DUNGAL
Nato presumibilmente in Irlanda, fu attivo nella prima metà del sec. IX prima nelle regioni settentrionali dell'Impero, poi in Italia; Alcuino, parlando di lui fra gli anni 792 e 804 in una lettera a monaci irlandesi, lo definisce "vestrae eruditionis doctorem".
L'identità di D. è stata discussa, da Muratori e Tiraboschi, che pensarono ad almeno due personaggi con lo stesso nome, fino al Traube, che nel 1891 distinse ben quattro diversi Dungal e cioè: un "hibernicus exul" "reclusus" in St-Denis presso Parigi, un maestro a Pavia nell'825, un coevo e amico di Sedulio Scoto e infine un monaco di Bobbio vissuto nel sec. XI. Ma l'Esposito nel 1932 dimostrò che di una sola persona si trattava, attiva nella prima metà del sec. IX, mentre di anonimo irlandese (forse Dicuil) sarebbero i carmi scritti dall'"Hibernicus exul" dopo il 784 in St-Denis.
D. fu particolarmente legato alla Scuola palatina e a Carlo Magno, che gli indirizzò due lettere. La prima, dell'801, è un'interrogazione "de substantia nihili et tenebrarum". Nel piano di una vasta inchiesta, promossa dall'imperatore, sui metodi esegetici e teologici, l'argomento era stato allora dibattuto da Fridugiso di Tours. La risposta di D. non sopravvive: ma studiò il tema, leggendo perfino Lucrezio, di cui emendò l'esemplare scritto proprio in quegli anni per la Biblioteca Palatina (Leida, Bibl. universitaria, cod. Voss. lat. F. 30, il Lucretius Oblongus).
In una seconda lettera, perduta, Carlo Magno di nuovo interrogò D., tramite l'abate Waldo di St-Denis (806-814), riguardo alle cause delle eclissi di Sole verificatesi nell'810. Si conserva la responsiva, composta nell'810, verosimilmente a St-Denis, come fa pensare la mediazione di Waldo. è quasi un trattatello astronomico, basato soprattutto su Macrobio, Comm. in somnium Scipionis. In esso D. cita Virgilio, Georgiche, e allega estratti da Isidoro, Beda e un'intera serie di capitoli di Macrobio; lamenta di non avere disponibili i testi necessari dei grandi filosofi e fisici antichi, in particolare Plinio, ma di poter usare soltanto compendi. Di Plinio in quegli anni circolavano pochi excerpta, immessi nel Liber computi compilato ad Aquisgrana nell'810 e subito rielaborato e diffuso.
Non è da escludere che D., nell'809, fosse fra i dotti interpellati da Carlo Magno per la stesura del Computo. Ai suoi studi nel campo potrebbe ricollegarsi l'architettura di un grande corpus cronologico e astronomico copiato allora a St-Denis (Bibl. ap. Vaticana, Reg. lat. 309). Gli sono state anche attribuite una breve cronaca delle sei età del mondo e alcune noterelle astronomiche.
Agli anni di permanenza in Francia risale un gruppetto di sette (o otto) lettere, conservate in due codici gemelli, scritti a St-Denis all'inizio del sec. IX (Londra, British Library, Harley 208; Parigi, Bibl. nat., Nouv. Acq. lat. 1096). Sembrerebbero per lo più esercizi retorici; databile è solo una, posteriore all'814, alla figlia di Carlo Magno, Teodrada, per felicitarsi dell'avvenuta monacazione. Di fianco alle lettere si collocano poesie: una è indirizzata a Hildoardo vescovo di Cambrai (790-816); non databile è un'epistola in versi a maestro Baldo di Salisburgo; infine una sorta di epigramma-preghiera rivolta al "quadrati conditor orbis", affinché protegga D., nominato in terza persona.
In St-Denis, con la collaborazione di alcuni fidi copisti, radunò e costruì una piccola biblioteca di Padri e poeti cristiani, guidato da due interessi: l'esegesi biblica e la poesia innografica, epigrammatica ed epigrafica. Scelse e revisionò i testi con cura filologica. Quando parti per l'Italia D. portò via con sé un buon numero di volumi.
Di questi codici sei oggi sopravvivono. Quattro, dal punto di vista paleografico e codicologico assai simili fra loro (Torino, Bibl. naz., Mss. F II 17; Milano, Ambrosiani A 135 Inf. e Ambr. C 127 Inf., Bibl. ap. Vaticana, cod. Vat. lat. 5761), contengono Origene, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Ambrogio e Beda. Una collezione di poeti, allestita da diversi copisti della Francia settentrionale in fasi successive, è riunita nell'Ambrosiano C 74 Sup.: Venanzio Fortunato, Aratore, Paolino da Nola, Paolino da Périgueux, Prospero, Giovenco, Disticha Catonis, e carmi minori. Gli interventi correttori autografi di D. sono qui abbastanza numerosi; reiterate e attente, di varie mani, sono le correzioni puramente ortografiche. Un più complicato lavoro dedicò a Prudenzio, che altamente lo interessava per gli inni sui martiri, celebrativi di un aspetto del culto cristiano molto sentito da D.: ne reperì un antico codice del sec. VI, mutilo, lo fece reintegrare delle parti mancanti, per mezzo di un altro antigrafo, e lo ricollazionò tutto.
è difficile precisare in quale anno D. giunse nella pianura padana. Il monaco sangallese autore dei Gesta Karoli racconta che Carlo Magno mandò in Italia, presso il monastero "Sancti Augustini iuxta Ticinensem urbem" (S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia), un dotto irlandese, ma è improbabile che si tratti di Dungal. Della sua venuta abbiamo notizia inequivocabile solo col Capitolare Olonese di Lotario dell'825 in cui sono date disposizioni per l'insegnamento nelle scuole dell'Italia carolingia e se ne enumerano le sedi; per Pavia è menzionato il maestro D., presso il quale dovevano recarsi studenti di parecchie città. Questo è l'unico documento pubblico italiano in cui egli compare.
A Pavia si colloca la redazione della sua opera maggiore, i Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, scritti per richiesta imperiale.
Si era riproposta in Occidente la discussione sull'iconoclasmo. Dopo il concilio di Nicea in Oriente (787) e di Francoforte in Occidente (794), in cui Carlo Magno aveva preso le distanze sia dall'iconoclasmo sia dalla superstiziosa iconodulia, in Occidente non erano seguite vere controversie, ma nell'824, sollecitato da una ambasceria bizantina, Ludovico il Pio volle che la Chiesa franca ribadisse le proprie posizioni. Questo fu puntualmente eseguito dal sinodo convocato a Parigi (825): alla stesura dei relativi atti partecipò, sembra con forte ruolo, Giona di Orléans. Una sola voce di netto dissenso si levò, da parte dello spagnolo Claudio, vescovo di Torino, autore nello stesso 825 di un Apologeticum a difesa dell'iconoclasmo. Incaricati di confutarlo furono Giona d'Orléans e D., che compose i suoi Responsa con premura e nell'827 ne inviò in Francia una copia finita. Tenne presso di sé un esemplare che continuò a rivedere e ampliare: l'ossatura dell'opera era infatti costituita da estratti di auctoritates, organizzati per sostenere la linea logica dell'assunto. Come D. stesso spiega, altri si sarebbero potuti aggiungere quando ve ne fosse stata opportunità. Un certo numero di passi da lui scelti, sia per convinzione, sia per il necessario ossequio alle posizioni imperiali, sono gli stessi presenti negli atti del sinodo parigino; la maggior parte però sono frutto di una lettura operata da D. su testi patristici (Ambrogio, Agostino, Beda, Girolamo, Gregorio Magno) e poetici (Paolino da Nola, Prudenzio, Venanzio Fortunato).
D. ricava un discorso continuo e teso a difendere la venerazione per le "picturae", le reliquie dei santi, la Croce, che secondo D. attraverso i gesti di devozione materiale conducono alla salvezza spirituale. A conferma egli riporta la narrazione di molti miracoli avvenuti presso le sepolture dei martiri, luoghi che riuniscono le reliquie dei santi e il segno della Croce. Probabilmente senza conoscere né i testi dei greci sull'argomento, né profondamente la teologia inconodula, ma solo sulla scorta dei Padri latini, D. costruisce una appassionata difesa di una forma devozionale importante nell'Occidente: il pellegrinaggio e il culto ad martyres.
I Responsa sono stati editi nel 1608 da Papirio Masson sulla base del cod. Reg. lat. 200 della Bibl. ap. Vaticana, l'esemplare allestito a Pavia e subito inviato in Francia, poi conservato a St-Denis; copista ne fu un francese del Settentrione, probabilmente un monaco di St-Denis e collaboratore di D., che venne con lui in Italia e vi rimase. D. invece tenne per sé un secondo esemplare, Ambr. B 102 sup., eseguito a Pavia da un amanuense dell'Italia settentrionale: fu la sua copia di lavoro, poi corredata di molte aggiunte, materialmente eseguite dal suo collaboratore, la stessa mano francese che aveva scritto il Reginense. Ilcodice ambrosiano era tra quelli che D. donò o lasciò per testamento al monastero di S. Colombano di Bobbio, il più celebre cenobio irlandese d'Italia. Il lascito di D. a S. Colombano è ricordato in un inventario della biblioteca dell'abbazia, redatto verso la fine del sec. IX o all'inizio del successivo. Qui vengono elencate parecchie donazioni, fra cui "de libris quos Dungalus praecipuus Scottorum obtulit beatissimo Columbano", circa 27 volumi. Forse in occasione di quel catalogo il monaco bibliotecario pensò di apporre quasi un ex-libris suivolumi donati: "Sancte Columba, tibi Scotto tuus incola Dungal …". I versi si leggono sull'Origene Ambr. A 135 Inf. e, per errore, su un codice bobbiese che con D. non pare avere nulla a che fare (Ambr. I 89 Sup.). Sopravvivono ancora, dei 27 codici bobbiesi, i sei sopra elencati, portati in Italia da St-Denis, e l'esemplare dei Responsa.
Questi libri, che certo utilizzò per l'insegnamento a Pavia, sono in prevalenza opere esegetiche di Padri della Chiesa. Ma probabilmente insegnò, secondo la sua competenza, anche computo: se al suo magistero può risalire la compilazione computistica dell'830 circa, conservata in un codice lombardo del sec. X (Monza, Bibl. capitolare, cod. c-9/69). D. si dedicò inoltre allo studio dei tituti posti per le memorie dei martiri e le dedicazioni delle chiese. è riportata nei Responsa l'epigrafe di Uranio Satiro, fratello di s. Ambrogio, che compare identica nella Silloge, compilata nel primo terzo del sec. IX e poi conservata a Lorsch (ora nella Bibl. ap. Vaticana, cod. Pal. lat. 833), di iscrizioni dell'Italia settentrionale: i rapporti fra l'opera di D. e questa Silloge devono ancora essere indagati. Nell'832 D. compose l'epigramma destinato alla cappella "martyrium" che Hilduino di St-Denis aveva appena edificato per le reliquie di Dionigi, Rustico ed Eleuterio. Negli otto esametri per i santi parigini, oltre la presenza come modelli dei tituli romani e di Venanzio Fortunato, si rileva una straordinaria consonanza con i dieci esametri di dedica, scolpiti sul memorabile altare d'oro di S. Ambrogio in Milano, fatto fare dall'arcivescovo Angilberto [II], dopo l'825 circa. Il legame tra i due carmi è tale da suggerire D. come autore dei versi commissionati da Angilberto.
Un'ultima poesia di D. è l'epitaffio che compose per se stesso, con ampia descrizione, secondo le sue convinzioni, della croce sopra la tomba. Qui l'uso del non frequente vocabolo squalorum crea una connessione con il codice Bernese 363 (Berna, Burgerbibliothek), grande enciclopedia formata nella cerchia di Sedulio Scoto: dove il nome di D. è annotato accanto alla spiegazione di Servio per la parola squalentibus (in Georg., IV91).
Sulla durata del suo magistero in Italia mancano documenti, perché non si conoscono luogo e data di morte.
Del suo interesse fattivo per il culto delle reliquie anche nella vita religiosa cittadina si può forse cercare traccia nel Sermo de translatione corporis s. Syri Ticinensis episcopi, scritto quando i resti del santo furono traslati nella nuova cattedrale, ad opera del vescovo di Pavia Adeodato (829-841). L'attribuzione del Sermo a D. è dubbia, ma plausibile.
Opere: Dungali Scotti Epist. 1-9, a cura di E. Dümmler, in Mon. Germ. Hist., Epist., IV, Berolini 1895, pp. 568-85; Carmina, a cura di E. Dümmler, ibid., Poetae, I, ibid. 1881, pp. 406 s., 411 ss. nn. XVII, XXIII-XXIV, ibid. 1884, pp. 664 s. nn. XVII-XVIII; H. Silvestre, Le véritable épitaphe de D., in Rev. bénéd., LXI (1951), pp. 256-59; E. Könsgen, Eine neue komputistische Dichtung des Agius von Corvey, in MittellateinischesJahrbuch, XIV (1979), p. 70; C. Jeudy-Y. F. Riou, Les manuscrits classiques latins des bibliothèques publiques de France, Catalogue, I, Paris 1989, p. 492; D. Schaller-E. Könsgen, Initia carminum Latinorum, Göttingen 1977, nn. 1579, 4377, 6121, 9376, 13419, 16110 (cfr. 13791), Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, in Migne, Patr. lat., CV, coll. 465-530 (estratti o una diversa redaz. dei Responsa: G. Antolin, Catálogo de los códices latinos de la Real Biblioteca del Escorial, II, Madrid 1911, pp. 167 ss.); C. Prelini, S. Siro primo vescovo e patrono della città e diocesi di Pavia, I, Pavia 1880, pp. 44 ss., 164-73, 234-68, 577-86; Bibliotheca hagiographica latina, II, Bruxelles 1900-1901, n. 7978.
Fonti e Bibl.: Alcuini Epist., a cura di E. Dümmler, in Mon. Germ. Hist., Epist., IV, Berolini 1895, n. 280, pp. 436 ss.; Caroli Magni Epist., ibid., n. 35, p. 552; Notkeri Balbuli Gesta Karoli Magni, a cura di H. F. Haefele, ibid., Script. Rer. Germ., Nova Series, XII, Berolini-Berlin 1959, pp. 1 ss.; Capitulare Olonnense, a cura di A. Boretius, ibid., Legum sect. II, Capitularia regum Francorum, I, Hannoverae 1883, pp. 326 s. Il catalogo antico di Bobbio e la dedica in G. Becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonnae 1885, pp. 64-73 cat. 32, e M. Tosi, Il governo abbaziale di Gerberto a Bobbio, in Gerberto, scienza, storia e mito. Atti del Gerberti Symposium (25-27 luglio 1983) [= Studia, II], Bobbio 1985, pp. 195-223; in Mon. Germ. Hist., VI, 1, Poetae, a cura di K. Strecker-O. Schumann, Monachii-München 1978, p. 176 n. 16; in Schaller, Initia, n. 14618. La silloge di Lorsch in G. B. De Rossi, Inscriptiones christianae Urbis Romae, II, 1, Romae 1888, pp. 161-73. Facsimile della postilla col nome di D. in Augustinus, Beda, Horatius, Ovidius, Servius, alii. Codex Bernensis 363phototypice editus, a cura di H. Hagen, Lugduni Batavorum 1897, p. XLVI e f.54 a; L. A. Muratori, Anecdota quae ex Ambrosianae Bibliothecae codicibus nunc primum eruit, I, Mediolani 1697, pp. 1, 8, 24 s., 87, 188; Id., Antiquitates Italicae Medii Aevi, III, Mediolani 1740, coll. 815-824; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, I, Milano 1833, pp. 458-61; L. Traube, O Roma nobilis, VI, Dungali, in Abh. d. Philos.-philol. Cl. d. K. Bayer. Akad. d. Wiss., XIX (1891), pp. 332-337; M. Esposito, The poems of Colmanus 'Nepos Cracavist' and Dungalus 'Praecipuus Scottorum', in Journal of theol. stud., XXXIII (1932), pp. 113-31; C.P. Hammond, Notes on Origens Commentary on Romans, ibid., n. s., XVI (1965), pp. 346, 352 s.; B. Bischoff, Mittelalterliche Studien, I, Stuttgart 1966, pp. 27, 201 s.; II, ibid. 1967, pp. 25, 276; III, ibid. 1981, pp. 42, 62, 172, 224, 230 s.; V. Brown, The insular intermediary in the tradition of Lucretius, in Harvard Studies in class. philol., LXXII (1967), pp. 307 s.; B. Fischer, Die Alkuin Bibel, in Die Bibel von Moutier-Grandval, British Museum Add. Ms. 10546, Bern 1971, p. 98; M. Ferrari, "In Papia conveniant ad Dungalum", in Italia medioev. e uman., XV (1972), pp. 1-52; J. J. Contreni, The Cathedral School of Laon from 850 to 930, München 1978, pp. 82, 92; J. Vezin, Observations sur l'origine des manuscrits légués par D. à Bobbio, in Paläographie 1981. Colloquium des Comité internat. de paléographie, a cura di G. Silagi, München 1982, pp. 125-44; C. Leonardi, Gli irlandesi in Italia. D. e la controversia iconoclastica, in Die Iren und Europa, a cura di H. Löwe, II, Stuttgart 1982, pp. 746-57; L. D. Reynolds, in Texts and transmission, Oxford 1983, pp. 219, 309; R. Landes, A libellus from St Martial of Limoges, in Scriptorium, XXXVII (1983), p. 186; M. L. Colish, Carolingian debates over 'Nihil' and 'Tenebrae', in Speculum, LIX (1984), p. 767; J. Vezin, Reims et St-Denis au IXe siècle, in Revue bénéd., XCIV (1984), p. 325; M. Lapidge-R. Sharp, A bibliography of Celtic-Latin literature 400-1200, Dublin 1985, p. 173 (rec. di H. Silvestre, in Scriptorium, XLI [1987], p. 177); D. Nebbiai-Dalla Guarda, La Bibliothèque de l'abbaye de St-Denis en France, Paris 1985, pp. 62 s., 129, 229, 293 ss, 309, 311, 318; J. Vezin, Les relations entre St-Denis et d'autres scriptoria pendant le haut Moyen Age, in The role of the book in Medieval culture, I, a cura di P. Ganz, Turnhout 1986, pp. 31-34, 37 s. (ipotizza che sia stata redatta da D. una lettera di Carlo Magno all'imperatore Michele di Bisanzio); E. Cau-M. A. Casagrande Mazzoli, in Storia di Pavia, II, Milano 1987, pp. 192-99; M. Lapidge, The lost 'Passo Metrica S. Dionysii' by Hilduin of St-Denis, in Mittellat. Jahrbuch, XXII (1987), pp. 60 s.; M. Spallone, Ricerche sulla tradizione ms. dell'Anth. Lat. (Al 181, 186-188, 379 Riese), in Studi med., s. 3, XXIX (1988), pp. 619 s.; M. Ferrari, La biblioteca del monastero di S. Ambrogio, in Ilmonastero di S. Ambrogio nel Medioevo. Conv. di studi nel XII centenario: 784-1984, Milano 1988, pp. 96-100; H. Feld, Der Ikonoklasmus des Westens, Leiden 1990, pp. 25 ss.; Rep. font. hist. M. Aevi, Fontes, IV, pp. 255 s.; Lexikon des Mittelalters, III, coll. 1456 ss.
M. Ferrari