DURANDO, Felice Niccolò, conte di Villa
Nacque a Torino il 6 dic. 1729 in una famiglia oriunda di Candelo, da Giovanni Antonio, banchiere in Torino, decurione dal 1752, investito del feudo comitale di Villa Ferracane il 18 apr. 1757, e da Rosa Basilli. La sua istruzione fu affidata a G. Tagliazucchi, il dotto modenese che dal 1729 svolse vasta ed illuminata attività didattica in Piemonte, formando tutta una generazione di intellettuali, tra i quali il D. fu considerato l'allievo migliore nelle lettere classiche. Nel 1751 si addottorò in ambo le leggi a Torino, e sei anni dopo ottenne dal ministro G. B. L. Bogino la carica di ispettore sulla levata e rimpiazzamenti dei reggimenti provinciali, prima come facente funzione e dal 1773 come effettivo. In seguito venne nominato consigliere del re di Sardegna, dapprima nel consiglio di Commercio e poi in quello di Finanze. Nel 1758 aveva sposato Teresa Valperga dei conti di Rivara, dalla quale ebbe un unico figlio, Antonio Maria, anch'egli letterato.
La fama del D. presso i contemporanei fu legata, più che alla produzione letteraria, all'instancabile e qualificata attività culturale ed al mecenatismo generoso nel quale profuse le pingui sostanze, specialmente con doni di libri. Veniva considerato un arbitro infallibile nelle dispute erudite: G. M. Lampredi, che lo conobbe a Torino nel 1789, lo defini "il più colto e gentile Cavaliere del paese, incline al partito dei Novatori, di somma autorita, il modello del gusto che tutta la nobile gioventù consulta" (M. Battistini, p. 570). La sua villa di San Maurizio Canavese presso Torino fu un centro di riunione e di lavoro per i letterati (G. G. Loya vi scrisse molte delle sue opere), mentre la sua casa di città era un punto di riferimento a livello europeo per i viaggiatori colti: "non passava in Torino un letterato forestiero a cui non fosse cortese di mensa e di altri uffici di gentilezza" (Novelle letterarie, 1791, col. 553), principalmente aprendo loro la sua biblioteca.
Questa biblioteca fu famosa fra i contemporanei anche fuori dal Piemonte e, se non fu, come si favoleggiava, "la più scelta e più copiosa libreria che fosse in mano di privato in Italia" (C. Calcaterra, 1935, p. 449), tuttavia fu certo una delle più ricche e curate, grazie anche all'organizzazione del dotto abate L. Lazzarini, filopatride, che ne fu il bibliotecario; all'arricchimento dei fondi il D. destinò ogni anno una quota delle sue rendite, fino a superare i 25.000 volumi e a far considerare la biblioteca uno dei tesori della nobiltà torinese, la cui dispersione, alla sua morte, suscitò l'indignazione della cittadinanza.
Il D. fu sostenitore tra i primi della Patria Società letteraria (importante associazione culturale torinese più nota come "Filopatria", fondata nel 1782 in casa del conte Felice San Martino della Motta, dalla quale deriveranno sia pure indirettamente prima l'Accademia subalpina e poi la R. Deputazione di storia patria), collaborando al periodico di tale associazione, la Biblioteca oltremontana (dal 1790 Biblioteca oltremontana e piemontese, dal 1793 La Biblioteca), nonché alla compilazione di Piemontesi illustri, edito nel periodo 1781-87. Contemporaneamente, e fin dalla fondazone (1776), egli fu anche attivissimo sodale della "Conversazione Sampaolina" (altro fondamentale punto di riferimento della cultura torinese del tempo, cosi chiamato perché le riunioni ebbero inizialmente luogo in casa del conte E. Bava di San Paolo) e ne rimase una delle colonne fino alla morte, cui segui non a caso, pochi mesi dopo, l'estinzione della Sampaolina, avvenuta in sordina nel dicembre 1791.
In questa posizione egli esercitò un'importante funzione di collegamento e di mediazione fra le due associazioni, coordinandone l'attività e smussandone le divergenze, spesso significative, inevitabili per essere la Filopatria gestita da giovanissimi riformatori (l'età media dei fondatori era di poco superiore ai vent'anni), mentre la Sampaolina era per lo più costituita da maturi conservatori illuminati, assai prudenti, tanto che l'Alfieri che l'aveva frequentata non vi trovò un ambiente favorevole.
Le prime opere pubblicate dal D., a partire dal 1748, sono tutte d'occasione dalle rime per l'elevazione al cardinalato di Carlo V. A. Delle Lanze, a quelle per la traslazione del corpo di s. Teodoro, a quelle per le nozze di Vittorio Amedeo di Savoia (precedute da un'erudita prefazione sull'origine dell'ottava rima, sui suoi progressi e sull'uso fattone in composizioni brevi), nonché diverse per laurea. Molti dei suoi versi sono in ottimo ed elegante latino, in particolare l'epistola in esametri inserita nella raccolta per la laurea del marchese C. V. Alfieri di Sostegno (1752). Nello stesso anno publicò a Torino, per la laurea di G. C. Caissotti di Verduno, il suo primo lavoro in prosa, una dotta Dissertazione sopra l'origine e la solennità della laurea. Tuttavia, forse le sole opere del D. che conservano ancora qualche interesse sono quelle dedicate alla critica e alla storia dell'arte, se non altro per l'autorevolezza che in quel campo gli veniva riconosciuta dai contemporanei, come dimostra l'essergli stato affidato, in occasione della cerimonia di fondazione della R. Accademia di pittura e scultura, il 18 apr. 1778, il compito di pronunciare la prolusione, che tanto piacque da venir poi pubblicata come appendice dei regolamenti di detta Accademia, dandole cosi un valore programmatico d'indirizzo ufficiale. In questo Ragionamento sulle belle arti (Torino 1778) il D. sosteneva la tesi che il Piemonte non era stato inferiore ad alcun altro paese nel campo delle arti, anche se gli artisti che poteva vantare avevano avuto minore rinomanza; ma la parte di maggiore interesse è costituita dalle Annotazioni (pp. 13-59), in cui tracciava una stringata ma compiuta storia delle arti figurative in Piemonte, con osservazioni critiche abbastanza originali, e con numerose biografie di personaggi provinciali assai poco noti, tutte frutto di sue personali accurate ricerche (il capitolo XXVIII era interamente dedicato alle donne artiste). Sempre nel campo delle arti il D. aveva pubblicato a Napoli nel 1752 un opuscolo erudito dal titolo Conghietture sopra il dittico Quiriniano. Sembra pure degno di nota che egli si distinguesse nel giudizio sulla pittura fiamminga, che, contrariamente ai più, considerava originale e potente. Il campanilismo culturale che già è adombrato nel Ragionamento sulle belle arti prenderà forma di spirito patriottico con precise connotazioni politiche nei tre elogi che dal 1782 venne pubblicando nei Piemontesi illustri: l'Elogio di Pietro Micca, d'Andorno (II, Torino 1782, pp. 359-381); l'Elogio diC. Albuzio Silo, novarese e l'Elogio di Vibio Crispo, vercellese (III, ibid. 1783, pp. 319-340 e 341-360); ciò è particolarmente marcato nel primo, concernente un personaggio che, a quasi ottant'anni dalla morte, era quasi ignorato anche in patria, ed il cui mito, poi risonante fino alla retorica per tutto il Risorgimento ed oltre, fu creato ex novo proprio dal Durando. Egli comprese ed amò anche la poesia dialettale, componendo uno studio sul canto dell'infelice Ghinghelinghino, El Piemonte el primo fiore, andato perduto. Fu membro dell'Accademia della Crusca, di quella di Fossano, e degli Unanimi, nonché uno dei dieci accademici d'onore di nomina regia dell'Accademia di pittura e scultura.
Il D. mori nella sua villa di San Maurizio Canavese (prov. Torino) il 7 luglio 1791.
Aveva testato in favore dell'unico figlio; quando questo gli premori senza discendenza, egli affranto non si curò di rifare il testamento, onde, allorché venne a mancare, la successione si apri come ab intestato, e solo dopo molte ricerche si trovò l'crede, un lontanissimo e sconosciuto parente, nella persona di un mendicante ottuagenario, tale Favre, il quale volle assolutamente vendere all'incanto la famosa biblioteca. Si spiega cosi la perdita di tutte le opere manoscritte del D., che erano quelle di maggior respiro, tra cui una monumen.tale Storia dei letterati piemontesi, che aveva quasi portato a compimento, per la quale l'abate D. Lazzarini raccoglieva da anni i materiali.
Più che dalle sue opere, dunque, il pensiero del D: ci perviene attraverso l'eco delle conversazioni dotte che avevano settimanalmente luogo alla Sampaolina, dove egli si distinse per la sua apertura alle nuove idee (considerava L'esprit des lois una delle opere "più vaste e ardite concepite dall'intelletto umano", pur deplorando che Montesquicu avesse confinato solo nelle forme repubblicane gli esempi di virtù: Calcaterra, 1935, p. 201 e n. 75), anche se, nella sua posizione di alto funzionario statale, il suo riformismo fu più che moderato e tinto di paternalismo ("… non potere nessun vero uomo di stato prescindere dalla tutela di una sana vita morale del popolo da lui governato": ibid., p. 196), tanto che nell'ambito della Sampaolina egli fu considerato il campione delle riforme moderate contro l'Alfieri, fautore di riforme più radicali.
Delle sue opere degne di ricordo sono: Rime nel ritorno da Roma dal prendere il cappello del card. C. V. A. delle Lanze, Torino 1748; Poesie diverse per la traslazione del corpo di s. Teodoro, ibid. 1748, Le auguste nozze di S.A.R. Vittorio Amedeo duca di Savoya con Ferdinanda Antonietta R. Infanta di Spagna, ibid. 1750; Prendendo la laurea in ambe leggi nella R. Università di Torino il marchese C. V. M. Alfieri di Sostegno…, ibid. 1752 (poesie italiane e latine ed epistola in esametri latini); Rime per le nozze del marchese C. E. Guasco d'Argennes…, ibid. 1754; Lettere a G. F. Galleani Napione, in Bibl. oltrem. e piemontese, III (1790), pp. 474-485.
Fonti e Bibl.: Modena, Biblioteca Estense, Raccolta Campori, mss. γ. R. 1. 5; γ. R. 1. 6 (verbali, provenienti dall'archivio Balbo, delle sedute della Patria Società letteraria di Torino dal luglio 1782 al febbraio 1794); F. A. Zaccaria, Storia letteraria d'Italia, II, Venezia 1750, p. 446; Novelle letterarie pubblicate in Firenze, XI (1750), col. 621; XX (1769), col. 699; n. s., XIII (1782), col. 428; O. Derossi, Nuova guida per la città di Torino, Torino 1781, pp. 193-197; G. B. Somis, Elogio di M. A. Campiani, in Ozi letterari, I, Torino 1787, pp. 3 s.; Biblioteca oltremontana e piemontese, I, Torino 1790, pp. 424, 485, 495; VII, ibid. 1791 pp. 91-95; XII, ibid. 1792, pp. 258, 299; G. F. Galleani Napione, Dell'uso e dei pregi dellalingua italiana, con lettera dedicatoria a F.N.D. di V., Torino 1791; G. Vernazza di Freney, Elogio funebre del conte di V. N. F. D., in Novelle letterarie pubblicate in Firenze, n. s., XXII (1791), coll. 550-553; L. Piossasco Feys, Elogio del conte N. D. di V., in Saggi degli Unanimi, II, Torino 1793, p. 32; F. M. Riccardi, La libreria del conteF. N. D. di V. descritta ed illustrata, Torino s.d. (tre voll.); T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 15, 364 s.; G. Campori, La Società filopatria di Torino, in Giorn. stor. della letter. ital., IX (1887), pp. 251 s; M. Battistini, G. M. Lampredi a Torino nel 1789. Impressioni sul giansenismo torinese, in Risorgimento italiano, XXI (1928), p. 570; C. Calcaterra, Il nostro imminente risorgimento, Torino 1935, pp. 1, 16, 21, 54, 119, 196, 201, 223, 231, 403, 417 ss., 436, 440, 448 s., 454, 492, 504, 513, 515 s., 518, 520, 522, 525, 541-546, 555, 561, 573, 601, 608, 618; Id., IFilopatridi, Torino 1941, pp. 17, 175, 182 s., 218, 227-232, 245, 263, 302, 500; Id., Le adunanze della Patria Societàletteraria, ibid. 1943, pp. 3, 13, 148, 186, 223, 254; M. Puppo, Discussioni linguistiche del Settecento, ibid. 1957, pp. 83-90; E. Bigi, Critici e storici della poesia e delle arti del secondo Settecento, Milano-Napoli 1960, p. 687; C. Frati, Dizionariobio-bibliografico dei bibliotecari e bibliofili italiani, Firenze 1934, p. 207.