ECLAMPSIA (dal gr. ἔκλαμψις "lampeggiamento")
Malattia caratterizzata da spasmi muscolari, specialmente clonici, con perdita più o meno completa della coscienza, per cui l'accesso eclampsico rassomiglia del tutto a un accesso epilettico, tanto più che in entrambi esistono tutte le gradazioni intermedie, dall'accesso leggiero al più grave. Esistono due forme di eclampsia con patogenesi del tutto diversa: a) l'eclampsia dei bambini (eclampsia infantum), che insorge indipendentemente da qualsiasi lesione o segno renale, è espressione di una diatesi spasmofilica (v. convulsione; spasmofilia): b) l'eclampsia delle gravide (eclampsia gravidarum) è la forma convulsivante dell'intossicazione gravidica; colpisce le gravide, partorienti e puerpere, si manifesta sotto forma d'accessi convulsivi tonico-clonici, con perdita della coscienza, seguiti da coma.
Sebbene gli accessi convulsivi si presentino non raramente in modo così improvviso, folgorante, da giustificare la denominazione a loro data per primo dal Boissier de Sauvage (1795), pure un'accurata indagine clinica permette quasi sempre d'accertare l'esistenza d'un periodo prodromico di varia durata, da poche ore a qualche giorno, caratterizzato dai sintomi di un grave stato tossico, quali albuminuria di vario grado, aumento della pressione arteriosa, cefalea, annebbiamento visivo, ecc. L'accesso s'inizia con un periodo brevissimo e sfuggevole di contrazioni fibrillari dei muscoli mimici, detto periodo d'invasione o periodo facciale; segue il periodo delle contrazioni toniche con irrigidimento di tutti i muscoli, specie di quelli del tronco, degli arti superiori, della faccia e del collo, per cui la testa s'estende forzatamente e ruota da un lato, le mascelle si sbarrano, e gli occhi ruotano in alto e di lato quasi sempre in senso opposto alla rotazione della testa (deviazione coniugata), il respiro si sospende per lo spasmo del diaframma e il viso si fa fortemente cianotico. Dal periodo tonico, con durata varia, da pochi secondi a circa un minuto primo, si passa al periodo clonico, in cui tutto il corpo sussulta per il rapido succedersi di contrazioni e rilasciamenti brevi e alternantisi, per cui le palpebre s'alzano e s'abbassano, le mascelle s'aprono e si chiudono rapidamente, con pericolo di morsicatura della lingua, e conseguente comparsa di schiuma sanguinolenta alla bocca; la respirazione si fa interrotta e incompleta e il viso, non più paonazzo com'era nel periodo tonico, assume un aspetto piuttosto livido. Il periodo delle contrazioni cloniche, sebbene anch'esso molto variabile per durata, a seconda dei casi, è abitualmente più lungo del periodo tonico, e cessa col cessare dell'accesso, segnato da un lungo sospiro, al quale poi segue la respirazione lenta, prof0nda, e abitualmente stertorosa, del coma. Durante il coma, come durante l'accesso, la coscienza è completamente perduta, e non raramente la temperatura si fa febbrile, con notevole frequenza anche del polso, oltre che con ipertensione accentuata. La durata del coma varia soprattutto a seconda dell'intensità dello stato d'intossicazione generale e il risveglio avviene gradatamente con la ricomparsa per prima della sensibilità e della motilità riflessa, poi attraverso a uno stato di subcoscienza o di coscienza imperfetta. Talvolta può seguire anche una vera psicosi tossica a prognosi generalmente favorevole. Il numero degli accessi varia notevolmente da caso a caso, talora passando dall'uno all'altro, attraverso il coma, senza mai ripresa della coscienza.
Circa la patogenesi dell'eclampsia, la sua origine tossica legata allo stato gravidico è oggi ammessa da tutti gli autori, sul fondamento oltre che di dati clinici e anatomo-patologici, anche d'acquisizioni sperimentali, quali l'aumento del potere tossico del siero sanguigno, del tessuto placentare e del liquido amniotico e la perduta proprietà del siero di donna eclamptica di neutralizzare, come in condizioni normali, la tossicità degli estratti placentari. Si discute invece ancora sulle sorgenti dei tossici in questione: se cioè essi derivino dal rallentato ricambio gravidico, dalle aumentate fermentazioni intestinali e dall'insufficienza funzionale degli emuntorî (rene, fegato, polmoni, sistema endocrino, ecc.) della madre, o non piuttosto dalla penetrazione nel sangue suo dei prodotti del ricambio fetale e di elementi e sostanze d'origine ovulare, estranee all'organismo materno. L'espressione clinica abituale di tale stato d'intossicazione è l'albuminuria, che precede e accompagna di regola lo scoppio degli accessi eclamptici. Si dànno però casi, anche non molto rari, di eclampsia senza albuminuria e sono stati pure riferiti casi di eclampsia essenziale, senza prodromi, senza sintomi d'intossicazione e senza le alterazioni viscerali caratteristiche, e interpretati come dovuti a uno stato particolare di "eccitamento labile dei centri corticali vegetativi" (Labilität-Eklampsie).
Anche gli accessi convulsivi, abitualmente tipici, si possono talvoua presentare in modo incompleto e atipico (eclampsia frusta), o rimanere larvati (eclampsia larvata), per l'irregolare o impedita reazione della sostanza corticale, p. es. per una contemporanea emorragia cerebrale, o per un'interruzione qualsiasi delle vie di conduzione. Se infatti la base patogenetica fondamentale dell'eclampsia è l'intossicazione gravidica, e se il suo quadro anatomo-patologico è quello di una trombo-epato-nefrosi, l'attacco convulsivo è però l'effetto d'una perturbazione funzionale della zona cerebrale corticomotrice, sulla cui natura è ancora aperta la discussione, attribuendola alcuni autori con L. Traube all'edema cerebrale conseguente all'idroemia gravidica, e determinante un'anemia secondaria della massa nervosa endocranica, e altri autori invece, col Rosenstein, a uno spasmo arterioso corticale, dovuto all'ipertonia, d'origine sia tossica, sia riflessa o endocrina, tipica della gravidanza. Mentre l'albuminuria, espressione d'una nefropatia gravidica, con grado e intensità varie s'osserva in circa il 20% delle gravide, specie negli ultimi mesi della gravidanza e più spesso nelle primipare, l'eclampsia nelle cliniche ostetriche italiane presenta una frequenza di circa l'1,5-2%, per lo più fra le primipare. Essa è malattia grave, che dà ancora una mortalità materna oscillante fra il 5 e il 15% (in media 10%) e una mortalità fetale fra il 35 e l'80% (in media 55%).
La sua cura deve essere a un tempo sintomatica, diretta cioè a combattere gli accessi convulsivi (isolamento, morfina, cloralio, veratro verde, solfato di magnesio, ecc.), e causale, diretta a togliere lo stato d'intossicazione (salasso, purganti, ecc.); e, poiché di regola gli accessi si sospendono e l'intossicazione va cessando, quando si provvede a far cessare lo stato gravido con lo svuotamento dell'utero, così cardine fondamentale d'ogni terapia è l'espletamento del parto, contemporaneamente giovandosi degli altri soccorsi medici, per dar tempo a che questo possa ottenersi nel modo meno violento e meno traumatizzante possibile. Ma è soprattutto importante sapere che l'eclampsia può essere quasi sempre prevenuta, quando con precoci e metodici esami delle urine nel corso della gravidanza si sappiano rilevare a tempo i primi segni dell'intossicazione gravidica (albuminuria) e si provveda a modificare il regime di vita e di alimentazione della donna gestante (dieta prevalentemente lattea, riduzione dell'alimentazione albuminoidea, regolazione delle funzioni intestinali, ecc.), fino a ricorrere, nei casi più gravi e ribelli, all'interruzione prematura della gravidanza.
Per l'uremia eclampsica dei nefropatici, v. uremia.