EDIPO (Οἰδίπους, -ποδος; Oedĭpus)
Eroe greco: la principale figura del ciclo tebano. Ricordato due volte in Omero (nell'Iliade, XXIII, 679, e nell'Odissea, XI, 271 segg.), la sua leggenda era sviluppata nel poema epico Οἰδιποδία, attribuito a un poeta di nome Cinetone (Κιναἰϑων); ma noi la conosciamo meglio nella forma in cui la fissò dipoi la tragedia attica del sec. V a. C.: specialmente Sofocle nell'Edipo Re e nell'Edipo a Colono, ed Euripide nelle Fenicie.
Laio, figlio di Labdaco e re di Tebe, era perseguitato dalla collera di Era, a causa della maledizione lanciatagli contro da Pelope, per aver egli fatto violenza al figlio di lui, Crisippo. Sposatosi Laio con Giocasta (o Epicasta, come è la forma del nome nell'Odissea) e non avendone, per molto tempo, avuto figli, interrogò su ciò l'oracolo pitico: il dio di Delfo gli rispose che si guardasse bene dal generare un figlio, perché questi sarebbe stato il suo uccisore. Ma nell'ebbrezza del vino, Laio dimenticò l'avvertimento, ed ebbe da Giocasta un figlio. Per stornare ciò che l'oracolo aveva predetto, il re di Tebe fece esporre il neonato sul Citerone, dopo avergli trafitto i piedi, affinché a nessuno venisse voglia di raccogliere un fanciullo così rovinato. Lo raccolsero invece alcuni pastori e lo consegnarono al re di Corinto (o di Sicione), Polibo, il quale, non avendo avuto figli dalla moglie (Merope, in Sofocle; Peribea in Euripide), l'adottò per suo e, a indicare la mutilazione, gl'impose il nome di E. ("dai piedi gonfî": le numerose e divergenti ipotesi dei moderni sull'etimologia, sono riferite dal Höfer: v. bibl.). Secondo un'altra tradizione, E., fatto chiudere da Laio in un cofano e gettato in mare, sarebbe stato raccolto dalla moglie di Polibo.
Educato E. a Corinto e divenuto grande, in seguito ad alcune frasi pronunciate, durante un banchetto, da un bevitore ebbro, concepì dei sospetti sulla sua nascita. Per sincerarsi di ciò, volle consultare l'oracolo di Delfi; ma questo si limitò a predirgli che avrebbe ucciso il padre e sposata la madre. Atterrito, E. s'allontana da Corinto, dirigendosi verso la Grecia centrale. Arrivato nella Focide, a un bivio s'incontra con Laio e l'uccide, indi prosegue il suo cammino verso Tebe. Quando vi giunse, la città si trovava sotto l'incubo di un terribile mostro che l'infestava, la Sfinge (v.), una donna col corpo di leone, la quale proponeva alle sue vittime un enigma, promettendo di lasciar loro la vita e di uccidersi, se l'avessero risolto. Conosciutasi frattanto in Tebe la morte di Laio, Creonte suo cognato aveva promesso il trono della città e la mano della vedova Giocasta a chiunque avesse liberato Tebe dal mostro. E. scioglie l'enigma, e la Sfinge si uccide; egli entra in città, ne ottiene il regno, sposa Giocasta e ne ha figli: Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene (la maggior parte delle versioni della leggenda liberano i figli di E. dalla taccia della nascita incestuosa, attribuendoli a un'altra madre).
Nella forma più antica della leggenda, la scoperta dell'incesto seguiva subito alle nozze con Giocasta, che avrebbe riconosciuto nel secondo marito il figlio, a causa del difetto nei piedi: nella versione più recente (accolta nella tragedia di Sofocle), invece, dopo parecchi anni (nei quali sarebbero nati a E. i quattro figli), scoppiata una pestilenza in città, e avendo l'oracolo rivelato che ne era causa la presenza in Tebe dell'uccisore di Laio, E., durante le affannose ricerche, da lui stesso condotte, per rinvenire il colpevole, viene a scoprire che è egli stesso il parricida e lo sposo di sua madre. Giocasta si uccide, E. si cava gli occhi, e i suoi figli stessi, insieme con Creonte, lo cacciano da Tebe; e il misero cieco, accompagnato dalla figlia Antigone, erra di città in città, finché giunto nel demo attico di Colono, nel bosco consacrato alle Eumenidi, avendo da certi segni riconosciuto essere quello il luogo ove doveva finire la sua vita, sparisce agli occhi della figlia e di Teseo (il re di Atene, là accorso) dopo aver fatto a questo importanti predizioni sull'avvenire di Atene. Tale è la versione della leggenda seguita da Sofocle nell'Edipo a Colono: nella saga più antica (come è anche nell'epica), E., dopo il suicidio di Giocasta, sposa Eurigania, ne ha i figli, muore in guerra ed è seppellito in Tebe, con splendidi funerali.
Per molto tempo, la leggenda di E. è stata interpretata concordemente come un mito solare, e si sono anzi voluti indicare parallelismi eccessivi, o addirittura ingenui, fra i diversi momenti della saga e i singoli fenomeni dell'astro diurno (v. specialmente, Bréal, op. cit. in bibl.; e Decharme, Mythol. de la Grèce ant.): così E. esposto sul Citerone sarebbe l'immagine del sole che, all'alba, sembra riposare sulle montagne, e i suoi piedi gonfî ripeterebbero l'immagine del disco solare che, in questo momento, apparisce slargato alla base; come il sole trionfa della notte dalla quale esce, così E. uccide il padre che gli ha dato la vita, e la Sfinge, uccisa da E., rappresenta la nube tempestosa e nera che il sole incontra e disperde nel suo cammino; la rosso-violacea nube dell'Occidente, preannunzio della notte, con la quale il sole ritorna a congiungersi, è Giocasta, la madre che E. non riconosce, nella sua nuova forma (la notte camuffata in crepuscolo). A parte siffatti faticosi ravvicinamenti, non mancano studiosi moderni che vedono tuttavia nella saga di E. un mito solare (Beloch). Altri invece (per es. Kretschmer, Höfer) preferiscono ravvicinare E. alle divinità infernali, alle quali sarebbe propria la caratteristica dei piedi deformi (o neri, come li ha, per es., Melampo; o di serpente); e spiegano così gli stretti rapporti di Edipo con le Erinni. Secondo un'ipotesi del Gruppe (op. cit. in bibl., p. 503), E. e Giocasta sarebbero antichi nomi, poi scomparsi, di Efesto e di Era; dal mito di Efesto proverrebbe il particolare dei piedi enfiati, mentre gli episodî del parricidio e dell'incesto deriverebbero più probabilmente dalla saga egiziana di Tifone.
Edipo nell'arte. - L'iconografia relativa alla saga di E. non è in verità molto abbondante: le rappresentazioni dei successivi momenti della leggenda cominciarono solo dopo che i fatti dell'eroe divennero popolari, attraverso la tragedia attica; li scelsero a soggetto la pittura vascolare e il rilievo, specialmente sulle urne funerarie. Il primo momento trattato è quello dell'esposizione di Edipo neonato e del suo salvamento: la pittura di un vaso (Monum. Instit., II, 14), ce lo mostra in collo al pastore (chiamato qui Euforbo) che lo porterà a Corinto. Le rappresentazioni di gran lunga più numerose sono però quelle relative all'incontro di E. con la Sfinge: in molté di esse, l'eroe, vestito di clamide e armato di lancia, è rappresentato ritto di faccia alla Sfinge, che, accovacciata su di una rupe, pronuncia, calma e crudele, le terribili parole dell'enigma. Questo soggetto si trova trattato anche su numerose urne etrusche (v. sfinge). Delle rimanenti scene della saga di E. assai poco ci resta, ma sia ricordato il rilievo di un'urna etrusca (Inghirami, Mon. etruschi, tav. 71), ov'è rappresentato E. che si fa accecare, in cospetto dei familiari e dei figli.
Bibl.: D. Comparetti, Edipo e la mitologia comparata, Pisa 1867; M. Bréal, Le mythe d'Oedipe, in Mélanges de mythologie et de linguistique, Parigi 1878; L. Constans, La lég. d'Œdipe dans l'antiquité, au moyen âge et dans les temps modernes, Parigi 1881; E. Bethe, Thebanische Heldenlieder, Lipsia 1891; K. Robert, Oidipus, I-II, Berlino 1915; L. Preller e id., Die Griech. Heldensage, II, i, Berlino 1921, p. 877 segg.; O. Gruppe, Griech. Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1902; O. Höfer, s. v. Oidipus, in Roscher, Lexicon d. griech. u. röm. Mythol., III, p. 700 segg.; M. Margani, Il mito di Edipo dalle sue origini fino allo scorcio del secolo V a. C., Siracusa 1927. Per l'iconografia, A. Baumeister, Denkmäler desl klass. Altertums, Monaco 1885 segg., II, p. 1049 segg.