ECUMENE
. Con questo termine (οἰκουμεβη sott. γῆ; in lat. habitabilis) i geografi greci indicarono sino da epoca remota la porzione della terra emersa conosciuta e abitata dall'uomo. Col progredire delle conoscenze geografiche, soprattutto dopo il secolo IV a. C., si diffuse l'opinione che non tutta la terra emersa fosse abitabile, poiché dalle parti comprese nella zona artica e da quelle comprese nella torrida l'uomo si riteneva escluso per gli opposti eccessi della temperatura; l'area dell'abitabile non coincideva perciò con quella della terra emersa conosciuta. La dottrina dell'inabitabilità delle zone torrida e glaciale, per quanto non condivisa da tutti, si perpetuò tuttavia, come opinione comune, anche nel Medioevo, finché le scoperte del sec. XV non ne dimostrarono l'erroneità. Per contro si discusse sin dall'antichità se l'ecumene conosciuta fosse la sola sull'orbe terraqueo, in opposizione alla dottrina dell'unicità dell'ecumene, accolta ad es. da Tolomeo, è abbastanza diffusa un'altra che ammette l'esistenza di un'ecumene australe, o anche una più singolare dottrina secondo la quale sarebbero esistite sulla terra quattro ecumene simmetricamente disposte, cioè, oltre la nostra, un'altra nell'emisfero nord (ecumene dei perieci) e due nell'emisfero sud (quella degli anteci e quella degli antipodi); le quattro masse s'immaginavano divise da ampie corone di oceano abbraccianti tutta la sfera (terra quadrifida). Anche di questa dottrina è qualche traccia nel Medioevo.
I geografi moderni - in prima linea F. Ratzel - hanno risuscitato il termine ecumene per indicare quella parte della terra emersa nella quale l'uomo trova almeno quel minimo di condizioni favorevoli che è necessario per un insediamento permanente. Le più vaste aree sottratte oggi all'uomo (aree anecumeniche) si trovano nelle calotte polari dove, secondo un calcolo approssimativo, si hanno forse 15-16 milioni di kmq. di terra inabitabile. Il limite polare dell'ecumene, quale è attualmente, è indicato dalla cartina annessa, dalla quale si rileva che l'uomo si avvicina al Polo Artico molto più che all'Antartico: le località permanentemente abitate più vicine al Polo Nord sono oggi Itah sullo Stretto di Smith (78°20′ lat. N.) e Longyear nelle Svalbard, circa alla stessa latitudine; quella più vicina al Polo Sud è Grytviken nella Georgia Australe a 54°17′ lat. S. Ma quel limite solo convenzionalmente può essere indicato da una linea; in realtà intorno ad esso vi sono aree abitate temporaneamente o da genti nomadi, che si spostano a seconda del succedersi di anni o di periodi più o meno favorevoli per condizioni di clima (aree subecumeniche).
Il limite dell'ecumene verso i Poli si è venuto avanzando progressivamente, man mano che, col ritiro definitivo dei ghiacciai quaternarî, porzioni sempre più estese, soprattutto nell'emisfero settentrionale, venivano conquistate dalla vita vegetale e animale; ma questa fase dell'espansione umana cade per la massima parte nell'età preistorica. In epoca storica furono abitate definitivamente le Fæerører (sec. VI), l'Islanda (sec. VIII), i lembi liberi da ghiacci della Groenlandia (sec. IX), terre tutte che non avevano visto prima d'allora orma umana. A partire dal sec. XIV, da quando comincia il periodo meglio conosciuto della diffusione dell'uomo sulla Terra, le nuove conquiste si limitano a qualche gruppo d'isole oceaniche, come le Azzorre e Madera, abitate per la prima volta poco dopo la loro definitiva scoperta nel sec. XIV, le isole del Capo Verde (sec. XV), le Bermude (1611), le Mascarene, le Seicelle, le Chagos, nell'Oceano Indiano, disabitate quando vi approdarono i primi Europei, qualche gruppo del Pacifico orientale, come le Galápagos. Verso i Poli si possono annoverare alcuni nuovi stabilimenti avvenuti di recente, come quelli delle Svalbard e in talune isole a nord della Siberia, ma non si sa ancora se essi possano considerarsi come definitivi, dacché qualche oscillazione, in un senso e nell'altro, vi fu, anche nei secoli scorsi, nel limite polare dell'ecumene, forse in relazione con oscillazioni climatiche.
Oltre alle aree polari, altre aree anecumeniche sono rappresentate dalle zone molto elevate di tutte le grandi catene montuose del globo, cosicché vi è anche un limite altimetrico dell'ecumene; ma esso varia enormemente secondo la latitudine. Tra le localita più alte del globo ve n'è talune del Tibet e dell'altipiano boliviano, fino a 4800-4900 m., cioè fino all'altezza del M. Bianco circa; nelle Alpi invece le località pemmanentemente abitate sopra i 2000 m. sono rarissime. Altre aree anecumeniche si trovano nei deserti, ecc.
Dopo i grandiosi progressi raggiunti, a partire dalla fine del sec. XV, dalla navigazione d'alto mare, si può parlare anche di un'ecumene marittima; se in essa s'includono tutti i mari regolarmente navigati (i quali ormai formano una zona continua da 70° lat. N. a 50° lat. S.), il progresso, rispetto all'età antica e medievale, appare veramente enorme; sembra tuttavia più giusto limitare il concetto di ecumene marittima a quelle plaghe che l'uomo utilizza sistematicamente per i prodotti della pesca, ecc., e che sono perciò divenute una base di vita economica come è la terra coltivata per l'agricoltore. L'area di queste piaghe, che corrispondono ai principali distretti di pesca, non si può calcolare; del resto anche in questo campo l'espansione dell'uomo si allarga sempre più.
Bibl.: F. Ratzel, Anthropogeographie, II, Stoccarda 1891, pp. 3-144; K. Hassert, Die Nordpolargrenze der bewohnten und bewohnbarer Erde, Lipsia 1891; C. Vallaux, Géographie Sociale. La Mer, Parigi 1908.