ECOLOGIA (dal gr. οἷκος "casa, abitazione" e λόγος "discorso")
Botanica. - Questa parola fu proposta nel 1866 da E. Haeckel (Gen. Morph. der Organismen, Jena 1866, I, p. 238 e II, p. 286) per indicare la parte della fisiologia che si occupa delle funzioni di relazione degli organismi col mondo circostante e fra di loro. "I fatti ecologici, scrisse altrove (Creaz. natur., trad. ital., p. 457), trovano la loro spiegazione meccanica nella teoria dell'adattamento degli organismi al mezzo, nel loro trasformarsi in seguito alla lotta per l'esistenza, nel parassitismo, ecc., e sono altrettante prove a favore della dottrina della discendenza".
Un anno dopo (1867) Federico Delpino adoperava nello stesso senso, per le piante, il nome di biologia vegetale sotto il quale, in un opuscolo breve di mole ma denso di fatti, avvivati da un pensiero geniale, proponeva di comprendere un complesso di funzioni che sino allora avevano fatto parte della fisiologia: la quale egli concepiva come un'endobiologia, laddove le funzioni di relazione costituivano la esobiologia, dottrina quest'ultima che doveva fare parte a sé con procedimenti e intendimenti suoi particolari e della quale fissava i limiti e il compito, mostrando nel tempo stesso quale influenza il criterio biologico poteva esercitare nel campo della sistematica ed in quello della corologia. Ma la biologia vegetale era prenata a questa e ad altre parole e, a parte le frammentarie notizie esposte negli scritti linneani e agli accenni a rapporti fra piante e insetti del nostro Filippo Arena, il primo saggio ne era stato dato nel 1793 da Cristiano Corrado Sprengel, che il Delpino riconosceva e additava propriamente come il fondatore di questo ramo della botanica. Il materiale di osservazioni si era venuto aumentando nel primo settantennio dello scorso secolo ad opera specialmente di Darwin, Hildebrandt, Blytt, Müller, Kerner e dello stesso Delpino e aveva formato un corpo di dottrina certamente ragguardevole, e da ciò anche l'opportunità di staccarlo dall'ambito della fisiologia.
Il criterio base, che fu in fondo il pensiero dominante del Delpino, era che nelle piante fosse possibile distinguere le funzioni interne e profonde dalle esterne e periferiche: le prime sottratte alla diretta e immediata influenza del mondo ambiente, a campo d'azione molto vasto e cioè estrinsecantesi in tutti o gran parte degli organismi e per giunta rette da leggi fisiche e chimiche; le seconde eseguite da organi periferici, spesso mirabilmente complicati, più o meno influenzati dall'ambiente per sua natura mutevole e costringente, per così dire, l'organismo a sempre nuovi adattamenti e a più armonici equilibrî, non molto estese e anzi spesso circoscritte a generi, a gruppi di specie o a una sola specie, rispondenti a stimoli che sembrano sfuggire a un rigido meccanicismo, tanto che anche per le piante si è parlato di organi di senso, di subpercezioni, di istinti, di costumi, ecc., e da ciò anche tutte le interpretazioni tecnologiche di cui il Delpino colorì una vastissima opera botanica. Ma ammise anche funzioni miste le quali, quanto allo scopo principale e finale, appartengono alla vita interna, ma quanto all'esecuzione sono compiute in parte da organi e apparecchi interni e in parte da organi e apparecchi esterni; e fra queste egli comprese l'assimilazione del carbonio, l'assorbimento, la traspirazione e la funzione della sessualità. Quest'ultima, per citare un solo esempio che in nessun gruppo di piante è così evidente come nelle Fanerogame, è funzione, nella sua finalità ultima e per l'ambiente in cui si compie, di carattere fisiologico (o endobiologico), ma nei suoi antecedenti, e cioè negli apparati di richiamo, di adescamento, di nutrizione dei pronubi nelle piante zoidiofile, negli adattamenti all'acqua o al vento nelle idro- e anemofile, e in una parola negli svariati, mirabili e spesso complicati processi dell'impollinazione staurogama (né si vogliano escludere quelli conducenti all'autogamia), cade nell'ambito della biologia (fiorale) così come il Delpino l'ha intesa e definita. Evoluzionista convinto, ma non meccanicista, egli ritenne che la conformità allo scopo non era opera del caso, né il cieco risultato di leggi fisico-chimiche; che era necessario fare appello alla concezione dualistica; che gli adattamenti (o almeno molti di essi) non sono passivi, ma attivi, e che non si danno disteleologie come E. Haeckel proclamava, poiché non vi sono caratteri inutili, ma solo caratteri che sembrano tali in quanto ne ignoriamo la funzione.
Guidata da queste idee madri la biologia (o ecologia) delpiniana comprende: a) funzioni e organi diretti alla conservazione dell'organismo e, cioè, funzioni di sostegno, di digestione (limitata a peli assorbenti e agli organi delle piante carnivore), amilogena e di assorbimento radicale (solo in parte), protettiva e difensiva contro gli animali, il freddo, la siccità ecc.; b) funzioni e organi diretti ad attuare la sessualità (capitolo vastissimo ma che prende in considerazione, come si è detto sopra, solo gli organi periferici che preparano l'atto sessuale); c) funzioni e organi diretti alla disseminazione. Questa parte comprende la protezione dei semi (e delle spore e simili) con inclusi i caratteri mimetici di alcuni semi e frutti seminiformi, lo spargimento dei semi o dei frutti quando indeiscenti, delle spore, ecc. (altro capitolo assai ampio e vario, intessuto da cima a fondo di interpretazioni finalistiche), la germinazione dei semi, spore, ecc. Da questo quadro restano esclusi i fatti relativi allo sviluppo ontogenetico (cicli di sviluppo, generazione alternante), al parassitismo e in generale ai rapporti simbiotici, al saprofitismo e simili che per il Delpino dovevano costituire una branca a sé col nome di biografia, nonché i processi di variazione e di mutazione, i fenomeni dell'eredità, le teorie e i fatti relativi all'evoluzione che il Borzì, suo allievo, voleva riuniti in un capitolo distinto della biologia generale per il quale suggeriva il nome di biodinamica, ma che evidentemente rientrano in quella branca per la quale è appropriato e largamente adoperato il nome di genetica.
A siffatta maniera di concepire i fatti di relazione e di circoscriverne la dottrina che li concerne, non mancarono obiezioni e critiche. La distinzione tra funzioni interne ed esterne non armonizza con la dottrina cellulare, con tutto quanto si sa degl'intimi rapporti che intercedono fra le cellule nonostante la loro membrana, con quel che si può presumere circa il luogo e l'azione delle sostanze formative che spingono i giovani organi ad assumere la forma adulta e definitiva e con ciò spesso determinate e specialissime funzioni: è, perciò, una distinzione in grande parte oltrepassata. In generale si può dire che qualunque accadimento che si verifichi in un organo periferico, ha una preparazione nell'intimo della pianta e ciò sia detto anche per gli animali che pure hanno un sensorio così sviluppato. Lo zucchero che si raccoglie in un nettario sia esso fiorale o extrafiorale, i materiali nutritizî che vanno ad affluire in un seme o in un organo di riserva (che servono poi alla propagazione della specie), l'amido statolitico che induce l'apice della radice a compiere una curva geotropicamente positiva, quella sostanza a funzione ormonica che determina il flettersi del picciolo e il piegarsi delle foglioline di una Mimosa, esplicano la loro funzione alla periferia del corpo della pianta, ma hanno una loro origine in processi di carattere fisiologico.
Né le funzioni interne si possono dire o ritenere sottratte all'influenza dell'ambiente, se è un canone fisiologico che la pianta, come qualunque organismo, deve, per vivere, continuamente autoregolarle col variare dei fattori esterni, e questa autoregolazione è una delle sue più delicate prerogative di cui si può trovare traccia nelle modificazioni che a volte subiscono anche i suoi tessuti più profondi. Così la forma acquatica e a foglie natanti del Polygonum amphibium, quando cresce spontaneamente in terra o vi è coltivata assume sin dalla prima generazione la forma terrestre dal portamento eretto (e viceversa), e queste sono diverse non solo per caratteri esteriori ma anche per l'interna struttura dei rispettivi tessuti.
Quel che resta del pensiero delpiniano e giustifica sino a un certo punto la separazione della biologia (o meglio ecologia) dalla fisiologia, è basato sulla considerazione che alcune funzioni più generali (nutrizione, accrescimento, circolazione, forme primitive di moltiplicazione e di sessualità) devono essere apparse sin dai primordî della vita, mentre altre sono venute insorgendo e altre perfezionandosi con l'evolversi e col perfezionarsi del protoplasma; da ciò la minore estensione, il più accentuato polimorfismo degli organi che le estrinsecano, la loro resistenza a essere ricondotte alle leggi fisico-chimiche, insomma quell'andamento vitalistico di cui del resto nel regno animale con gl'istinti e l'intelligenza e in quello umano con il pensiero e la coscienza troviamo le espressioni più elevate. Certo è che il termine di biologia per il significato ambiguo che porta con sé e, cioè, per essere intesa da taluni in senso stretto e da altri in senso ampio, è stato negli ultimi decennî, e anche da autorevoli studiosi, sostituito con quello di ecologia.
Su questo tronco, nel campo della botanica, si è venuto sviluppando nell'ultimo trentennio un rigoglioso germoglio che connette l'ecologia con la geografia botanica e con la fisiologia: la fitogeografia a base ecologica per la quale da alcuni si propose il nome, non del tutto appropriato ma quanto mai suggestivo, di fitosociologia. Già il Delpino ebbe in più punti della sua opera a trattare di questioni biologiche interferenti con le biogeografiche, quali il corrispondere dell'area distributiva di alcune piante con quella di determinati e necessarî pronubi, l'esaltarsi della funzione mirmecofila in regioni calde e il suo attenuarsi o scomparire in quelle temperate o fredde, il preponderante sviluppo che assumono verso la zona boreale alcune famiglie la cui impollinazione è operata dal vento, ecc. Ma evidentemente un'importanza maggiore e più generale hanno le condizioni edafiche (da ἔδαϕος, "suolo") inerenti alla natura fisico-chimica del substrato e quelle più generali o climatiche, ma non meno limitanti, quali sono le meteore, la forma del rilievo, l'esposizione dei versanti, la copertura e via dicendo: una parte va pure fatta ai microrganismi utili (come i nitrificanti), dannosi o simbiontici. In questo mosaico di condizioni disparatissime e mutevoli che la superficie della terra e le acque presentano, ciascuna specie vive, non solo entro i limiti di un'area ampia o circoscritta che sia, ma solo in quei settori dove interferiscono le condizioni minime per la sua esistenza, spesso però con grandi limiti di tolleranza, donde la possibilità di trovare le specie più transigenti in stazioni anche diversamente conformate, dove però non di rado si presentano con forme di adattamento non ereditarie o con razze stabili speciali. Quanto concerne i rapporti fra una specie e il suo ambiente costituisce l'autoecologia.
È, però, raro il caso che in una data stazione non allignino che individui di una sola specie: il caso più frequente è che vi coabitino individui d'un numero più o meno cospicuo di specie diverse alcune delle quali riescono dominanti o per il numero d'individui o per le proporzioni che vi raggiungono, altre pur non essendo comuni e appunto perché tali riescono caratteristiche e servono a differenziare, altre sono accessorie, accidentali, ecc. In breve in una data stazione (unità topografica) si stabilisce un'associazione o biocenosi (v.) - unità ecologica o sociologica elementare - che può cambiare di composizione e di aspetto col variare delle condizioni stazionali, avendosi così sottoassociazioni, stadî o facies diverse. Comunque, si è costituita una collettività d'individui appartenenti alle parentele più disparate e ognuno di essi vi si mantiene in quanto i suoi mezzi glielo permettono, in quanto la stazione e il clima corrispondono alle sue idiosincrasie, in quanto se molto specializzati vi sono i pronubi per l'impollinazione o gli ospiti su cui impiantarsi, e in quanto nessuno degli abitanti è, in un momento dell'equilibrio raggiunto, in grado di soppiantarlo: ciò che del resto avviene come il fatto dimostra, quando una specie assume il predominio e soffoca le sue consocie o determina nella stazione così profondi cambiamenti da rendere impossibile la persistenza di altre specie meno resistenti e adattabili. La lotta del prato col bosco offre istruttivi esempî di queste sostituzioni, ma cangiamenti e rimaneggiamenti ben più estesi sono avvenuti in coincidenza o in conseguenza di mutamenti climatici, quali quelli verificatisi durante il Quaternario. Nessuno degl'inquilini esplica, come nelle società umane, azioni di carattere altruistico; nessuno dei componenti vive a spese della popolazione, eccettuati eventuali simbionti. Il nome di sociologia vegetale sembra, quindi, ad alcuni arbitrario o, almeno, troppo spinto e il confronto fra un'associazione e un organismo è solo metaforico: il fatto mostra che ogni cenosi nasce con i suoi pionieri, s'incrementa, raggiunge un apogeo (climax dei fitogeografi nordamericani) caratterizzato da una certa stabilità: ma anche questo stadio può andare soggetto a degradazioni e in questo lavorio l'uomo ha forse la parte più importante. In conclusione, le associazioni o biocenosi vegetali si formano in seguito alla concordanza di esigenze ecologiche presentate da piante appartenenti a gruppi disparati, ma una parte va pure concessa alle cause storiche, in quanto a comporre un consorzio concorrono, a parte occasionali o volontarie introduzioni dell'uomo e a parte i rari casi di disseminazione longinqua, le piante delle vicine associazioni o stàzioni aventi, quindi, una storia identica o similare. Ma si danno anche stazioni o flore di reliquato, caratterizzate da specie ad area disgiunta il cui avvento, in tesi generale, è avvenuto in condizioni diverse dalle attuali.
Tutto quanto concerne i rapporti fra le associazioni o biocenosi e il mondo esterno costituisce la sinecologia o, se si vuole, la fitosociologia, della quale il primo trattato moderno è quello di Eugenio Warming (1899), che ebbe parecchie traduzioni ed edizioni ed esercitò per un buon quarto di secolo una notevole influenza direttiva e coordinativa. L'A., nella parte generale, non si è limitato a fare appello ai fattori inanimati (clima e suolo), ma ha chiamato in causa anche i rapporti fra piante e piante (parassitismo, mutualismo, elotismo, commensalismo, ecc.), quelli fra piante e animali, di ciascun gruppo di associazioni, con le condizioni di vita, ha messo in evidenza gli adattamenti ed ha, perciò, fatto della vera ecologia estesa anche alle piante inferiori e ai caratteri anatomofisiologici. La fisionomia dei varî gruppi e di ciascuna associazione presa in sé è data dalle forme di vita dominanti, dalla densità della vegetazione, dalla sua altezza, dal colore, dal numero degl'individui di ogni specie, ecc. I tipi fondamentali dell'edizione danese del 1895 e delle due traduzioni tedesche del 1896 e 1902 (idrofite, xerofite, alofite e mesofite) diventano 13 in un'edizione inglese del 1909 e sono così denominati: idrofite ed elofite proprie delle acque o di suoli fortemente bagnati; oxilofite di suoli acidi; psicrofite di terreni freddi; alofite di substrati salati; litofite, psammofite e chersofite di suoli fisicamente secchi; eremofite di climi decisamente secchi e come tali determinanti il carattere della vegetazione; psilofite e sclerofillofite; formazioni a base di Conifere a suoli ora fisicamente e ora fisiologicamente secchi; mesofite proprie di suoli e climi di media umidità. Come si vede, in quest'ultima classificazione al clima è fatta una più larga parte, ma essa appare anche maggiore nell'opera dello Schimper (1898) che fa rientrare nelle formazioni climatiche o regionali le boschive (comprendenti alberi, arbusti e cespugli e subordinatamente piante erbacee), le erbacee con specie igrofile o tropofile (prati), xerofile (steppe), xerofile con intermissione di alberi (savanne) e le desertiche. Le liane, le epifite, le saprofite e le parassite costituiscono per lo Schimper speciali società.
Che si debba tener conto anche degli adattamenti delle piante alle stagioni sfavorevoli, che sono poi quelle che decidono della esistenza più che non siano le propizie, fu asserito dal Raunkiaer che si adoperò a dimostrare come i vegetali hanno attuato svariate difese contro le condizioni estreme reperibili specie nelle gemme e nei germogli, donde la distinzione in: fanerofite comprendenti alberi o arbusti a gemme nude nei territorî caldi o protette da squamme nei temperati e freddi; camefite o piante a fusto appressate al suolo; emicriptofite e criptofite erbacee o suffruticose a germogli più o meno approfonditi sotto la coltre terrosa; e terofite o piante annuali il cui ciclo di sviluppo coincide con la stagione favorevole.
Degli ultimi anni si ricordano, tra le più importanti, le opere del Braun-Blanquet e del Rübell che, ispirati agli stessi criterî, in certo modo si completano. Il carattere più saliente delle due opere sta nel tentativo di trovare la definizione e circoscrizione delle associazioni o cenosi nei caratteri presentati dalla loro composizione come rivela la nomenclatura tratta dalle specie dominanti, caratteristiche e via dicendo. Tutto è disposto come se i consorzî fossero organismi di cui quel che più interessa conoscere sono le parti o organi, mentre non minore importanza hanno per noi le condizioni esterne di suolo e di clima, le interdipendenze col mondo animale, la lotta per lo spazio e gli adattamenti, la cui sempre più approfondita comprensione darà una base solida e duratura alla sinecologia.
Zoologia. - Tutto ciò che si riferisce alle relazioni degli animali col loro mondo esterno si può comprendere sotto la voce ecologia; sebbene le abitudini e i costumi più propriamente formino oggetto della etologia. Queste due espressioni sono usate spesso senza troppo badare al significato preciso indicato dalla loro etimologia. Ecologia ed etologia sono vocaboli introdotti nelle scienze biologiche, in tempi piuttosto recenti: prima si soleva parlare di biologia (in senso ristretto) degli animali.
L'osservazione degli animali viventi nei loro ambienti naturali (v. ambiente biologico) era molto in onore presso i naturalisti del sec. XVIII e del principio del XIX; esempio classico di tale indirizzo di studî zoologici rimarranno sempre i Mémoires pour servir à l'histoire des insectes di R.A. Réaumur. Nella seconda metà del sec. XIX e, strano a dirsi, in parte sotto l'influenza delle dottrine evoluzionistiche, l'interesse per le ricerche ecologiche andò scemando, come già prima era stato contrastato dall'imperare della "filosofia della natura"; e, infatti, la tendenza alle speculazioni intorno alle affinità naturali e all'origine delle specie non poteva non riuscire a quella che, molto acconciamente, gl'Inglesi chiamano field-zoology. Inoltre, l'indirizzo morfologico e citologico, che dominò per tutta la seconda metà del secolo scorso e per i primi anni del nostro, lasciò poco tempo e poca voglia ai naturalisti di dedicarsi all'ecologia e all'etologia. Ma a poco a poco si risvegliò la curiosità di conoscere gli animali nella loro vita naturale. I bellissimi Souvenirs entomologiques del Fabre, sembrano discendere per linea diretta dai Mémoires del Réaumur; e il suo esempio è stato ed è seguito da varî naturalisti. Sembra che un migliore equilibrio vada stabilendosi fra i varî rami degli studî zoologici, e si ritorna con gusto a cogliere sul vivo le manifestazioni della vita.
A questa ripresa dell'indirizzo ecologico ha certamente contribuito non poco il progredire della zoologia agraria e di quella medica, per il bisogno, che è andato facendosi sempre più imperioso, di conoscere nei più minuti particolari le vicende della vita dei parassiti delle piante e degli animali e delle specie trasmettitrici di malattie parassitarie agli uomini e agli animali domestici, e le loro molteplici relazioni con l'ambiente. Quale esempio valga l'estendersi e l'approfondirsi dello studio delle zanzare nelle varie regioni del globo, come conseguenza della scoperta dei trasmettitori dei parassiti della malaria. La conoscenza ecologica ed etologica d'una specie è altrettanto necessaria quanto quella dei caratteri che permettono di determinarla, per identificarla con assoluta sicurezza e combatterla razionalmente, se nociva. A tali conoscenze si debbono le misure profilattiche adottate in varî casi con efficacia (malaria, febbre gialla, tripanosomiasi, leishmaniosi, ecc.).
Bibl.: Ch. K. Sprengel, Das entdeckte Geheimniss der Natur im Bau und in der Befruchtung der Blumen, Berlino 1793; F. Delpino, Pensieri sulla biologia, sulla tassonomia e sul valore tassonomico dei caratteri biologici, in Nuovo cimento, XXV (1867); id., Fondamenti di biologia vegetale, in Riv. di fil. scient., I (1881); id., Questioni di biologia vegetale, in Riv. di sc. biol., I (1899); id., Definizioni e limiti della biologia vegetale, in Bull. dell'Orto bot. della R. Univ. di Napoli, I (1899); E. Warming, Plantesamfund. Grundtrak af den ökologiske Plantegeografs., Copenaghen 1895; A. F. W. Schimper, Pflanzengeographie auf physiologischer Grundlage, Jena 1898; C. Raunkiaer, Types biologiques pour la géographie botanique,in Bull. Acad. R. sc. et lettr. de Danemark, 1905, p. 347; G. Negri, Le unità ecologiche fondamentali in fitogeografia, in Atti R. Acc. sc. di Torino, LIX (1914); id., Sociologia vegetale o sinecologia?, in Atti Soc. it. progr. sc., XV (1927); A. Borzì, Vita, forme, evoluzione nel regno vegetale, Palermo1915; id., Problemi di filosofia botanica, Roma 1920; A. Béguinot, La fitogeografia. Sviluppo storico, contenuto e direttive moderne, in La Geografia, VI, nn. 5-6 (1918); J. Braun-Blanquet e Pavillard, Vocabulaire de sociologie végetale, 2ª ed., Montpellier 1925; J. Braun-Blanquet, Pflanzensoziologie. Gründzüge der Vegetationskunde, in Biol. Studienbücher, VII, Berlino 1928; E. Rübell, Pflanzengesellschaften der Erde, Berna-Berlino 1930; C. C. Adams, Guide to the study of animal ecology, New York 1913; A. M. Carr-Saunders, The population problem, Oxford 1922; Ch. Elton, Animal ecology, Londra 1927 (con ricca bibliografia).
Cfr. inoltre la rivista Ecology. Devoted to all forme of life in relation to environment, Brooklyn, 1920 segg.