MORTARA, Edgardo
(in religione Pio Maria). – Nacque a Bologna il 27 agosto 1851 da Salomone e da Marianna Padovani.
Il padre (conosciuto anche come Momolo), nato nel 1816, proveniva da una famiglia ebraica di commercianti del ghetto di Reggio Emilia. Sposò Marianna Padovani, figlia di ricchi mercanti di Modena, nel 1843 e con lei nel 1850 si trasferì a Bologna, dove la comunità ebraica contava circa 200 membri, che vivevano in uno stato di relativa libertà.
Mortara divenne famoso in tutto il mondo all’età di 6 anni, quando fu sequestrato dalla polizia pontificia per ordine dell’inquisitore di Bologna, il padre domenicano Pier Gaetano Feletti: essendo stato battezzato, anche se in segreto, secondo le leggi allora vigenti nello Stato pontificio non poteva continuare a vivere all’interno di una famiglia ebraica.
La sera del 23 giugno 1858 la polizia si presentò presso l’abitazione in via Lame a Bologna dove i coniugi Mortara vivevano con i loro otto figli, per prelevare Edgardo, affermando che il bambino era stato battezzato all’insaputa dei genitori. La notizia del battesimo segreto era contenuta in un rapporto giunto all’attenzione di padre Feletti nell’ottobre dell’anno precedente, in seguito al quale l’inquisitore di Bologna, seguendo le procedure in vigore nello Stato pontificio e in molte altre parti d’Italia, aveva scritto al S. Uffizio di Roma per essere autorizzato a svolgere le sue ricerche. Aveva potuto così convocare la giovane Anna Morisi, ricevendone la conferma che durante il periodo in cui era stata a servizio presso la famiglia Mortara, aveva fatto battezzare Edgardo, allora di circa un anno, preoccupata del grave stato di malattia in cui il bambino si trovava. La notizia, naturalmente taciuta ai genitori, era arrivata all’inquisitore attraverso un’altra domestica, che ne era stata messa al corrente.
Trasferito a Roma presso la Casa dei catecumeni, Edgardo fu condotto dal rettore di questa, Enrico Sarra, da papa Pio IX, il quale rivestì un ruolo importante negli eventi che seguirono.
La comunità ebraica di Roma, subito contattata dai Mortara, secondo le modalità tradizionali di vicendevole sostegno tra comunità all’interno dei territori papali, si attivò per aiutare la famiglia bolognese a recuperare Edgardo, così come quella torinese, all’epoca una delle più emancipate in Italia. Da Torino la notizia rimbalzò in Francia e Gran Bretagna, suscitando l’attenzione delle grandi organizzazioni di quei paesi. Grazie alle loro relazioni politiche ed economiche, nonché all’influenza della stampa, si mobilitò anche l’ebraismo statunitense, che arrivò a chiedere l’intervento del presidente degli Stati Uniti.
Da secoli, in circostanze simili, i figli venivano sottratti alle famiglie ebraiche per ordine dell’Inquisizione e, nonostante le forti proteste da parte delle comunità ebraiche locali, di rado venivano restituiti. Quasi mai questi episodi raggiungevano l’attenzione dell’opinione pubblica non solo italiana ma anche estera. Nel caso di Mortara invece giocarono un ruolo rilevante il contesto internazionale del 1858 e l’emancipazione riconosciuta agli ebrei al di fuori dei confini dello Stato pontificio. Il caso del «bambino ebreo rapito dal papa» coincise inoltre con il momento in cui il processo unitario italiano e la fine dello Stato pontificio portavano in primo piano la questione della separazione tra Stato e Chiesa e costituì per Cavour e il partito liberale un elemento prezioso per influenzare l’alleato Napoleone III, coinvolto in un atto di mediazione che richiedeva il supporto cattolico.
La pressione su Pio IX per la liberazione del bambino si fece sempre più intensa. Il 17 luglio da Parigi giunse al segretario di Stato Giacomo Antonelli una richiesta da parte di James Rothschild e il mese successivo si rivolse al cardinale anche suo fratello, Lionel Rothschild, primo ebreo eletto nel Parlamento britannico. Allo stesso tempo l’ambasciatore francese presso la S. Sede, il duca de Gramont, comunicò al segretario di Stato la contrarietà di Napoleone III al riguardo.
La posizione della Chiesa era illustrata dalla stampa cattolica: secondo le autorità ecclesiastiche la responsabilità dell’allontanamento forzato del bambino era da attribuirsi ai genitori, in quanto nello Stato pontificio vigeva da tempo la legge secondo la quale le famiglie ebraiche non potevano avere alle loro dipendenze domestici cristiani. Nel violare questa legge i Mortara si erano consapevolmente esposti a un rischio. Sostenere la necessità della restituzione del piccolo alla famiglia era indice di scarsa conoscenza degli insegnamenti basilari della Chiesa: dopo il battesimo, e quindi dopo il contatto con lo Spirito Santo, non era possibile che il bambino fosse educato da una famiglia ebraica, poiché questo lo avrebbe esposto alla possibilità di apostasia. La pubblicistica cattolica differiva da quella ebraica anche nel racconto degli eventi. Mentre per i giornali ebraici il piccolo sarebbe stato terrorizzato dall’esser tolto ai genitori, secondo la stampa cattolica lungo la strada verso Roma avrebbe chiesto di poter visitare le chiese, sintomo degli effetti miracolosi del battesimo.
A seguito della forte pressione internazionale, fu concesso alla famiglia Mortara il permesso di far visita al figlio presso la Casa dei catecumeni, un privilegio negato fin a quel momento in casi simili. Il rettore della Casa era comunque sempre presente agli incontri.
Anche in riguardo a questi la stampa presentava versioni contrastanti. Quella ebraica pubblicò una lettera nella quale Marianna Mortara riferiva a un’amica come il bambino piangendo avesse ripetuto che non aveva smesso di recitare le preghiere ebraiche e aveva chiesto ai genitori di non abbandonarlo. Invece secondo un articolo della Civiltà cattolica (Il piccolo neofito E. M., XII [1858], pp. 385-416), ripreso dalla stampa cattolica mondiale, il bambino avrebbe temuto l’incontro con i genitori e avrebbe sostenuto come il suo desiderio fosse quello di essere educato secondo i precetti cattolici. Avrebbe inoltre affermato che era stato battezzato e che suo padre era il papa.
Nonostante ripetuti appelli sottolineassero come la mancata liberazione di Edgardo fomentasse discussioni e ostilità verso il potere temporale della Chiesa, per Pio IX il caso si trasformò in una questione di principio e quindi si oppose al suo ritorno in seno alla famiglia d’origine. Giacomo Martina (1985), principale biografo italiano di Pio IX, a proposito dalla vicenda osserva come le azioni del pontefice esprimessero zelo e fermezza, caratteristiche conservate anche a costo di ledere la simpatia popolare, il prestigio e l’appoggio francese al potere temporale pontificio. Di fatto lo storico belga Roger Aubert (1970) sostiene che proprio le posizioni assunte da Pio IX rispetto al caso Mortara persuasero Napoleone III ad allentare la tradizionale alleanza che lo legava al pontefice.
L’8 dicembre Mortara fu trasferito nel complesso di S. Pietro in Vincoli presso i canonici regolari lateranensi, dove continuò il percorso di formazione cristiana intrapreso dal momento del suo arrivo a Roma.
Nell’aprile 1859 Moses Montefiore, capo della comunità ebraica britannica, si recò a Roma per perorare la causa della sua restituzione ma il cardinale Antonelli gli riferì che il papa non gli avrebbe concesso udienza e che le possibilità di modificare la situazione esistente erano pressoché nulle.
Il 13 giugno 1859, con l’abbandono delle truppe austriache, seguito da quello del cardinale legato, ebbe fine la supremazia papale su Bologna, destinata quindi all’annessione al Regno sabaudo. Il successivo 2 gennaio la polizia piemontese arrestò a Bologna padre Feletti, con l’accusa del rapimento di Mortara. Dopo una serie di interrogatori delle diverse persone coinvolte nel caso, nell’aprile la sentenza del tribunale dichiarò l’inquisitore non colpevole, in quanto il suo comportamento aveva seguito le leggi in vigore nella città emiliana al momento del sequestro.
Mentre la famiglia Mortara, trasferitasi inizialmente da Bologna a Torino e successivamente a Firenze, attraverso il padre lanciava appelli inascoltati presso le maggiori comunità ebraiche d’Europa, Edgardo restò a Roma dove, all’età di 13 anni, decise di intraprendere il cammino che lo avrebbe portato a entrare a far parte dei canonici regolari. L’anno successivo, nel 1866, recitò una sua breve poesia dedicata a Pio IX, in occasione della visita pontificia a S. Agnese. Quando nel 1867, fallì il tentativo garibaldino di conquistare Roma, Mortara viveva con i novizi nella casa di S. Agnese in via Nomentana. Il 17 novembre dello stesso anno, dopo aver pronunciato i voti semplici, tornò a S. Pietro in Vincoli, dove fu ammesso tra i professi per continuare i suoi studi. Fu allora che decise di cambiare il suo nome da Edgardo a Pio Maria, in onore del ‘padre adottivo’, Pio IX, il quale continuò a seguire con attenzione i progressi del giovane.
Mortara viveva ancora a S. Pietro in Vincoli quando, il 20 settembre 1870, le truppe italiane entrarono a Roma. Il mese successivo ricevette la visita del padre che lo invitò a seguirlo a Firenze, ma rifiutò, temendo anzi che il ricongiungimento con la famiglia gli venisse imposto. Per questo motivo, accompagnato da un confratello, si rivolse al generale Alfonso La Marmora, in quel momento rappresentante ufficiale del re a Roma. Nonostante il generale si fosse dimostrato comprensivo, i padri ritennero non fosse opportuno che Mortara si trattenesse a Roma. Vestito in abiti borghesi, la sera del 22 ottobre, con un confratello eluse dunque la sorveglianza davanti alla loro residenza e partì in treno, diretto verso il monastero di Novacella, presso Bressanone, dove visse sotto falso nome, studiando teologia ed ebraico. Fu lì che il 31 dicembre 1871 pronunciò i voti solenni. L’anno seguente partì per Poitiers (Francia), dove il 20 dicembre 1873 ricevette l’ordinazione sacerdotale, grazie a una dispensa papale.
Dedicò i successivi trent’anni alla predicazione e alla raccolta di fondi per il suo ordine, attraversando l’Europa dalla Francia alla Spagna, dalla Germania all’Austria, visitando Gran Bretagna, Ungheria, Polonia, Balcani, e infine il Nord America, usando la sua storia come esempio di redenzione. Nel frattempo mantenne una sia pur sporadica corrispondenza con la sua famiglia, iniziata fin dal primo periodo della sua permanenza a Roma, cercando di convincere i genitori a seguirlo nella conversione al cattolicesimo. Nel 1891, in uno dei suoi periodici viaggi attraverso l’Italia, si recò nella città natale della madre per svolgere la sua attività di predicatore.
Alla fine del 1897 si imbarcò da Liverpool per New York dove incontrò l’arcivescovo al quale chiese il permesso di fondare una nuova chiesa che sarebbe dovuta diventare il punto di riferimento per la comunità italiana locale. L’arcivescovo si rivolse alla Congregazione di Propaganda Fide, esprimendo perplessità e contrarietà rispetto al progetto, in quanto essendoci a New York buone relazioni tra la comunità italiana e quella ebraica, temeva che qualsiasi iniziativa guidata da Mortara avrebbe rischiato di creare fraintendimenti e tensioni. Mortara continuò dunque il suo viaggio negli Stati Uniti, visitando Milwaukee, Boston e altre città, ma la sua attività di missionario non diede i risultati desiderati. Così, nell’aprile 1898 lasciò l’America e fece ritorno in Europa, recandosi prima a Londra e poi in Polonia, in Cecoslovacchia e infine in Ungheria.
Dopo decenni di predicazione e di attività missionaria, nel 1906 si ritirò nel monastero dei canonici regolari di Bouhay, vicino a Liegi, dove dedicò il resto della sua vita allo studio, alla preghiera e alla devozione per la Vergine Maria.
A Bouhay morì l’11 marzo 1940.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Fondo Pio IX, oggetti vari, n. 1433, Mortara, Edgardo, Segretario di Stato, anno 1864, rubrica 66, ff. 1, 2, 3; Arch. di Stato di Bologna, Tribunale civile e criminale di prima istanza in Bologna, Causa di separazione violenta del fanciullo E. M. contro Feletti frate Pier Gaetano, 1860. Importanti le carte presso l’Arch. del Vicariato di Roma, Arch. della pia Casa dei catecumeni e dei neofiti, 184, Liber III, 1827-1887; Roma, Arch. storico della comunità israelitica, Battesimi forzati, caso Mortara, 1858. La difesa di Feletti è stata pubblicata in F. Jussi, Difesa del padre Pier Gaetano Feletti, imputato come Inquisitore del S. Uffizio del ratto del fanciullo E. M., Bologna 1860. Una memoria di Mortara scritta nel 1878 è stata pubblicata a cura di G.L. Masetti Zannini, Nuovi documenti sul «caso Mortara», in Rivista storica della Chiesa italiana, XIII (1959), pp. 239-279; V. Messori ha riprodotto un memoriale del 1888 scritto da Mortara (Il bambino Mortara e Pio IX: Narrazione autografa del «caso Mortara» scritta dal protagonista, in Io, Il bambino ebreo rapito da Pio IX, Milano 2005, pp. 71-156) . Una lettera dell’arcivescovo di New York, Michael Corrigan, relativa al suo incontro con Mortara avvenuto nel 1897, è stata pubblicata da G. Pizzorusso, Il caso Mortara: due libri e un documento americano, in Il Veltro, XLII (1998), pp. 1-2. Si vedano inoltre: B.W. Korn, The American reaction to the Mortara case: 1858-1859, Cincinnati 1957; G. Volli, Il caso Mortara nel primo centenario, in Rassegna mensile di Israel, XXVI (1960), pp. 29-39, 108-112, 149-157, 214-221, 274-279; G. Volli, Il caso Mortara nell’opinione pubblica e nella politica del tempo, in Bollettino del Museo del Risorgimento, 1960, 5, pp. 1087-1152; R. Aubert, Il pontificato di Pio IX (1846-1878), in Storia della Chiesa, a cura di G. Martina, XXI, 1, Torino 1970, p. 145; G. Martina, Pio IX, Roma 1985, pp. 31-35; D.I. Kertzer, Prigioniero del papa re, Milano 1996; D. Scalise, Il caso Mortara, Milano 1997.