ECCLESIASTICO
Libro dell'Antico Testamento, così chiamato dai Latini fin dal sec. III, ma dai Greci e dagli Ebrei più rettamente detto Sapienza (o Sentenze) di Gesù figliuolo di Sirac o semplicemente Sirac, uno di quelli che i cattolici dicono deutero-canonici, i protestanti e i giudei apocrifi (cfr. bibbia, VI, p. 882).
Genere letterario. - L'Ecclesiastico appartiene a quel genere di poesia didattica, che suol dirsi gnomica, perché racchiude i suoi precetti morali in brevi sentenze. In questo genere assomiglia, nella Bibbia, ai Proverbî; ma è di circa due terzi più lungo, è più ordinato nel raggruppamento delle materie e dà più spesso e più largo campo a intermezzi lirici i quali delimitano nettamente dodici sezioni, fra loro disuguali, che probabilmente sono tante composizioni indipendenti, scritte in diversi tempi dall'autore, secondo l'ispirazione.
Il testo. - Il testo dell'Ecclesiastico a noi giunto per via e in uno stato affatto eccezionali fra i libri dell'Antico Testamento, fu certamente scritto in ebraico. Ne abbiamo testimonio (oltre il traduttore greco nel Prologo, di cui diremo) S. Girolamo, che afferma averlo visto egli stesso in quella lingua e col titolo (non confermato da altro documento, ma certo acconcissimo) di "?Parabole" (ebr. mishlē) come i Proverbî di Salomone. Nel Talmud e dagli antichi rabbini ne sono citate molte sentenze, ora in ebraico ora in aramaico. Ma del testo originale da secoli s'era perduta ogni traccia e sin la memoria, quando nell'anno 1896 e seguenti ne furono trovati circa i due terzi in frammenti di 5 codici nel ripostiglio (ghenizāh) di una sinagoga del vecchio Cairo; ora stanno la maggior parte in Inghilterra (Londra, Oxford, Cambridge), un foglio a Parigi (Concistoro israelitico) e uno in America (New York). Indarno alcuni impugnarono l'autenticità di questi frammenti, sostenendo che sono una ritraduzione dal siriaco o dal greco (v. sotto). Esaminando le numerose varianti che offrono i margini del codice principale, i tratti (relativamente pochi) comuni a più di un codice, e le antiche versioni greca e siriaca, si vede che il testo non ci fu tramandato con quella cura e fedeltà che si usò coi libri della Bibbia ebraica. Fra le libertà permessesi dai copisti ne fu pure alterata la lingua; ma non sì che non appaia ancora ben netta la fisionomia dell'originale. È un ebraico in sostanza classico, perché modellato su quello degli antichi scrittori biblici, delle cui frasi l'autore compone sovente, come a mosaico, le sue sentenze. Ma non pochi segni d'una età decadente, neologismi e aramaismi, lo mostrano appunto un ebraico d'antiquario, artefatto. Data però tal condizione dei manoscritti ebraici, conservano ancora uno speciale valore le due più antiche traduzioni indipendenti, la greca e la siriaca.
L'Ecclesiastico fu tradotto in greco dal nipote stesso dell'autore in Egitto, qualche tempo dopo l'anno 38° del re Tolomeo Evergete (132 a. C.), come egli medesimo ci confida nella breve prefazione premessa alla sua traduzione. Questa versione ha il primo posto nella critica testuale. Nella trasmissione subì una sorte singolare: in tutti i codici e in tutte le versioni derivate, eccettuata la latina, due quantità uguali, cioè XXX, 27-XXXIII, 16ª e XXXIII, 16b-XXXVI, 13ª sono, per un casuale spostamento di fogli nell'archetipo, invertite. Inoltre i codici greci e le citazioni d'antichi portano tracce (varianti e aggiunte) di recensioni o traduzioni diverse. Su una di queste ultime fu fatta la già accennata versione latina, antichissima, che passò nella Volgata. Questa però giunse a noi sovraccarica di glosse e doppioni, e ciò ha pure la spiacevole conseguenza, che il numero dei versetti, quasi in ogni capo, essendo più grande nelle edizioni della Volgata, non corrisponde sempre a quello dei testi greco ed ebraico. La versione siriaca (Peshiṭtā: v. bibbia, VI, p. 894) fu fatta un po' liberamente sul testo ebraico, di una recensione diversa da quella del traduttore greco, e meno buona; fu poi anche ritoccata su codici greci della recensione secondaria, ma non scarseggia di valore. In sostanza la critica testuale dell'Ecclesiastico si regge sul confronto dei tre testimoni: ebraico, greco, siriaco.
Età e autore. - l'Ecclesiastico fu scritto fra il 200 e il 180 a. C. circa, da Gesù, figlio di Eleazaro, figlio di Sirac (in greco Sirach), da Gerusalemme. L'età si deduce con buona approssimazione, sia aggiungendo due generazioni di uomini al tempo che il nepote dell'autore traduceva il libro, circa il 130 a. C.; sia da indizî che fornisce il libro stesso. Nel capo L, Simone II, che fu sommo sacerdote dal 218 al 198 a. C., è descritto a vivi colori nell'atto di celebrare le sacre funzioni, così come si ritraggono le scene viste coi proprî occhi. Nella patetica preghiera XXXVI,1-19 il pio autore supplica per il suo popolo gemente sotto il giogo straniero e affretta coi suoi voti la ristorazione politica e religiosa d'Israele; erano i tempi forieri della magnanima riscossa maccabaica (165 a. C.). Il nome dell'autore, Gesù, ci vien dato dal nipote nel prologo, ed è confermato, con l'aggiunta del padre e dell'avo, nel libro stesso alla fine del penultimo capo in una specie di sottoscrizione appostavi senza dubbio dall'autore medesimo; il nipote traduttore, ben informato, vi aggiunse di più la patria, Gerusalemme. Queste testimonianze ci riportano così vicino alle origini, e l'Ecclesiastico è così uniforme e costante nelle sue caratteristiche fattezze, che neanche si mette in dubbio (privilegio raro fra tanta critica) né l'autenticità del libro, né l'unità d'autore. Il solo manoscritto ebraico, che ce ne conservò la fine, e solo esso, porta in mezzo all'ultimo capo una litania, simile al Salmo CXXXVI, che ogni ragione di critica, interna ed esterna, dimostra spuria, sebbene antichissima; pure da molti moderni è ritenuta autentica.
Argomento e dottrina. - Il seguente sommario basterà a dar una chiara idea della ricchezza e varietà di materie dell'Ecclesiastico. La divisione si fonda sull'osservazione, accennata al principio, che un elogio della sapienza o altro inno lirico dà principio a nuova sezione; si hanno così dieci sezioni, più due brevi appendici liriche. Per i versetti seguiamo la numerazione del testo greco (v. sopra).
1. I-IV, 10. Divina origine e religioso carattere della Sapienza (capo I). Doveri verso Dio (II), verso i genitori (III,1-16), verso il prossimo: modestia e mansuetudine (III, 17-31), compassione per gl'infelici IV, I-10). - 2. IV, 11-VI, 17. Pedagogia della Sapienza (IV, 11-19). Sincerità e franchezza (IV, 20-31; V, 10-VI, 4): non presunzione (V,1-9), la vera amicizia (VI, 5-17). - 3. VI, 18-XIV, 19. Invito a praticar la Sapienza (VI, 18-37). Contro l'ambizione (VII,1-17). Come regolarsi con varie sorta di persone (VII, 18-IX, 16), in particolare con la famiglia, e con le donne (IX,1-9). Doveri dei governanti (IX, 17-24), dei ricchi (X, 25-XI, 8). Moderazione e fiducia in Dio (XI, 10-28). Circospezione con varî generi di persone (XI, 29-XIII, 23). Uso delle ricchezze (XIII, 24-XIV, 19). - 4. XIV, 20-XVI, 23. Frutti della Sapienza (XIV, 20 XV, 10). Il peccato viene dal libero arbitrio, non da Dio (XV, 11-20), e non va mai impunito (XVI,1-23). - 5. XVI, 24-XXIII, 27. Inno a Dio creatore (XVI, 24-XVIII, 13), specialmente creazione e destino dell'uomo (XVII,1-19, XVIII, 7-13). Generosità (XVIII, 14-17); previdenza (XVIII, 18-28); freno alle passioni e saggio uso della lingua (XVIII, 29-XXIII, 27). - 6. XXIV, 1-XXXIII, 15. Inno della Sapienza (XXIV,1-21). I tesori della legge divina (XXIV, 22-27), l'autore ne deriva canali in pro di sé e di altri (XXIV, 28-32). Le migliori persone (XXV,1-11); le buone e le cattive donne (XXV, 12-XXVI, 18). Giustizia, onestà, sehiettezza nei maneggi (XXVI, 20-XXVII, 29). Prestiti e malleverie (XXIX), educazione dei figliuoli (XXX,1-13), cura della sanità (XXX, 14-25). L'avidità dell'oro (XXXI, 1-11); frugalità (XXXI, 12-XXXII, 13). Timor di Dio (XXXII, 14-XXXIII, 6), disposizioni della divina Provvidenza (XXXIII, 7-15). - 7. XXXIII, 16-XXXVI, 19. L'autore, venuto dietro gli altri come spigolatore, invita ad ascoltarlo (XXXIII, 16-18). Famiglia e servi (XXXIII, I9-31). Superstizioni: buona e cattiva religione (XXXIV-XXXV). Preghiera per la difesa e la diffusione della religione d'Israele (XXXVI, 1-19). - 8. XXXVI, 20-XXXIX, 11. La scelta del meglio in donne, amici e consiglieri (XXXVI, 20-XXXVII, 26). Cura della salute: come regolarsi nelle malattie e verso i defunti (XXXVII, 27-XXXVIII, 23). La migliore professione: lo studio della Sapienza (XXXVIII, 24-XXXIX, 11). - 9. XXXIX, 12-XLIII, 33. Inno a Dio creatore che tutto ottimamente dispone a bene dei giusti e a punizione dei malvagi (XXXIX, 12-35). Calamità della vita umana, specie per gli empî (XL, 1-XLI, 15). La buona e la cattiva vergogna (XLI, 16-XLII, 14). Le meraviglie del creato; altro inno (XLII, 15-XLIII, 33). - 10. XLIV-L. Inno ai patriarchi e agli eroi d'Israele da Adamo a Simone II, sommo sacerdote ai tempi dell'autore. - Appendice,1. LI, 1-12. Inno di ringraziamento a Dio liberatore da molti e gravi mali (Qui il codice ebraico inserisce la litania su ricordata). - Appendice, 2. LI, 13-30. Carme alfabetico, in cui l'autore descrive le cure da sé poste fin dalla gioventù nello studio della Sapienza, e invita a imitarlo.
La dottrina dell'Ecclesiastico è, come facilmente si rileva, copiosa, varia, elevata. Non vi è professione, non vi è quasi contingenza della vita, per la quale egli non dia un saggio consiglio. La sua concezione della vita presente e della futura non differisce dalla comune dell'Antico Testamento: adesso è il tempo di operare e di godere; nello sceôl, dove tutti vanno dopo la morte, non vi è né piacere né rimpianto, né ricordo di Dio o culto (XIV, 11-16; XVII, 22, 23; XLI, 4; v. inferno). Ma un profondo sentimento religioso e un entusiastico attaccamento alla legge divina non solo levano il Siracide a voli di nobile lirismo, ma gli suggeriscono altresì precetti d'una morale pura e altamente spirituale. Precursore degli Scribi nello studio assiduo della legge scritta, è ben lontano dal loro legalismo formalistico; egli va al cuore, e lo plasma al bene.
Fu molto discussa la relazione fra questo libro e l'Ecclesiaste (v.); e i più tengono per la priorità dell'Ecclesiaste, dal quale in qualche parte dipenderebbe l'Ecclesiastico. E certo in questo si trovano parecchi pensieri dell'altro, in particolare i temi più cari ad esso, come il lamento sopra i dolori dell'umana vita (Eccli., XL,1-10) e l'esortazione a non trascurare i godimenti della vita presente (XIV, 11-16). Ma vi stanno come immersi in un mare magno d'insegnamenti morali, senza rilievo, senza punta di polemica, o altro indizio di evidente dipendenza. Sono dunque (può pensarsi) patrimonio comune della sapienza israelitica.
Canonicità. - L'autore dell'Ecclesiastico, conscio della sua missione, si pone egli stesso, ultimo sì, ma pur nella serie degli scrittori della sacra letteratura ebraica, come un erede dei savî e dei profeti delle antiche età (XXIV, 28-32; XXXIII, 16-18; L. 27, 28; LI, 22, 25). Anche il nipote di lui, che lo tradusse in greco, paragona il suo libro con "la legge, i profeti e gli altri scritti" ispirati. Ed è pur certo che per buon tempo, almeno in alcuni circoli giudaici, fu tenuto per canonico, poiché nel Talmud è più volte citato con le formule riservate ai libri sacri. Al tempo di S. Girolamo si leggeva nei codici insieme con l'Ecclesiaste e la Cantica. Come e perché poi sia stato escluso dal canone giudaico e protestantico, e ritenuto invece dai cattolici, è detto in bibbia, VI, pp. 882-83. Ai dì nostri non manca fra i protestanti chi deplori l'abbandono in cui è lasciato dai seguaci della Riforma un libro così istruttivo: "Di tutti i libri sgorgati dal giudaismo e non ammessi nella raccolta ufficiale della sinagoga (scrive di esso il protestante Lucien Gautier) questo è il più notevole, quello che fa più meraviglia non vedere annoverato fra i libri canonici. Esso merita di figurarvi quanto e più che tal altro scritto che vi si trova inserito" (Introduction à l'Ancien Testament, Losanna 1914, II, p. 375).
Ediz.: Quanto resta di 4 codici del testo ebraico è riunito in fototipia in Facsimiles of Fragments hitherto recovered of the Book of Ecclesiasticus, in Hebrew, Oxford 1901: a stampa da H. Strack, Die Sprüche Jesus des Sohnes Sirachs, Lipsia 1903; I. Lévi, The Hebrew Text of the Book of Ecclesiasticus, Leida 1905; con vers. latina N. Peters, Liber Jesu filii Sirach, Friburgo in B. 1905; con vers. tedesca R. Smend, Die Weisheit des Jesus Sirach, Berlino 1906; con trad. francese J. Touzard in Bible Polyglotte di F. Vigouroux, V; con altra latina J. Knabenbauer, Commentarius in Ecclesiasticum, Parigi 1902. Un foglio di un quinto codice fu pubblicato nel 1931 da J. Marcus in Jewish Quart. Review, n. s., XXI, p. 223 segg. La versione greca del tipo comune e migliore si ha in tutte le edizioni dei LXX (v. bibbia, VI, pp. 893.94), una recensione interpolata pubblicò a parte J.A. Hart, Ecclesiasticus. The Greek Text of codex 248, Cambridge 1909. La versione siriaca Peshiltā, oltre che nelle edizioni totali della Bibbia (v. bibbia, VI, p. 894), si ha in P. de Lagarde, Libri Veteris Testamenti apocryphi syriace, Lipsia 1871.
Traduzioni moderne di tutto il libro: inglese, Box e Oesterley in R. H. Charles, Apocrypha and Pseudepigrapha of the Old Testament, Oxford 1913 (la tedesca di V. Ryssel nell'opera analoga, di E. Kautzsch, Die Apokryphen und Pseudapigraphen des Alten Testaments, traduce dall'ebraico solo XXXIX- L); italiana, A. Vaccari, I libri poetici della Bibbia, Roma 1925; olandese, Matthes-Dyserinck, Die Spreuken van Jesus Sirach, L'Aia 1908.
Bibl.: Commenti: Utili ancora, specie per le parti non conservate in ebraico, Cornelius Jansenius Gandavensis, Commentarius in Ecclesiasticum, Lovanio 1569; O. Fr. Fritzsche, Die Weisheit Jesus Sirach's erklärt, Lipsia 1859; E. Edersheim, in A. Wace, Apocrypha, Londra 1888. Moderni, con riguardo al testo ebraico: J. Knabenbauer, Commentarius in Ecclesiasticum, Parigi 1902; R. Smend, Die Weisheit des Jesus Sirach, Berlino 1906; N. Peters, Das Buch Jesus Sirach, Münster 1912. - Studî varî: J. Halévy, Étude sur la partie du texte hébreu de l'Ecclésiastique récemment découverte, Parigi 1897; N. Peters, Der jüngst wiederaufgefundene hebr. Text des B. Eccles., Friburgo in B. 1902; A. Schlatter, Das neugefundene hebr. Stück des Sirach, Güterloh 1897; L. Méchineau, Le texte hébreu de l'Eccl. et la critique sacrée, in Études, LXXVIII,pp. 451-477; Le texte hébr. de l'Eccl. et l'exégèse, ibid., LXXIX, pp. 172-197; F. Mari, L'originale ebraico dell'Eccles. recentemente scoperto, in Studi relig., III (1903), pp. 62, 170; K. H. V. Merguet, Die Glaubens- u. Sittenlehre des B. Jesus Sirach, Königsberg 1874, 1901, voll. 2; J. K. Gasser, Die Bedeutung der Sprüche Jesu Ben Sira, ivi 1904. - Sulla relazione con Ecclesiaste, articoli in Zeitschrift für die altt. Wissenschaft, 1900, p. 90; Stimmen aus Maria-Laach, 1902, p. 537; Biblische Zeitschrift, 1903, pp. 47-54, 129-150; Revue biblique, 1903, pp. 67-73; Vierteljahresschrift für Bibelkunde, 1905, pp. 163-170, 258-303.