Ecuba
Figlia di Cipseo (o, per alcuni mitografi, di Dimante) e seconda moglie di Priamo re di Troia, E. è l'esempio più patetico di madre sventurata sulla quale si addensano, uno dopo l'altro, i più gravi dolori.
Dopo aver vissuto tanti anni in serenità allietata da diciannove figli e dai fasti della dignità regale, ella vide cadere nella lunga guerra contro i Greci vari figli, tra cui il prediletto Ettore, e assistette inorridita alla presa di Troia, all'uccisione dello stesso vecchio Priamo per mano di Pirro (cfr. Aen. II 515 ss.), al saccheggio della città; fatta prigioniera dai vincitori, fu assegnata come schiava a Ulisse, e non poté impedire il sacrificio della figlia Polissena, ultimo suo conforto in tanto dolore, che venne immolata sulla tomba di Achille. Le rimaneva un'estrema consolazione: sapere salvo il figlio Polidoro, inviato per tempo da Priamo in Tracia presso il genero Polimestore; quando ne vide il cadavere sulla spiaggia (Polimestore aveva pensato di approfittare della rovina di Troia per impadronirsi dei tesori affidati a Polidoro), la sua mente non resse più, e impazzita dal dolore si vendicò accecando il genero traditore. Nella narrazione ovidiana (che tratta in particolare degli episodi di Polissena e di Polidoro), E. fu allora circondata dai Traci decisi a vendicare il loro signore, e colpita con pietre e con dardi: dalla gola della disperata dolente uscirono, anziché grida umane, latrati, ed E. si mutò in cagna. Secondo alcuni mitografi, si sarebbe uccisa gettandosi in mare. Alla sfortunata accennano tutti gli scrittori greci e latini che toccano della guerra troiana; in particolare, i tragediografi si appassionarono al suo destino di regina divenuta schiava e al suo immenso dolore di madre orbata dei figli.
Più che le Troades di Seneca (di cui E. è uno dei personaggi principali), D. ha avuto presente, oltre all'accenno virgiliano, il diffuso episodio delle Metamorfosi di Ovidio (XIII 404-575), riassunto brevemente in If XXX 13-21: della trista, misera e cattiva E.' è ricordato l'accumularsi delle sventure sul suo capo quando la fortuna volse in basso / l'altezza de' Troian; l'attenzione del poeta fiorentino è tuttavia puntata piuttosto sulla furiosa follia che le fé la mente torta, che è appunto addotta a esemplificazione della rabbia che anima i falsari della persona. L'abbinamento con un altro episodio pure ovidiano (forse aiutato anche da un'analogia nella fonte: Atamante, in preda a furore omicida, credette che la moglie Ino e i figlioletti fossero una leonessa con i leoncini; il furore di E. è da Ovidio paragonato a quello di una leonessa cui abbiano portato via i cuccioli), è già indicativo di questa fruizione meramente erudita, che mostra come questo personaggio pur tanto tragico e degno di pietà non abbia in ultima analisi particolarmente commosso la fantasia del poeta (e si noti che analoga constatazione si è fatta per la figura, parimenti patetica, di Andromaca). V. POLIDORO; POLIMESTORE; POLISSENA.