RESTITUZIONE, Editto di
Il reservatum ecclesiasticum contenuto nella pace d'Augusta (v.), in forza della quale tutti i beni ecclesiastici dovevano per l'avvenire restare al clero cattolico, era stato violato più volte dai protestanti, senza che la casa d'Austria ne esigesse il rispetto. Ferdinando II diede alla questione una soluzione radicale. Dal 1622 le restituzioni tennero dietro ai successi delle armi imperiali; nel 1627 le restituzioni fatte ai vescovi di Augusta e di Costanza incoraggiarono gli elettori cattolici a domandare nella dieta di Mulhouse la restituzione totale. Dopo la vittoria di Wolgast (22 agosto 1628) sul re di Danimarca, Ferdinando II ordinò a una commissione di preparare un progetto per l'editto di restituzione, progetto che inviò all'elettore di Magonza. Il 6 marzo 1629, l'editto fu pubblicato; i principi protestanti furono invitati a restituire immediatamente, pena il bando, tutti i beni occupati dopo il 1552. I commissarî incaricati dell'esecuzione dell'editto ebbero l'appoggio dei generali.
L'editto toglieva ai protestanti gli arcivescovati di Magdeburgo e di Brema, dodici vescovati e un gran numero di conventi e di abbazie. Nella corte imperiale l'editto ebbe accaniti avversarî i politici, che temevano una guerra di religione, il Wallenstein, che prevedeva un aumento del potere dei vescovi e una sollevazione di tutta la Germania settentrionale. In realtà, l'editto sollevò indignazione e terrore fra i protestanti, che videro in esso il proposito della Casa d'Austria e della lega cattolica d'annientare la religione riformata e sovvertire la libertà germanica. Per placare l'elettore di Sassonia, Ferdinando II lo rassicurò che l'editto non sarebbe applicato nei suoi riguardi. Ma l'aiuto dell'elettore era invocato da tutti i protestanti, mentre la gestione di Magdeburgo inasprì il dissidio fra l'imperatore e l'elettore, quando Ferdinando II, dichiarata nulla l'elezione del figlio dell'elettore ad amministratore di Magdeburgo, ottenne dal papa la nomina dell'arciduca Leopoldo-Guglielmo, suo figlio, che era già in possesso di Halberstadt, al vescovato di Magdeburgo. Vano riuscì l'appello dell'elettore alla mediazione del re di Francia. Nella prima metà del 1630 i commissarî avevano ripreso quarantacinque conventi, abbazie e vescovati, ma ne restavano ancora di più da reclamare. Sennonché nella destinazione dei beni restituiti prevalsero gl'interessi politici e dinastici: invece di essere consegnati ai proprietarî o di essere adibiti ad uso spirituale, i beni caddero nelle mani dei principi. Di ciò il papa Urbano rimase indignato. Così si ruppe la solidarietà cattolica, mentre l'editto, come osservava il Wallenstein, metteva contro l'imperatore tutti i protestanti, tutto l'Impero e la Svezia: dopo l'editto, come scrisse il generalissimo di Ferdinando II, i protestanti guardavano a Gustavo Adolfo, come gli Ebrei al Messia. Nella dieta di Ratisbona gli elettori di Sassonia e di Brandeburgo si opposero all'elezione del re dei Romani fino a quando l'editto non fosse mitigato; riuscite vane le trattative coi cattolici, l'elettore di Sassonia si separò dall'imperatore per essere solidale coi protestanti. Perciò l'editto poté essere considerato come opera di un nemico della Casa d'Austria - il Richelieu - che si fosse proposto di sconvolgere la Germania.
Bibl.: O. Heyne, Der Kurfürstentag zu Regensburg von 1630, Berlino 1866; F. Hurter, Geschichte Kaisers Ferdinands II., II e III, Sciaffusa 1864; M. Koch, Geschichte des deutschen Reichs unter der Regierung Ferdinans II., I, Vienna 1865 (Hurter [III, p. 34] e Koch [I, p. 16] credono che il Richelieu fosse istigatore dell'editto); M. Ritter, Geschichte d. dreissigjährigen Krieges, II, Stoccarda 1908; G. Droysen, Gustav Adolf, II, Lipsia 1870.