EDEN
. Nome che si legge nella Bibbia ebraica in tre sensi differenti: 1. di persona (II Cron., XXIX, 12; XXXI, 15); 2. di una regione posta sull'Eufrate ad E. di Aleppo, la Bīt Adini dei monumenti assiri (II Re, XIX, 2; Ezech., XXVII, 23; Amos, I, 5); 3. del luogo ov'era il Paradiso terrestre, detto in ebraico gan ‛eden (Gen., II, 15), giardino di Eden, o gan be‛eden (Gen., II, 8), giardino in Eden. È di questo terzo senso, più frequente e più noto, (donde nell'uso eden "luogo delizioso") che qui si tratta.
Il nome. - In ebraico è identico a un sostantivo che significa "piacere, delizie"; perciò gan ‛eden è tradotto nella Volgata: paradisus voluptatis. Modernamente la voce ebraica ‛eden fu derivata dal sumerico edenu = deserto, pianura incolta; e gan ‛eden verrebbe a dire: giardino nel deserto, oasi. Più comunemente Eden si prende ora per il nome proprio di una regione, che resta da determinare.
Il luogo. - La Bibbia stessa ci fornisce i seguenti dati: "Un fiume esce da Eden a irrigare il giardino, e di là si divide in quattro capi. Uno si chiama Fison (Pishōn); è quello che percorre tutta la regione di Evila (Ḥavīla), dov'è l'oro, e oro eccellente; ivi sono pure il bdellio [resina odorosa] e la pietra malachite. Il secondo fiume ha nome Geon (Ghiḥōn); è quello che percorre tutto il paese di Cus (Kūsh). Il terzo fiume si chiama Tigri (Ḥiddeqel); è quello, che scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate (Perat)" (Gen., II, 10-14). Ma mentre i due ultimi fiumi sono notissimi, i primi due non vengono più ricordati né dalla Bibbia (eccetto Eccli., XXIV, 25, 27 che non aggiunge elementi decisivi) né dall'antichità profana. La Genesi invece ricorda ancora due diverse Evila, una asiatica (X, 29) e una africana (X, 7), e parimenti due Cus (X, 6,8). Di qui difficoltà e grande varietà di opinioni sulla situazione geografica dell'Eden. Accenneremo le principali.
a) Presso il corso del Tigri e dell'Eufrate: 1. nell'altipiano d'Armenia, ove oltre quei due nascono altri fiumi identificati con Fison e Geon, cioè Fasi e Arasse (Reland e altri) ovvero Kur e Arasse (Hoberg); 2. nel medio corso dell'Eufrate, dove confluiscono il Belich e il Hābür (Riessler); 3. sul basso corso del medesinno, presso Babilonia, dove per canali congiungesi col Tigri (Calvino, Huet, Delitzsch) ovvero manda bracci laterali al mare (Steuco); 4. sul golfo Persico, ove coi due detti sboccano altri fiumi (Pressel, Sayce); 5. nell'isola di Bahrein (Burrows). A questi sistemi si può ridurre l'opinione degli antichi, giudei e cristiani, che identificavano Geon col Nilo, e Fison col Gange (o l'Indo), in quanto essi pensavano che questi fiumi, nati non lungi dal Tigri e dall'Eufrate, si portassero poi per vie sotterranee l'uno in Africa, l'altro in India.
b) Staccandosi dal bacino mesopotamico, altri collocarono l'Eden a Damasco (Niehbur, Engel), nell'Arabia centrale (Glaser, Hommel), nell'Arabia meridionale (Halévy), nell'Asia centrale (Wright), in Egitto (Eissler), in Occidente (Albright), al Polo Nord (Warren).
c) Né mancarono sia fra gli antichi (già S. Ireneo) sia tra i moderni (Ungnad, de Wuippens) alcuni che lo situarono fuori del globo, in cielo.
d) Relegarono l'Eden, con tutto il racconto relativo della Genesi, nel mondo delle idee Filone e la scuola allegorica di Alessandria (v. bibbia, VI, p. 911), nel regno della fantasia i moderni mitologisti e folcloristi.
Le ultime due categorie (c, d) sono certamente errate. L'autore di Gen., II, 11-14 senza dubbio concepì l'Eden come un luogo reale situato su questa terra. Meno male chi lo colloca sull'altipiano d'Armenia (a,1); ma ivi pure sono gravi difficoltà. Probabilmente l'autore non volle determinare un luogo preciso, ma solo attribuire ai quattro rivi del giardino paradisiaco i nomi e la benefica fecondità delle acque (non il corso) dei quattro più grandi fiumi allora conosciuti (per l'importanza data ai nomi si veda ancora, Gen. II, 1920, 23; III, 20). In tale interpretazione nulla osta che, con gli antichi, per Fison s'intenda il Gange (o meglio l'Indo, come più vicino agli Ebrei) e per Geon il Nilo.
Le tradizioni. - Che nei primordî dell'uman genere (v. adamo, I, p. 470) si vivesse in uno stato felice, perduto poi e non più tornato, era pure nelle tradizioni di altri popoli dell'antichità non solo orientale, ma anche classica (p. es. Esiodo, Opere e giorni, 109-119; Ovidio, Metamorfosi, I, 89-112). Inoltre qualche idea d'un'erba di vita e d'immortalità non guadagnata, piuttosto che perduta, dall'uomo si ha pure nelle leggende babilonesi (v. babilonia e assiria, V, pp. 748, 754). Ma nulla si è trovato ancora di veramente parallelo al racconto biblico nella sua forma specifica, cioè d'una coppia umana progenitrice di tutto il genere, posta in un giardino, sedotta da un genio malefico a trasgredire un ordine divino e perciò decaduta, con tutti i posteri, dal suo felice stato.
Bibl.: In genere: T. Malvenda, De paradiso voluptatis, Roma 1605; J. Marck, Historia paradisi, Amsterdam 1705; J. Feldmann, Paradies un Sündenfall, Münster 1913. Inoltre i dizionarî biblici (v. bibbia, VI, p. 916) alle voci Eden e Paradiso, e i commenti alla Genesi. Sul luogo, sei trattati dei secoli XVII, XVIII (Bochart, Reland, Huet, ecc.) sono riuniti in Ugolini, Thesaurus antiquitatum, Venezia 1747; altri sino alla scorcio del sec. XIX elencati in O. Zöckler, Eden, Ophir, Ephraim, Monaco 1893; per il sec. XX, W. Willcocks, From the Garden of Eden to the crossing of the Jordan, Londra 1919; F. V. Winnet, Paradise of Eden, Toronto 1929. Sulle tradizioni babilonesi, art. Babylone et la Bible, in Dictionnaire de al Bible, Spplemento I, pp. 737-745 e in Dictionnaire apologétique de la foi catholique, I, p. 339 segg.