Vedi Ecuador dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Stretto tra Perù e Colombia, l’Ecuador è diventato una repubblica presidenziale nel 1979, dopo un ventennio caratterizzato dall’alternanza tra regimi militari e governi civili. La stabilità del paese è stata minacciata negli ultimi decenni da tre colpi di stato (avvenuti nel 1997, nel 2000 e nel 2005), favoriti da proteste di piazza e generalmente condotti con l’appoggio del parlamento e l’apporto determinante dell’esercito, facendo dell’Ecuador uno degli stati più turbolenti dell’America Latina. Un periodo di stabilità, tuttavia, è stato garantito al paese da quando Rafael Correa è salito per la prima volta al potere nel 2007 e, soprattutto, da quando ha avuto modo di consolidare la propria maggioranza in parlamento nelle ultime elezioni del febbraio 2013. Seppure non siano mancati episodi di protesta, come quella organizzata dalle forze di polizia il 30 settembre 2010, che ha costretto il governo a decretare un temporaneo stato d’emergenza, Rafael Correa è riuscito a traghettare il paese durante le delicate fasi della riforma istituzionale – da lui fortemente voluta – e ha intrapreso audaci politiche di governo, in netta controtendenza rispetto ai suoi predecessori, che hanno riacceso l’orgoglio del popolo ecuadoriano. Populismo, promesse di stabilità per il paese e retorica anti-capitalista sono stati i punti di forza delle sue campagne elettorali; oggi accompagnano la sua azione politica. Nelle elezioni del 2013, gli ecuadoriani hanno ribadito con il 56,7% di voti a favore il sostegno a Correa, capo del partito Alianza Pais (Patria Altiva y Soberana – Alleanza della patria orgogliosa e sovrana) che ha guadagnato 100 seggi su 137 in parlamento. A due anni dalle elezioni la stabilità del governo Correa sembra però essere messa in dubbio: i minori proventi dalle esportazioni di petrolio hanno costretto il presidente a tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse, scatenando proteste di massa che hanno visto oltre 200.000 persone scioperare contro il governo nell’agosto del 2015. Il consenso nei confronti di Correa è rapidamente sceso al suo minimo storico toccando il 46% nel luglio 2015. Nei prossimi anni il presidente dovrà emendare la costituzione per potersi ricandidare per un quarto mandato nel 2017, ma l’approvazione dell’emendamento potrebbe non essere così scontata a fronte del discontento ormai diffuso.
Sul piano internazionale, i rapporti con gli Stati Uniti sono andati progressivamente deteriorandosi, soprattutto per via delle cause intentate contro le compagnie petrolifere americane – prima fra tutte la Chevron – che cercano di mantenere i permessi di estrazione sui ricchi giacimenti petroliferi del paese. Nel 2007 Quito ha abbandonato i negoziati per un accordo di libero scambio con Washington, e nel luglio 2009 ha lasciato scadere la concessione all’esercito statunitense per l’utilizzo di una base militare sul proprio territorio. Parallelamente a questo raffreddamento, Correa si è avvicinato sempre più ai governi di sinistra della regione latinoamericana e a nuovi partner come Iran e Cina.
Dal punto di vista regionale, restano forti tensioni con la Colombia. L’Ecuador ospita circa 120.000 rifugiati colombiani e nel paese trovano rifugio molti guerriglieri delle Farc, in lotta contro il governo di Bogotá. Ciò ha spinto l’esercito colombiano a condurre alcune operazioni transfrontaliere, provocando la reazione diplomatica di Quito, che ha interrotto i rapporti con la Colombia nel marzo 2008. Solo dalla seconda metà del 2010 ha avuto inizio un lento e altalenante scongelamento delle relazioni. I rapporti con il Perù, avversario storico contro il quale l’Ecuador ha condotto nel 1995 il più recente conflitto militare sudamericano, sono invece ormai stabilizzati dalla firma del trattato di pace nel 1998.
L’Ecuador è un paese molto giovane dal punto di vista demografico e abbastanza composito dal punto di vista etnico. I meticci (discendenti da un genitore indigeno e da uno europeo o africano) compongono circa il 65% della popolazione totale, mentre gli indigeni ne costituiscono il 25%; il restante 10% è composto da altre minoranze, soprattutto spagnoli. Dal momento che gli indigeni, seppur in minoranza, formano comunque un quarto della popolazione totale, il partito che li rappresenta (il Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik) ha potuto beneficiare di un buon consenso elettorale e nel 1998 è riuscito a far inserire il riconoscimento della ‘multiculturalità’ dello stato nella Costituzione. La povertà nel paese, nonostante la sensibile riduzione degli ultimi anni, resta molto diffusa: stando alle stime del 2014, il 22,5% dei cittadini vive sotto la soglia di povertà, un dato che nelle aree rurali si impenna fino a interessare quasi due persone su tre. Anche l’istruzione primaria rappresenta un grave problema.
Nonostante i progressi ottenuti attraverso i programmi di cash transfer attuati recentemente dal governo per migliorare il livello d’istruzione e di assistenza sanitaria tra i bambini più poveri, l’Ecuador continua a occupare le posizioni più basse delle classifiche dei tassi di alfabetizzazione dell’America Latina.
Dal 2000 il governo ecuadoriano ha deciso di adottare il dollaro statunitense come valuta corrente, arginando così l’iperinflazione di cui il paese è storicamente vittima.
Con l’arrivo di Correa la politica economica del paese ha assunto un’impronta statalista e si caratterizza per un maggiore interventismo e per la nazionalizzazione delle industrie, soprattutto nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni.
Le ultime misure finanziarie hanno registrato un deciso taglio della spesa pubblica per far fronte al peggioramento delle prospettive economiche dovuto soprattutto al calo del prezzo del petrolio. Nel 2015 il governo ha ridotto le sue spese di oltre due miliardi di dollari e rafforzato la lotta all’evasione fiscale.
Uno dei principali problemi dell’economia ecuadoriana è infatti costituito dalla crescente dipendenza dalle esportazioni di petrolio, le cui rendite oggi contribuiscono per circa il 20% del pil. Il paese è il terzo in America Latina per riserve petrolifere (circa 8 miliardi di barili), dietro al Venezuela e al Brasile; ed è quarto per esportazioni dopo Venezuela, Colombia e Brasile. La sua dipendenza dalla produzione di greggio si riflette nel mix energetico, orientato per l’84,9% verso il consumo di petrolio. Le fonti idroelettriche sono utilizzate per il 7,3% dell’intera generazione di energia elettrica, e questo si ripercuote sulla continuità della fornitura: durante la stagione secca (ottobre-marzo), la popolazione è vittima di frequenti blackout. Il gas riveste invece un ruolo marginale (3,4% dei consumi nazionali), e l’Ecuador è uno dei pochissimi paesi al mondo a non produrre, né consumare carbone.
La firma del trattato di pace tra Ecuador e Perù, nel 1998, ha posto fine alla maggiore disputa territoriale nel sub-continente. Poiché il dissidio aveva dato origine a tre guerre dal 1941, è stato a lungo considerato da Quito come la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale. Il miglioramento delle relazioni con il Perù ha permesso di ridurre le dimensioni delle forze armate, scese dai 59.500 effettivi del 2003 ai 56.500 del 2007. Il numero è però tornato a crescere con l’inasprirsi delle dispute di confine con la Colombia, tanto che oggi l’esercito sfiora i 58.000 effettivi.
Dal punto di vista delle relazioni militari regionali, l’Ecuador collabora strettamente con il Venezuela e, dalla fine del 2010, ha chiuso accordi di intesa per esercitazioni militari congiunte con il Cile. Sempre sul finire del 2010 Caracas ha fornito a Quito sei caccia Mirage per far fronte alla ‘minaccia comune’, identificata nella cooperazione tra la Colombia e gli Stati Uniti. A riprova delle complicate relazioni, è da segnalare che nel luglio 2009, alla scadenza di un contratto decennale, Correa ha deciso di non rinnovare la concessione gratuita alle forze armate statunitensi per l’utilizzo della base aerea di Manta, punto di partenza per alcune tra le più importanti operazioni contro il narcotraffico in America Latina.
Sono numerosi gli scontri diplomatici e legali che vedono Quito contrapporsi agli interessi economici statunitensi: il caso che coinvolge la Chevron è forse tra i più rappresentativi. Il governo dell’Ecuador ha deciso di portare il colosso americano del petrolio davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia per i danni ambientali causati in 26 anni di sfruttamento del petrolio in Amazzonia.
La vicenda ha origine nel periodo compreso tra il 1964 e il 1990, durante il quale la compagnia Texaco (divenuta poi, nel 2001, di proprietà della Chevron), esplorando la provincia amazzonica di Sucumbíos, inquinò vaste aree di foresta, provocando l’ira di ben 30.000 abitanti e agricoltori danneggiati, che sporsero denuncia. Acquistando la Texaco, Chevron ha ereditato anche la causa e le accuse di aver scaricato rifiuti in pozzi a cielo aperto e di avere causato il forte aumento di malformazioni e tumori presso la popolazione locale. L’esito del processo legale è stato però a favore della compagnia petrolifera, in ragione di un accordo che era stato siglato proprio dal governo ecuadoriano e dalla Texaco nel 1995. Per effetto di tale accordo, il gruppo petrolifero si impegnava a ripulire le aree inquinate nella regione del Lago Agrio ma, in cambio, otteneva un’immunità rispetto alle class action, come quella portata avanti dagli agricoltori. Chevron è stata quindi temporaneamente esentata dal pagamento della maximulta da 9 miliardi di dollari comminata dalla Corte suprema dell’Ecuador per danni ambientali. Resta invece soggetta ai frequenti attacchi mediatici di Correa: in risposta alla sentenza, il presidente ha lanciato una campagna di boicottaggio dei prodotti Chevron e si è fatto fotografare con la mano sporca di fango e greggio, a riprova dell’inquinamento causato dalla Texaco. Poiché tuttavia Chevron non detiene attualmente giacimenti attivi in Ecuador, la battaglia condotta da Correa appare più che altro destinata ad acquistare credibilità agli occhi dei cittadini quale paladino del patrimonio ambientale del paese, immagine che era stata gravemente compromessa dalla decisione del suo governo di trivellare nel parco nazionale di Yasuní. Il caso prosegue nelle corti internazionali.