REITZ, Edgar
Regista cinematografico tedesco, nato a Morbach (Hunsrück) il 1° novembre 1932. L'apprendistato (come assistente al montaggio e operatore di macchina) avvenne a Monaco durante e dopo gli studi universitari in storia della letteratura e le esercitazioni con un gruppo teatrale legato a ricerche d'avanguardia. La diligente preparazione tecnica gli consentì di curare la fotografia dei primi documentari − di argomento industriale − da lui diretti e, più avanti, del film di esordio di A. Kluge di cui, agli inizi, sentirà il forte fascino intellettuale: Abschied von Gestern (La ragazza senza storia, 1966). Con Kluge e altri cineasti, nel febbraio 1962 firmò il Manifesto di Oberhausen, da cui si fa iniziare il movimento del Giovane cinema tedesco (Junger Deutscher Film).
Constatato l'esaurimento del cinema commerciale in Germania (simbolicamente sancito dalla chiusura della casa che aveva superato guerre e rivolgimenti sociali, l'Ufa, decretata un mese prima), un gruppo di combattivi intellettuali chiese e ottenne il finanziamento pubblico per opere "che parlino una nuova lingua cinematografica". Il film Mahlzeiten (Buon appetito, 1966), presentato durante la Mostra del cinema di Venezia, fa conoscere R. ai critici europei; in esso, nella distaccata disamina di come si corrompa una coppia nella società dei consumi, R. si serve di forme contratte all'interno di uno spazio rigorosamente impersonale. Oggettivo quanto un elaborato matematico appare anche Cardillac (1969) in cui, tuttavia, l'esposizione in chiave antiautoritaria di un racconto del mistero di E.T. Hoffmann viene sconvolta dall'intrusione nella fiction delle lacerazioni del reale, dall'inserimento nel tessuto narrativo di dispute che occuparono la troupe durante le riprese.
Pagato il debito alla tensione rivoluzionaria e agli esperimenti linguistici che accompagnarono gli anni della contestazione (numerosi i film-saggio spesso firmati con altri registi), con una successiva commedia sul piacevole viaggio di due donne a Vienna al tempo di guerra (Die Reise nach Wien, 1973) R. perviene a un recupero delle strutture tradizionali del racconto cinematografico. Le ancora vaste potenzialità di un modo disteso, estroverso, di fermare un percorso di famiglie e individui all'interno dello scorrere del tempo, dell'evolversi della macrostoria (dal 1919 al 1982), sono sfruttate con maestria da R. in Heimat (1984). L'opera − notevole per la possente architettura (undici capitoli, quasi 16 ore di proiezione destinate sia al grande che al piccolo schermo), per la felice fusione del bianco e nero e del colore, per la ricchezza delle annotazioni psicologiche − propone un sistema organico di esperienze individuali e collettive, un risarcimento alla gente di provincia considerata da R. l'humus della Germania. Dalla campagna alla città: messosi sulle tracce del giovane Hermann che si trasferisce a Monaco per affermarsi nel mondo artistico, in Die Zweite Heimat. Cronik einer Jugend (1993) R. compone un affresco sulla propria generazione, distinto da un ben modulato susseguirsi di eventi privati e pubblici, da assoluta attendibilità psicologica e da robusta scrittura. Caratteristico romanzo di formazione, il secondo Heimat narra le attese, gli amori, le delusioni di un gruppo di intellettuali avendo come sfondo un decennio di storia (1960-70). Con i suoi tredici capitoli (26 ore di coinvolgente proiezione), il film si è imposto prepotentemente all'attenzione del pubblico e della critica internazionali.
Bibl.: E. Reitz, Lieben zum Kino, Colonia 1984; Id., Heimat, Nördlingen 1985 (sceneggiatura del film); AA.VV., Il cinema di Edgar Reitz. La cinepresa e l'orologio, a cura di L. Quaresima, Firenze 1988.