DURAND (Durant, Durante), Guillaume (Guglielmo), detto lo Speculatore
Il soprannome di Speculator, spesso usato per designare il D., deriva dalla sua principale opera giuridica, lo Speculum iudiciale. Il fatto di essere stato per qualche tempo vescovo di Mende gli valse anche l'appellativo "de Mende". Ma non bisogna confonderlo col nipote omonimo che gli successe nella sede vescovile di Mende: Guillaume Durand il Giovane è conosciuto soprattutto per il suo Tractatus de modo concilii generalis celebrandi et corruptelis in ecclesia reformandi, composto nel 1307 in previsione del concilio di Vienne.
L'epitaffio, della tomba del D. nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma situa la sua nascita nella "Provincia", a "Podio Missone", nella diocesi di Béziers. Questa "provincia" è la provincia narbonense romana e il luogo di nascita va identificato con l'odierno Puymisson (dip. dell'Hérault). La data di nascita rimane incerta: il Savigny e lo Schulte hanno proposto il 1237, qualcuno la pone al 1232, altri ancora verso il 1230. In effetti i testi da cui si pretende di ricavare la data di nascita non sono affatto probanti. Il biennio 1230-31 sembra però il più probabile in considerazione dell'ulteriore carriera dei Durand. Anche sulla sua famiglia le notizie sono scarse. La si considerò a volte "nobile", benché tale qualifica appaia vaga e discutibile.
Poco si sa della sua giovinezza e dei suoi studi. Béziers, Montpellier e Parigi sono forse le città in cui ebbe luogo la sua prima formazione intellettuale. A certo che studiò diritto a Bologna, dove fu allievo di Bernardo da Parma (morto nel marzo 1266) e dove consegui il titolo di doctor decretorum. Nella dedica dello Speculum il D. si definisce "inter decretoruni professores minimum."; ciò fa pensare che egli insegnasse diritto canonico, forse a Bologna, di certo a Modena. Ben presto fu incaricato di funzioni giudiziarie alla Curia di Roma. Il D. chiama suo maestro il cardinale Enrico da Susa, detto l'Ostiense. Si trattava certamente di una dipendenza dottrinale, ma forse anche di una dipendenza connessa con l'attività giurisdizionale alla Curia pontificia. L'Ostiense era giunto a Roma alla fine del 1262 o al principio del 1263 e il D. negli stessi anni, ed anche in seguito, compare in diversi processi. A quell'epoca fu istituito un auditorato delle cause del palazzo apostolico che divenne, durante il Papato avignonese, il tribunale della Rota. Il D. è definito in alcuni formulari di atti giudiziari inseriti nello Speculum come "capellanus et subdecanus domini papae, auditor generalis causarum ipsius palatii". L'uditore generale aveva il compito ordinario di ricevere gli appelli notius mundi" diretti al papa, senza bisogno di un incarico speciale per ogni singola causa. Secondo il D., l'uditore aveva una "potestas ordinaria in audiendo" ma non "in diffiniendo", anche se questa tesi era oggetto di discussione (Spec., I, pars I, deoff. ordin. § 1 n.3). Dalle formae in cui figura il nome del D. si può desumere che egli era canonico di Beauvais e di Narbonne, città in cui naturalmente non risiedeva. Si trattava di prebende di cui il D. percepiva le entrate, essendo dispensato, come tanti altri, dall'obbligo di residenza.
La lunga vacanza di due anni e nove mesi che segui la morte di Clemente IV (29 nov. 1268) si concluse nel 1271 a Viterbo con l'elezione di Gregorio X. Si giunse ad una tale conclusione solo dopo aver chiuso in conclave i cardinali elettori. Il D. afferma di avervi assistito. Si recò anche al concilio ecumenico di Lione del 1274, contribuendo alla redazione di alcune delle sue costituzioni.
Negli anni che seguirono rimase al servizio pontificio, giudicando cause e compiendo diverse missioni. Egli stesso ricorda di essere stato inviato, con altri commissari in Romagna, "quando primo civitas Bononiae et provincia Romaiolae ad Ecclesiani Romanam pervenerunt" (Spec., II, pars I, de rescript. praesent.). Il passo si riferisce forse alla pacificazione tra guelfi e ghibellini bolognesi mediata nel 1279 dal cardinale Latino Malabranca, legato di Niccolò III in Romagna e in Toscana, al cui seguito il D. si trovava. Il 18 febbr. 1280 il D. presenziò poi a Firenze alla cosiddetta pace del cardinale Latino tra guelfi e ghibellini fiorentini.
Nel 1279 Niccolò III gli assegnò il decanato di Chartres con la condizione di risiedervi e di farsi ordinare prete, lasciandolo libero di scegliere a questo fine un vescovo di suo gradimento. In effetti il D., che conservava il canonicato di Narbonne, fu in breve tempo dispensato dall'obbligo di risiedere a Chartres con una bolla di Martino IV del 13 maggio 1281. All'incirca negli stessi anni, ancora sotto il pontificato di Niccolò III (morto il 22 ag. 1280), egli ricoprì la carica di rector et capitanus generalis nel Patrimonio di S. Pietro. Il D. ricorda nella sua opera la forma fidelitatis di cui si serviva per far prestare il giuramento dovuto al papa. L'impegno era preso nei suoi confronti, in quanto rettore "vice ac nomine Romanae ecclesiae et … domini Nicolai papae III". In alcuni casi invece di questa forma, ilD. si contentava di esigere l'omaggio e il giuramento di fedeltà secondo la procedura usata dal re di Francia nei confronti di un nobilis homo: questi si poneva in ginocchio davanti al re, con le mani congiunte nelle sue, prestava il giuramento e scambiava con il sovrano il bacio della pace (Spec., IV, par. III, de fed. § 2, nn. 72-73).
Come rettore il D. promulgò una serie di statuti per alcune località del Patrimonio. Egli aveva giurisdizione sia in campo spirituale sia in quello temporale, che comprendeva anche la giustizia penale. Tra le disposizioni del D. si può citare quella relativa alle conseguenze di un interdetto, per cui il responsabile dell'azione che aveva provocato la pronuncia dell'interdetto era tenuto a indennizzare le chiese e gli ospedali per i danni eventualmente subiti in seguito al provvedimento. Il D. afferma di aver fatto rispettare questa disposizione a Forli, Modena e Pisa (In Lugdunense conc., rubr. 5 de off. ind. ordin., c. 1, n. 43).
Nel maggio del 1281, nel contesto dell'offensiva antighibellina nell'Italia centrale, il D. fu nominato da Martino IV vicario "in spiritualibus" nella provincia di Romagna, a fianco di Jean d'Eppe, rettore "in temporalibus" e capitano delle truppe della Chiesa. Sembra comunque che il D. si sia occupato più delle faccende "temporali" che di quelle "spirituali". Martino IV lo autorizzò a contrarre prestiti fino a 10.000 lire tornesi per finanziare una campagna militare contro il ghibellino Guido da Montefeltro. Guido nel 1282 era stato colpito, insieme con la fazione bolognese dei Lambertazzi, da una bolla pontificia, ed in conseguenza il D. intimò ai chierici e ai religiosi di lasciare senza indugio le diocesi di Forli, Forlimpopoli, Cesena e Cervia, occupate dal Montefeltro (ibid., rubr. 2 de elect., c. 12, nn. 57-59). Il D. rimase in Romagna anche quando Jean d'Eppe nel 1283 fu sostituito nel comando delle truppe da Guy de Montfort.
Negli anni tra il 1283 e il 1285 infatti saldò i conti con le truppe mercenarie, vendette il sale del castrum di Cervia per conto della Camera apostolica, acquistò armi a Ferrara, frecce e lance, ed infine negoziò la sottomissione dei ribelli.
Tra la fine del 1283 e l'inizio del 1284, comunque, il D. dev'essere stato nominato rettore "in temporalibus". Alcuni atti del 1284 lo definiscono infatti come "rector provinciae Romaniolae in temporalibus", mentre altri lo qualificano come "comes et rector generalis" in Romagna, nelle città di Bologna, Urbino e nella Massa Trabaria. Nel 1284 il D. fondò il Castrum Durantis, sulle rive del Metauro, per raccogliervi gli abitanti del Castrum Reparum, distrutto dai ghibellini nel 1277 (il nome di Castel Durante fu mutato in Urbania quando Urbano VIII nel 1635 vi istitui un vescovato). Il D. quindi si meritò l'appellativo di comes belliger che si trova sul suo epitaffio. Ma Onorio IV, successo a Martino IV nel 1285, quando lo confermò nelle sue funzioni, lo invitò a esercitarle con spirito di pace.
Un mandato pontificio del 23 febbr. 1286 che invitava il D. ad assolvere i Bolognesi dalle censure in cui erano incorsi lo qualifica "eletto di Mende" e rettore di Romagna. In effetti il seggio di Mende era vacante dal 1278. All'inizio del 1285, poco dopo la morte di Martino IV, e prima dell'insediamento del suo successore, l'arcivescovo di Bourges espresse la sua preoccupazione per questa lunga vacanza. Il 25 aprile giunse la risposta del capitolo di Mende che affermava di aver eletto all'unanimità il decano di Chartres. Bisognava solo portare il decreto all'eletto ed attendere la conferma dell'elezione da parte del metropolita di Bourges. Ma il 5 nov. 1285 il papa chiese all'arcivescovo di Ravenna di confermare l'eletto, poiché il D., trattenuto in Romagna dalle sue funzioni di rettore, non poteva comparire personalmente davanti all'arcivescovo di Bourges. Si desume dalla lettera del pontefice che l'elezione non fu unanime, ma si realizzò grazie alla mediazione di quattro canonici. Nella lettera si trova anche menzione dell'acceptatio dell'eletto, conferita dopo il consenso del papa. La presa di possesso del seggio di Mende da parte del D. è documentata da altri atti dei registri di Onorio IV che mostrano come il rettore avesse lasciato senza eccessiva fretta le sue funzioni in Romagna, dove prima della fine del 1286 fu sostituito da Pietro Stefaneschi. L'arcivescovo di Ravenna lo consacrò vescovo probabilmente nell'estate del 1286. Un atto del 9 febbr. 1287, infine, lo definisce vescovo di Mende, ma in realtà egli si insediò nel suo vescovato solo il 14 luglio 1291.
Il verbale della visita alle province di Bourges e Bordeaux, compiuta dall'arcivescovo di Bourges, Simone, tra il 1284 e il 1291, menziona, alla data del A maggio del 1287, una "tractatio de confirmatione fratris Durantis electi Minati", condotta dallo stesso Simone, dall'arcivescovo di Clermont e da "molti altri". Non è tuttavia certo che il negoziato riguardasse proprio il vescovo di Mende. Infatti il testo del verbale trasmesso dal Mansi (XXIV, p. 734) menziona solo un certo "frater Durantis electi Mimatensis abbatis". In ogni caso, entrando a Mende il 13 giugno 1286, l'arcivescovo di Bourges fu ospitato a spese del magister Paolo, procuratore del vescovo eletto. Tra le sottoscrizioni del concilio provinciale di Bourges celebrato il 12 sett. 1286 si trova quella di "Paulus Banciani, vicarius in spiritualibus et episcopalibus generalis … domini G. Mimatensis episcopi" (ibid., p. 648) ed è probabile che si trattasse della stessa persona; infatti diverse fonti ci testimoniano che il D. si trovava ancora a Roma nel 1289-90.
Nel periodo passato a Mende (1290-94) il D. compose il Rationale divinorum officiorum e il Pontificale, dimostrando di essere versato nella liturgia quanto nella canonistica.
I rapporti del D. con Filippo il Bello furono probabilmente buoni e prepararono il terreno per la convenzione per la ripartizione dei diritti concordata nel 1307 tra il re e il nipote e successore del D. a Mende. In una lettera al siniscalco di Beaucaire del 1291 il re parla del suo diletto e fedele vescovo di Mende, dicendo che era sempre disponibile ad impegnarsi al servizio regio. Un'altra lettera del re, che porta la stessa data, concesse al vescovo la giustizia di grado inferiore nei temporalia della diocesi, sottraendola alla giustizia regia. Si conserva anche memoria degli omaggi prestati al D., in quanto signore temporale di Mende: gli atti relativi sono del 1292 e del 1293.
Bonifacio VIII cercò di richiamare in Italia il D., offrendogli il seggio di Ravenna, ma egli rifiutò. A partire dal settembre 1295, comunque, lo si ritrova come rettore della Marca di Ancona e di Romagna. Il D. non riusci tuttavia a pacificare in Romagna guelfi e ghibellini. Il 26 ott. 1295 riunì un Parlamento generale a Cesena; ma il 13 novembre lasciò l'"indegna" città. Nel mese di aprile del 1296, nonostante i suoi aiuti, i Bolognesi furono sconfitti a Rimini: il 26 aprile egli si scagliò contro i ribelli di Cesena, Imola, Forli e Faenza coalizzati contro la Chiesa romana. Poco tempo dopo il D. rientrò a Roma, dove mori il 1° nov. 1296. Il vescovato di Mende fu concesso a suo nipote il 17dicembre dello stesso anno.
L'opera più importante del D., quella che gli valse il soprannome di Speculator, è lo Speculum iudiciale (o iuris). La datazione del trattato rimane incerta, anche per l'aggiunta di alcuni elementi posteriori alla prima redazione. La prima publicatio è successiva al 28 ott. 1271, data della morte dell'Ostiense, che lo Speculum pone in cielo accanto ad Innocenzo IV ed anteriore all'ascesa al soglio pontificio del cardinale Ottobono Fieschi (Adriano V) dell'11 luglio 1276, cui l'opera è dedicata. Tra gli elementi inseriti successivamente si possono citare il titolo De legato, pubblicato inizialmente a parte con il titolo Speculum legatorum, o la rubrica De summario cognitione al titolo De officio omnium iudicum. La seconda redazione arricchita da numerose aggiunte fu terminata tra il 1289 e il 1291. Lo Speculum non si proponeva di formulare una nuova dottrina giuridica in una materia già trattata in maniera eccellente da illustri maestri come Rufino, Innocenzo IV e l'Ostiense. Aveva uno scopo pratico: si rivolgeva "a tutti coloro che si occupano di processi", non solo ai giudici, agli avvocati, ai tabellioni, ma anche ai testimoni e a chiunque avesse a che fare con i tribunali. Giovanni d'Andrea elogiò lo Speculum, in cui anche il profano avrebbe trovato ciò che cercava. Ma l'autore non aveva solo il proposito di informare, egli voleva anche formare degli esperti e fornire informazioni pratiche.
Il vago titolo di "specchio" era molto in uso all'epoca. Pierre de Blois, verso il 1180, aveva composto uno Speculum iuris canonici e Vincent de Beauvais (morto nel 1264) uno Speculum maius.
Lo Speculum iudiciale segnò un passo avanti, percepito dai contemporanei, rispetto agli ordines iudiciarii, come ad es. quello di Tancredi (prima redazione 1214-16 c.). Si tratta di un testo indubbiamente meglio ordinato, grazie alla suddivisione in tre libri e all'articolazione in quattro parti, la prima dedicata alle persone che intervengono in un processo (giudici, avvocati, procuratori, accusatore e accusato, rappresentanti e ausiliari di giustizia), la seconda allo svolgimento del processo civile, dalla fase preparatoria alla litis contestatio e alla sentenza, la terza al processo criminale, la quarta alla presentazione di esempi (formae) di libelli, di positiones che l'attore faceva consegnare all'accusato tramite il giudice per precisare la natura del litigio, e di formulari di atti giuridici. Questi modelli sono raggruppati secondo l'ordine seguito nelle Decretali di Gregorio IX, utilizzando i Libelli iuris civilis e il De iure canonico di Roffredo.
L'articolazione non è. tuttavia rigida. Già nelle prime tre parti si possono trovare delle formae; e soprattutto all'interno delle lezioni di pratica procedurale sono spesso inseriti degli esposti dottrinali. Quindi si incontrano spesso dei piccoli trattati, ad es. sull'elezione episcopale (IV, p. 2), sull'enfiteusi, sui feudi (IV, p. 3), sui testamenti (II, p. 2 § 12) e sulla donazione. L'autore non formula sempre una dottrina rigorosa, come si può vedere a proposito della definizione di giurisdizione ordinaria e di quella delegata, e a volte si limita ad elencare una serie di casi senza arrivare ad una riflessione più generale (cosi ad esempio cita gli undici casi in cui la condizione femminile è migliore di quella maschile e i dodici in cui esse sono equivalenti).
Le fonti utilizzate testimoniano della cultura dell'autore. I riferimenti ai processi, le formae, gli esempi sono spesso tratti dalla Curia romana "magistra omnium, ab inferioribus sequendo", ma anche dalla prassi giudiziaria delle città italiane e francesi. Il D. si avvalse largamente delle opere giuridiche dei suoi contemporanei: Martino da Fano, P. de Sampso, Rolandino di Passaggeri, Jean de Blanot, Alberto Galleotti ecc. Spesso però si tratta di prestiti testuali o di citazioni letterali di opere di cui non è nominato l'autore: sarebbe ingiusto rimproverare al D. ciò che era l'usanza del tempo. Una buona conoscenza del diritto giustinianeo appare evidente leggendo lo Speculum, nel quale il D. utilizza concetti e categorie romane come azioni di buona fede, patti nudi, stipule, contratti innominati, ecc. Il D. fa riferimento alla lex Aquilia o alla lex Falcidia, all'actio de pauperie e alla taxatio dell'actio iniuriarum. Questi elementi di diritto romano vengono messi al servizio del diritto canonico che conserva la sua piena autonomia. Citando il diritto civile, lo Speculum mette in evidenza le divergenze tra "le leggi" e i canoni. Secondo l'opinione del D. "la semplicità canonica" invitava a respingere "le sottigliezze dei legisti".
Fedele al diritto romano dei giureconsulti classici, il D. rispettava il principio della specificità delle azioni "nominate". Non si pronunciava a favore di un'azione che sanzionasse un semplice patto. Ma questo rigore procedurale è temperato dall'importanza che egli assegnava all'officium iudicis.
Il successo dello Speculum è attestato dal gran numero di copie manoscritte che ci sono pervenute e dalle citazioni in opere di grandi maestri come Giovanni d'Andrea e Baldo. L'opera era ancora usata alla fine del secolo XV e nel corso del secolo successivo come dimostrano le numerose edizioni che conobbe in quell'epoca. Solo nel XVII secolo questo successo si attenuò.
Oltre allo Speculum il D. scrisse un Repertorium aureum super toto corpore iuris canonici. I rapporti tra lo Speculum e questo Repertorium sono però difficili da determinare. La data di redazione del Repertorium è incerta. Il fatto che lo Speculum faccia riferimento ad esso induce a situarlo tra le due redazioni di quest'ultimo. L'opera è presentata dal D. come un completamento del suo lavoro maggiore. Nella prefazione dello Speculum indirizzata al cardinale Ottobono Fieschi l'autore rinvia all'"aureuin repertorium dudum a me labore eximio compilatum". Ma è stata avanzata l'ipotesi di una prima redazione del Repertorium anteriore a quella dello Speculum. Questa sarebbe posteriore al concilio di Lione del 1274 e forse anteriore al 1279. Bisogna notare che il termine di Repertorium sitrova soprattutto nello Speculum. Nel Repertorium si utilizza più di frequente quello di Breviarum. L'opera perseguiva come lo Speculum uno scopo pratico, quello di esporre l'essenziale in maniera sommaria. La divisione interna dell'opera segue quella dei libri e dei titoli delle Decretali di Gregorio IX. Il D. utilizzò anche le glosse del Decreto e delle Decretali, senza astenersi, peraltro, dal contestare in alcuni casi le opinioni ivi espresse, anche quando si trattava dell'Ostiense, di Innocenzo IV o di Jean de Dieu.
Il titolo de poenitentis (X, V, 38) è arricchito da una sorta di manuale per i confessori: Aureum confessorium et memoriale sacerdotum, che conferma il carattere pratico ed enciclopedico dell'opera. Lo stesso sforzo di completezza e utilità si ritrova nello sviluppo dato all'ultimo titolo del libro De rejulis iuris: le regole sono classificate per materia.
Il Commento alle costituzioni dei concilio di Lione del 1274 risale agli anni tra il 1292 e il 1294, forse al periodo tra l'ottobre 1293 e il luglio 1294, quando a Perugia i cardinali non si decidevano ad eleggere il nuovo papa. L'opera venne utilizzata da Giovanni d'Andrea, che però non la cita, poi fu dimenticata, finché Simone Maiolo la riscoperse, dedicandola a Pio V nel 1569. Si tratta del solo commento relativo al concilio di Lione (ne esistono almeno sette composti tra il 1274 e il 1298) che sia stato stampato. I decreti dei concilio sono commentati e spesso chiarificati con riferimenti precisi alle consuetudini dell'epoca; inoltre vengono citati sporadicamente alcuni giuristi. A proposito del decreto ubipericulum, un lungo passo tratta dell'elezione pontificale: cosi il D. ricorda che il papa non è "purus homo sed vicem Dei gerit in terris" e quindi, pur avendo la facoltà di definire la fede, non potrebbe cambiare lo statuto della Chiesa, né darsi un successore.
Tra le opere scritte dal D. durante l'episcopato di Mende, il Rationale divinorum officiorum è il più antico. Il lavoro era stato preparato prima dell'elezione a vescovo e gli incarichi pastorali impedirono all'autore di curarlo come avrebbe voluto. Il Rationale siispira ai lavori dei liturgisti precedenti, ma tratta il tema con un'ampiezza e una larghezza di vedute che mancava nei suoi predecessori. In otto libri, il D. si occupa delle chiese, della gerarchia, dei vestiti liturgici, della messa, dell'ufficio divino, del computo ecclesiastico, dell'anno e dei santi. I testi più antichi sono quasi sempre ripresi dal Decreto di Graziano e dalle Decretali. Il D. si proponeva di spiegare l'insieme dei simboli e dei segni cui la liturgia si richiama: a tal fine si avvale frequentemente dei contributi della scuola di San Vittore (Ugo morto verso il 1140 e Riccardo morto nel 1173 sono spesso ricordati) e cita spesso Isidoro di Siviglia e Onorio di Autun.
Attento alle differenze liturgiche, il D. mette in evidenza le particolarità locali e i cambiamenti secondo i periodi. Non esita ad affrontare questioni controverse, esprimendo la propria opinione, ma senza far prova di intransigenza. Ad esempio nello Speculum egli esprime delle riserve a proposito di una festa della Concezione della Vergine, "qui concepta fuit in peccato". Nel Rationale simostra più esitante scrivendo: "non quia sit concepta … sed quia Mater Dei est concepta". Comportamento prudente di fronte a quella che s. Bernardo considerava una "falsa devozione". Il Rationale ebbe un grande successo. Nel 1372 Carlo V di Francia lo fece tradurre in francese. Se ne conoscono parecchie copie manoscritte, degli incunaboli e alcune edizioni del XVI secolo, che attestano la sua fortuna nel tempo (1479, Treviso; 1486, Strasburgo; 1581, Venezia).
Da vescovo il D. redasse per il suo clero Istruzioni e Costituzioni. Non se ne conosce la data precisa di composizione; esse vennero peraltro rimaneggiate e ampliate, forse in occasione dei sinodi diocesani dove furono probabilmente lette e pubblicate. Curiosamente, benché fossero state stampate alla fine del XV secolo, esse furono dimenticate fino alla scoperta di un manoscritto nel 1894. Le Istruzioni indicano agli ecclesiastici i loro doveri, gli obblighi della vita clericale, le nozioni che devono possedere soprattutto in merito all'amministrazione dei sacramenti. Le Istruzioni forniscono anche un certo numero di utili informazioni sulla disciplina in vigore. Apprendiamo cosi che il battesimo era praticato per immersione, che il confessore poteva accordare, al debitore insolvente che si fosse pentito, una proroga del pagamento del debito, che i guadagni illeciti dovevano essere restituiti o devoluti in elemosine, e veniamo a conoscenza di altre disposizioni in materia di bottino di guerra, di diffamazione, di usura, di alterazione delle monete, di profitti commerciali e di simonia. La vendita di armi da guerra era considerata un peccato, mentre la donna sposata poteva disporre dei suoi beni parafernali, "etiani invito viro", per fare delle elemosine. Le Istruzioni trattano anche della salvaguardia delle cose sacre, della celebrazione degli uffici divini e della cura delle anime. La liturgia della messa è descritta minuziosamente. A proposito delle funzioni pastorali, le Istruzioni considerano la questione della sepoltura, del pagamento della decima, della censura e degli ebrei. In tutti questi punti le Istruzioni utilizzano in gran parte il Decreto di Graziano. Le Costituzioni ritornano sulle stesse questioni, ma il loro carattere normativo conduce a una formulazione più imperativa. Vengono citate decretali di Innocenzo III, Onorio III e Gregorio IX. Sono ricordati gli obblighi dei parroci, in particolare quello della residenza. Le Costituzioni insistono inoltre sul dovere per i preti di praticare l'hospitalitas.
Il Pontificale, insieme con lo Speculum, è l'opera più conosciuta del D. e anch'esso risale all'epoca in cui egli governava la Chiesa di Mende. In tre libri viene esposto il cerimoniale seguito dai prelati nelle loro funzioni sacre: benedizioni, ordinazioni, consacrazioni di persona (lib. I); cerimonie relative a cose (lib. II); solennità liturgiche riguardanti la disciplina o il governo (lib. III). Alcuni capitoli trattano infine della messa e della benedizione pontificia.
Alcuni manoscritti contengono anche un formulario di benedizioni di cui il D. rivendica la paternità. Il Pontificale fa riferimento, ai documenti romani, ma vuole essere utilizzabile in ogni chiesa, a differenza del Pontificale romano del XIII secolo che riguardava solo la liturgia papale. Ciononostante anche il Pontificale del D. segnala riti propri della Chiesa romana: vengono trattati infatti gli ordines dell'ordinazione papale o dell'incoronazione di re e regine. Il Pontificale del D. fu preso a modello nel 1485 per il nuovo Pontificale romano ordinato da Innocenzo VIII. Se ne conservano numerosi manoscritti. L'edizione che ne ha fatto M. Andrieu nel 1940 si basa sulla classificazione di 21 manoscritti.
Edizioni: non esistono edizioni critiche o moderne dello Speculum iudiciale. Per quelle quattrocentesche, tutte con le Additiones di Giovanni d'Andrea, cfr. Hain, Repertorium bibliographicum, nn. 6504-6517; inoltre si ricordano le edizioni stampate a Venezia 1501 e 1585; Lione 1544 C 1563; Basilea 1563 e 1574 (quest'ultima ristampata anastaticamente, Aalen 1975), Francoforte 1612 (con le annotazioni di Baldo e di altri dottori illustri e il commento dell'editore A. de Nevo).
Repertorium aureum super toto corpore iuris canonici: Hain, Repertorium, nn. 6518-6520; inoltre: Parigi 1513 e 1519; Lione 1612.
In sacros. Lugdun. Concilium … Commentarius, a cura di S. Maiolo, Fano 1569.
Del Rationale divinorum officiorum esistono numerosissime edizioni antiche, ma nessuna moderna. Fu stampato per la prima volta a Magonza nel 1459 (cfr. Hain, Repertorium, nn. 6461-6503 per le edizioni quattrocentesche); traduzione francese a cura di C. Barthélemy, 5 voll., Paris 1848-1858.
Pontificalis ordinis liber, a cura di M. Andrieu, in Le pontifical romain au Moyen-Age, III, Le pontifical de Guillaume Durand, Città del Vaticano 1940.
Les Instructiones et constitutiones de Guillaume Durand le Spéculateur d'après le ms. de Cessenon, a cura di J. Berthelé-M. Valmery, Montpellier 1905.
Fonti e Bibl.: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum … collectio, XXIV, Venetiis 1780, pp. 648-734; Les registres de Boniface VIII, a cura di A. Thomas-M. Faucon.G. Digard, Paris 1884-1935, ad Indices; Les registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, Paris 1886-1893, ad Indicem; Le registres d'Honorius IV, a cura di M. Prou, Paris 1888, ad Indicem; Les registres de Martin IV, a cura di F. Olivier Martin, Paris 1901-1935, ad Indicem; F. K. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, V, Heidelberg 1850, pp. 571-602; J. F. von Schulte, Geschichte der Quellen und der Literatur des canonischen Rechts, Stuttgart 1875, pp. 114, 144-156; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-1968, ad Indicem (in vol. VIII, p. 70); D. Waley, The Papal State in the Thirteenth Century, London 1961, ad Indicem; G. Rossi, Consilium sapientis iudiciale. Studi e ricerche per la storia del processo romano canonico, Milano 1958, ad Indicem; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomia cittadina e accentramento papale nell'età di Dante, Firenze 1965, ad Indicem (sub voce Gugliermo Durante); P. Herde, Audientia litterarum contradictarum, Tübingen 1970, I, pp. 70-77; E. L. Boyle, The date of the Commentary of Wilham Durant on the Constitutions of the second Council of Lyon, in Bull. of Medieval canon law, IV (1974), pp. 39-47; Dietionn. de droit canonique, V, coll. 1014-1075 (di L. Falletti); Dict. dhist. et de géogr. eccl., XIV, coll. 1169 ss.; Dictionnaire de biographie française, XII, coll. 660s.; Lexikon des Mittelalters, III, coll. 1469 s.; Novissimo Digesto italiano, VI, p. 328; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, V, pp. 302 s. (s. v. Guillelmus Duranti, dictus Speculator).