G. Ianniello, Fermi e dintorni. Due secoli di fisica a Roma (1748-1960), Milano 2013, pp. 211-286. Un’analisi del suo lascito scientifico-culturale è negli atti del convegno tenuto in occasione del ventennale della morte, The legacy of E. A. in science and society (Roma, 23-25 ottobre 2008) pubblicati nel 2009 e poi ristampati l'anno successivo nella seconda edizione ampliata, insieme alle relazioni i cui testi non erano pervenuti in tempo per la prima edizione e alle bibliografie già menzionate.