Edema
Con il termine edema (dal greco οἴδημα, "gonfiore") si definisce un abnorme aumento del liquido interstiziale dei tessuti o di quello contenuto nelle cavità sierose (pleure, pericardio, peritoneo). Numerose patologie (cardiache, epatiche, renali ecc.) determinano la comparsa di edemi generalizzati, mentre edemi localizzati sono legati ad alterazioni infiammatorie a carico dei vasi (vene, linfatici), a fenomeni allergici o infiammatori locali.
L'eccesso di liquido interstiziale dei tessuti o di quello contenuto nelle cavità sierose può essere clinicamente apparente, manifestandosi allora con una tumefazione indolente del tessuto sottocutaneo a livello soprattutto delle zone declivi del corpo o di alcune sedi (palpebre) in cui il connettivo si caratterizza per una particolare lassità ed è quindi più facilmente infiltrabile. Può essere, però, anche latente, allorché lo spandimento interessa in maniera diffusa tutti i tessuti senza evidenza clinica di edema; in tal caso esso può essere diagnosticato soltanto attraverso il rilievo, per mezzo di pesate successive, di incrementi ponderali non altrimenti giustificati, la cui entità può raggiungere diversi kg. Nelle normali condizioni di idratazione, gli spazi extracellulari contengono una quantità di acqua pari al 20-25% del peso corporeo. Essi sono costituiti da due grandi settori, quello vascolare e quello interstiziale, in cui la componente idrica corrisponde, rispettivamente, al 5% e al 15-20% del peso del corpo. Per parlare di edema, l'aumento patologico dell'idratazione deve necessariamente riguardare gli spazi interstiziali, cioè quelli compresi tra i vasi e le cellule; l'aumento del contenuto di acqua nel sistema vascolare o in quello cellulare manca il più delle volte (talora può aversi addirittura una contrazione del volume dei liquidi circolanti) e, quando è presente, costituisce una complicanza, piuttosto che una causa. L'eccesso dell'idratazione interstiziale può estendere le sue conseguenze alle cavità sierose (pleure, peritoneo, pericardio) o ad altre strutture (ventricoli cerebrali, spazi meningei, articolazioni ecc.) che possono essere considerate una dipendenza del mesenchima, dando luogo a versamenti liberi, che a seconda della loro sede vengono chiamati idrotorace, idropericardio, ascite (nella cavità peritoneale), idrocefalo, idrartro, idrocele (nella tunica vaginale propria del testicolo). Si definisce anasarca la condizione caratterizzata da un'espansione del volume di liquido interstiziale che interessa l'intero organismo. I meccanismi fisiopatologici all'origine della formazione degli edemi sono fondamentalmente rappresentati dall'aumento della pressione nel sistema venoso (stasi a monte), dalla diminuzione della pressione osmotica del sangue e dall'accresciuta permeabilità vasale, cui si aggiungono, con finalità tendenzialmente compensatorie ma concretamente concorrenti ad aggravare e perpetuare il disturbo, la ritenzione renale di acqua e di sodio. La superficie di scambio tra il settore vascolare e gli spazi lacunari, che costituiscono il cosiddetto tessuto interstiziale, è rappresentata dall'insieme dei capillari sanguigni e ha dimensioni di oltre 7000 m². Il sistema capillare consta di due settori principali: arterioso, alimentato dalle arteriole precapillari, e venoso, che confluisce nelle venule efferenti. Dal capillare arterioso a quello venoso, la pressione idrostatica diminuisce regolarmente, quale risultato del progressivo smorzamento dell'onda sistolica che si verifica nell'attraversamento di questo sistema (da circa 30 mmHg a 12 mmHg). Alla pressione idrostatica si contrappone una forza di direzione opposta, in rapporto con la pressione osmotica sviluppata dalle proteine del plasma (pressione oncotica), che è elevata nel settore vascolare (25 mmHg) e di gran lunga minore nell'interstizio (10 mmHg); a quest'ultimo livello esiste inoltre una lieve pressione idrostatica (intorno a 8 mmHg), definita tensione o tonicità tessutale. Per questo gioco di forze di segno contrario, nel settore arterioso si viene a creare un gradiente di pressione tra il sangue e i liquidi interstiziali (essendo la differenza tra superficie interna ed esterna della membrana basale dei capillari di circa 7 mmHg); l'inverso avviene invece nel settore venoso, in cui la pressione idrostatica si abbassa e quella oncotica aumenta in conseguenza di un'emoconcentrazione per perdita di acqua a monte, dando origine a un gradiente di pressione ancora maggiore di quello esistente a livello dei capillari arteriosi e realizzando così un efficace drenaggio del liquido interstiziale. L'aumento della pressione venosa a valle del sistema capillare influenza evidentemente le condizioni di pressione esistenti sul versante venoso di tale sistema, riducendo a questo livello il gradiente di reintegrazione dei liquidi e ostacolando quindi il ritorno dell'acqua nel settore vascolare, così da favorire la formazione dell'edema. Questo meccanismo predomina nella produzione degli edemi nell'insufficienza cardiaca congestizia, ma interviene anche nella genesi di quelli da ritenzione renale primitiva idrosodica. La diminuzione della pressione oncotica del plasma, dovuta a ipoprotidemia (da perdita renale, come nella sindrome nefrosica, o intestinale, come nelle gastroenteropatie proteinodisperdenti; da insufficiente apporto, come negli stati di denutrizione estrema; da alterata sintesi dell'albumina sierica, come nelle gravi epatopatie), è un altro importante fattore patogenetico, in quanto determina un aumento del gradiente di pressione a livello del capillare arterioso e una sua diminuzione su quello venoso. L'aumento della permeabilità dell'endotelio capillare, di origine infettiva (batteri, virus), fisica (meccanica, termica), chimica o immunologica (reazioni da ipersensibilità), facilita la filtrazione del liquido dal sangue all'interstizio e costituisce pertanto un ulteriore elemento patogenetico. La fuga di liquidi dal sistema vascolare può essere di entità tale da provocare, soprattutto in caso di aumentata permeabilità capillare o di ipoprotidemia, la riduzione del volume plasmatico (ipovolemia); altre volte, invece, questa fuoriuscita è più insidiosa, e compatibile con il mantenimento di una volemia normale e persino superiore alla norma (in quest'ultima evenienza, per il prevalere dei meccanismi di compenso renali). La ritenzione renale di acqua e di sodio, finalizzata al mantenimento del volume circolante, è infatti un fenomeno che si verifica costantemente in presenza di edemi e che, non di rado, può risultare quantitativamente eccessiva e prevalere sulla fuga di liquidi verso l'interstizio, tanto da costituire un fattore di aggravamento. Essa si realizza attraverso un aumentato riassorbimento tubulare di questi elementi, al quale contribuiscono il sistema nervoso simpatico, l'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, la resistenza del tubulo renale all'azione del peptide natriuretico atriale (ANP, Atrial natriuretic peptide), e altri fattori ancora.
Dal punto di vista clinico si distinguono edemi generalizzati, che sono il risultato di affezioni sistemiche (cardiache, epatiche, renali, discrasiche), ed edemi locali, che conseguono ad alterazioni di carattere appunto locale (occlusioni venose o linfatiche segmentarie, infiammazioni, allergie). Nell'insufficienza cardiaca, l'accumulo di liquido si localizza a monte della specifica camera cardiaca inizialmente interessata: nell'insufficienza del ventricolo sinistro (infarto del miocardio, ipertensione arteriosa, vizi valvolari aortici e mitralici), in un primo tempo predominano i sintomi secondari a congestione polmonare, ma successivamente anche la funzione ventricolare destra risulta compromessa, e alla dispnea e all'eventuale edema polmonare iniziali si aggiungono in un secondo tempo edemi, che sono dapprima localizzati nelle regioni declivi del corpo e poi generalizzati, epatomegalia congestizia, ascite e idrotorace, cosicché nelle fasi più tardive può configurarsi un vero e proprio stato anasarcatico. Nell'insufficienza cardiaca, la comparsa dell'edema non è necessariamente correlata con il livello della pressione venosa sistemica; così, nelle forme con bassa gettata cardiaca, il volume del liquido extracellulare può essere sufficientemente espanso da provocare edema anche in presenza di una pressione venosa normale o appena aumentata. L'evoluzione dell'edema è condizionata dall'aggravamento o miglioramento delle condizioni emodinamiche, ed è quindi in rapporto anche con l'efficacia delle misure terapeutiche adottate (riposo a letto, regime iposodico, assunzione di glicosidi cardioattivi e altri farmaci inotropi, diuretici, vasodilatatori). Anche nelle fasi di remissione, come già in quelle che precedono l'instaurarsi degli edemi clinicamente evidenti, esistono pressoché costantemente edemi inapparenti, il cui monitoraggio deve essere condotto seguendo con grande attenzione l'andamento della curva ponderale. L'aspetto degli edemi si modifica in relazione alla loro durata: inizialmente sono pallidi, molli, indolenti e facilmente depressibili (caratteristico è l'infossamento localizzato dei tegumenti, che persiste per qualche tempo dopo che su di essi si sia esercitata una forte pressione con le dita), a lungo andare subiscono un indurimento e la cute che li riveste diviene arrossata e pigmentata. Negli edemi che accompagnano la sindrome nefrosica, un notevole contributo è fornito anche dalla ritenzione sodica dovuta all'alterata funzione renale. Nelle epatopatie croniche gravi, e soprattutto nella cirrosi, sono primariamente in gioco l'ostacolo rappresentato dal fegato fibrotico, che si interpone tra la vena porta e le vene sovraepatiche (ipertensione portale), e l'ipoalbuminemia da ridotta sintesi; ciò si traduce nella comparsa di ascite e di edemi, localizzati prevalentemente nella metà inferiore del corpo; la ritenzione idrosodica secondaria introduce anche in questo caso un elemento aggiuntivo di danno. Altri edemi degni di menzione sono quelli che si manifestano talora nel corso della gravidanza e i cui caratteri essenziali ricordano gli edemi di origine renale. Occorre tuttavia distinguere la ritenzione idrica fisiologica, caratteristica dell'ultimo trimestre della gestazione, dagli edemi che sono in rapporto con una cardiopatia o una nefropatia preesistenti e misconosciute, e da quelli preeclamptici. La tossiemia gravidica (preeclampsia ed eclampsia) rappresenta la più importante e grave complicanza edemigena della gestazione, si accompagna costantemente a proteinuria, oliguria e ipertensione arteriosa e può sfociare in crisi convulsive e coma; anche i piccoli segni premonitori vanno pertanto considerati con grande attenzione, data la severità prognostica che la forma conclamata comporta. Una genesi chiaramente meccanica hanno gli edemi che compaiono in caso di ostruzione, flogistica o di altra natura, di tronchi venosi (come negli esiti delle tromboflebiti) o linfatici (linfedema, per es., quale sequela di interventi chirurgici di mastectomia con svuotamento del cavo ascellare nei casi di tumori della mammella). Infine, vanno menzionati gli edemi cosiddetti idiopatici, che si manifestano quasi esclusivamente nella donna, per lo più sulla base di un particolare terreno psicologico, e sembrano avere un qualche rapporto con le variazioni meteorologiche. Sono così denominati per la ragione che non è possibile identificare per essi alcuna delle più comuni cause (cardiache, renali, epatiche, disprotidemiche, allergiche ecc.). Al di fuori della constatazione dell'edema, l'esame clinico risulta di solito completamente negativo; tuttavia, in alcuni casi essi appaiono in relazione con il mantenimento per un lungo periodo di tempo della stazione eretta, mentre in altri casi sembrano essere indotti dai diuretici (il cui uso cronico determinerebbe una lieve ipovolemia, ipercompensata dai meccanismi di ritenzione idrosodica) oppure, al contrario, dalla sospensione brusca di tali farmaci. Essi vanno comunque distinti dagli edemi premestruali, che compaiono ciclicamente prima di ogni ricorrenza mensile e sono verosimilmente l'effetto di un'eccessiva stimolazione estrogenica.
M. Albeaux-fernet, J.D. Romani, Les oedèmes, Paris, Masson, 1962.
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