DUMPING
. La stipulazione dei trattati di commercio cui tende ovunque la politica doganale, è resa spesso difficile dal sistema del dumping (o svendita), pressoché ignoto all'alba del secolo, e consistente nel vendere uno stesso prodotto all'estero a prezzi notevolmente più bassi di quelli adottati per il mercato nazionale. Il verbo inglese to dump significava originariamente scaricare un carro rovesciandolo longitudinalmente. Con l'espressione to dump a market s'intende invece l'inondazione di un mercato mercé prodotto venduto sotto costo, onde la frase dumping prices, ossia prezzi inferiori al costo. Con tale espediente a noi venuto dall'America, le difese doganali, imposte dall'inferiorità naturale dell'industria indigena, non contano più anche perché il sistema non è adottato transitoriamente per smerciare all'estero una produzione esuberante, ma sistematicamente per la conquista definitiva del mercato estero o per costringere i produttori stranieri rivali a praticare prezzi uniformi ed elevati. Da ciò la preoccupazione destata negl'industriali costretti a praticare prezzi che non sono rimunerativi per alcuno o a scomparire; e in particolare nel campo dei prodotti siderurgici, relativamente ai quali il dumping, è usato da tutte le grandi nazioni esportatrici, aiutate in questo da possenti organizzazioni internazionali, da giganteschi cartelli, trusts, Konzern, finanziati dalle maggiori banche e che signoreggiano ormai il mercato mondiale degli oggetti siderurgici di più esteso consumo. L'industria siderurgica italiana ne esperimentò già le gravi conseguenze.
Due questioni hanno importanza capitale: Il dumping è un fenomeno economico naturale o artificiale? Può esso giustificare o meno dazî di ritorsione e quindi più elevate barriere doganali?
Il dumping nella teoria e nella pratica. - Per comprendere come si possa svendere sistematicamente senza rovinarsi occorre tener presente che, come è noto, il costo di fabbricazione diminuisce con l'aumento della produzione.
Si supponga che il costo di produzione di una tonnellata di una merce qualsiasi sia di L. 50, allorché la quantità prodotta è pari a mille, e scenda a L. 30, portando la produzione a duemila tonnellate. Se i produttori si limitano a produrre 1000 tonnellate che vendono a L. 50 - prezzo di mercato fissato dalla concorrenza - otterranno appena la copertura delle spese. Se invece elevano la produzione a 2000 tonnellate, vendendone 1500 al prezzo di L. 32 ai produttori nazionali e 500 al prezzo di L. 28 ai consumatori stranieri, realizzeranno un utile di L. 2000. La vendita all'estero al di sotto del costo - a L. 28 invece che a L. 30 nell'elementare e grossolano esempio esposto - concilierebbe, pertanto, gl'interessi dei produttori, dei consumatori nazionali e dei consumatori stranieri nel modo migliore. Gl'industriali otterrebbero non più L. 50.000 ma L. 62.000; i consumatori nazionali pagherebbero la tonnellata di merce prodotta L. 32 invece che L. 50 e i consumatori forestieri, che abbisognano appena di 500 tonnellate, soltanto L. 28, cioè un prezzo di gran lunga inferiore al costo di produzione indigeno, per tale quantità superiore a cinquanta lire.
Il dumping sarebbe quindi un fenomeno economico naturale, effetto della concentrazione industriale, che i dazî protettivi eretti dal paese che ne approfitta favoriscono, non già eliminano. Non si tratterebbe, come dimostrò il Jannaccone, che di un'applicazione al commercio internazionale del principio dei prezzi variabili, per mezzo del quale gl'industriali a costo decrescente ottengono l'utile massimo, e perciò indipendente da qualsiasi indirizzo, liberista o protezionista, della politica commerciale. È quindi inutile che per difendersi da esso il paese importatore ricorra a una tariffa doganale restrittiva. Le dimostrazioni matematiche del Cabiati ne forniscono una prova inoppugnabile. Questa la concezione teorica del fenomeno. La realtà però è alquanto diversa. In questa il dumping è concepito come un fenomeno predatorio, come una combinazione poliorcetica dei grandi sindacati industriali stranieri rivolta ad abbattere i produttori rivali e a impadronirsi del mercato nazionale. Nella maggioranza dei casi, infatti, il dumping deriva da cause artificiali come: speciali premî di esportazione, abbuoni e ribassi ferroviarî, accordi di sindacati, di cartelli, di trusts, di Konzern, elevate tariffe protettive ecc., che alterano sensibilmente le condizioni naturali degli scambî internazionali.
L'esempio del sindacato del ferro in Italia nel 1912 è tipico a questo riguardo. Lo Stahlverband vendeva le travi di ferro a L. 164 alla tonnellata in Germania, cioè a un prezzo di gran lunga superiore al costo per effetto dell'alta protezione doganale concessa alla produzione tedesca; a L. 130 in Inghilterra, cioè a un prezzo corrispondente al costo di produzione, ritraendo egualmente un profitto dalla ripartizione delle spese generali sopra una maggiore produzione; a L. 95 alla tonnellata in Italia, cioè ad un prezzo non solo inferiore al costo delle travi, ma a quello degli stessi lingotti occorrenti a fabbricarle. La perdita sopportata dal trust germanico per la frazione minima della sua produzione esportata in Italia, era compensata dai benefici realizzati all'interno per effetto della protezione. Ma anche ammesso che ciò non fosse stato, la perdita sarebbe stata temporanea. I siderurgici italiani, divisi e rivali, non potendo collocare tutta la loro produzione al prezzo derisorio imposto dal dumping germanico, avrebbero finito per cedere il campo. Il sindacato divenuto così signore del nostro mercato si sarebbe rifatto immediatamente delle perdite subite applicando ai consumatori italiani i prezzi pagati dai Tedeschi. Né vi era da temere, per questo, la concorrenza dell'industria belga o francese, causa l'organizzazione internazionale dei siderurgici, in forza della quale Germania, Belgio e Francia si erano spartite di comune accordo l'Italia. Tali estreme conseguenze del dumping mancarono, essendosi all'ultimo stretto, fra siderurgici italiani e stranieri, un accordo che valse ad attenuare il dumping ma non a sopprimerlo.
Ma gli esempî si potrebbero moltiplicare, ogni industria essendo oggi minacciata dal dumping che ha tutti i caratteri delle operazioni di guerra. Basterebbe a provarlo la tipica manovra del trust americano del petrolio che tentò prima della guerra d'impadronirsi dell'intera industria petrolifera romena svendendo il lampante a prezzi più bassi del greggio, riuscendo così con il dominio delle raffinerie a far capitolare i cantieri di produzione. La manovra venne sventata dal governo romeno che assegnò, con una legge, a ciascuna raffineria un limitato contingente per il consumo interno.
Questa la realtà, il fenomeno concreto, alquanto diverso dal dumping studiato dagli economisti matematici. Il vantaggio non è di tutti, ma dei produttori che se ne valgono. Onde la necessità di difesa ogni qualvolta è questione d'industrie che il paese per ragioni economiche e politiche ha interesse di conservare.
La legislazione contro il dumping. - Gli espedienti per combattere il dumping sistematico, normale, permanente, già oggetto di studio da parte della Conférence Économique Internationale, adunata nel maggio 1927 a Ginevra per iniziativa della Società delle Nazioni, non sono certo numerosi e specialmente sicuri, causa gli accordi internazionali fra i grandi trusts, che riescono quasi sempre con abili manovre a eluderli. Alcuni fra i grandi produttori nazionali colpiti tentarono con la costituzione di potenti sindacati di ricostituire artificialmente le condizioni naturali di equilibrio proprie della libera concorrenza che il dumping aveva distrutto; altri più coraggiosi ridussero al livello minimo il costo di fabbricazione con una più saggia ripartizione della produzione fra gl'industriali prima concorrenti a somiglianza dei siderurgici italiani i quali riuscirono a dimostrare che l'industria nazionale era molto più sana di quello che gli stranieri pensassero: altri, infine, in grande maggioranza, invocarono dallo stato nuove difese doganali, più favorevoli tariffe di trasporto e maggiori privilegi per le forniture agli enti pubblici.
L'espediente che raccoglie però più frequenti adesioni è quello delle rappresaglie doganali, conforme al carattere aggressivo del fenomeno. Una ventina di stati non mancarono di consacrarle nelle leggi ma non tutti ebbero poi ad applicarle. Così fu di molti stati europei, degli Stati Uniti e della Nuova Zelanda. Soltanto il Canada, l'Australia e l'Unione Sud-Africana si affrettarono ad attuarle, assoggettando le merci importate e vendute sotto costo e comprese in appositi elenchi, sempre riveduti e aggiornati, a speciali dazî di compensazione. Nella realtà tutti gli stati che godono di una grande preponderanza nel commercio internazionale, hanno rinunciato finora, eccetto i tre accennati, a combatterlo, anche se dissimulato da premî di esportazione segreti o palesi. Non per questo difetta nelle leggi doganali la possibilità di farlo.
Il primo paese a iniziare la battaglia contro il dumping fu il Canada, costretto per salvare la propria industria dagli attacchi formidabili dei trusts americani - fra i più minacciosi sono notissimi quelli dei trusts del ferro e dell'acciaio - a ricorrere nel 1903 e negli anni successivi all'antidumping duty, cioè a un dazio addizionale pari alla differenza fra il prezzo normale del prodotto nel paese di produzione e il prezzo inferiore a cui viene venduto all'estero. La Francia non tardò a imitarlo. Con la legge doganale del 29 marzo 1910 (art. 3), ancora in vigore, stabilì un dazio compensatore su tutte le merci importate, favorite nel loro paese di origine da premî diretti o indiretti e da qualsiasi vantaggio che ne renda possibile l'esito all'estero a un prezzo inferiore a quello adottato nel paese di provenienza. Eguali misure dirette a neutralizzare i premî di esportazione furono adottate nelle tariffe doganali della Spagna (1926), dell'Austria (1924), del Belgio (1920), della Polonia (1924), della Svizzera (1904), della Cecoslovacchia (1925), degli Stati Uniti (1921), del Giappone (1921), della Nuova Zelanda (1921), commisurando il dazio compensatore sia alla differenza fra il prezzo di vendita all'interno e quello all'estero, sia all'entità del premio di esportazione. L'Inghilterra pure, aiutata dall'imponente movimento nazionalista contro la concorrenza straniera seguì dopo la guerra mondiale l'esempio dei paesi accennati applicando, nel maggio del 1921, dazî doganali compensatori su tutti i prodotti stranieri, eccettuati i viveri e le bevande, venduti nel Regno Unito a prezzi inferiori al costo di produzione. Il dazio non può eccedere il terzo del valore del prodotto straniero importato accertato dalla dogana, considerando come tale il prezzo cif del prodotto medesimo. Sennonché, come dicemmo, simili diritti compensatori, subordinati durante la sessione legislativa al voto del parlamento, non sono stati finora applicati. In ogni modo la legge britannica, per i concetti cui si inspira, per i limiti entro cui si contiene, per la procedura, è senza dubbio la più perfetta che si conosca.
Gli stati che vogliono adottare misure legislative contro il dumping devono necessariamente prenderla in considerazione. Quanto all'Italia, espedienti analoghi vennero proposti nel 1920 dalla Commissione reale per lo studio del regime doganale, specialmente a favore di talune grandi industrie essenziali alla difesa dello stato o non del tutto "innaturali" al paese. Secondo la deliberazione della commissione il governo era autorizzato, in caso di dumping, ad aggiungere al corrispondente diritto di confine un diritto supplementare e ad adottare tutte le altre misure atte a controbilanciare l'artificiosa concorrenza.
Sennonché l'anti-dumping racchiude il pericolo di esagerare la protezione accordata alle industrie nazionali a danno delle esportazioni agricole che urge, invece, estendere con ogni mezzo. Ma contenuto entro ristretti confini, l'eccezionale provvedimento non può essere negletto dai negoziatori dei trattati di commercio, poiché giova a produttori e consumatori. Se gl'industriali, infatti, privati di ogni difesa contro il dumping, abbandonassero il mercato agli stranieri, i prezzi da questi artificialmente ribassati sparirebbero immediatamente. I consumatori nazionali dovrebbero pagare gli stessi prezzi imposti dai sindacati intermazionali, dai cartelli e dai trusts, ai consumatori degli altri paesi. I soli avvantaggiati sarebbero pertanto i produttori stranieri dei quali i consumatori nazionali verrebbero ad accrescere i premî d'esportazione e i favori accordati alla loro industria. Il che adduce alla conclusione che ogni ritocco alle odierne tariffe doganali, deve farsi sempre con il maggiore accorgimento.
Il dumping dei cambî. - Le grandi emissioni di carta-moneta, cui furono costretti quasi tutti gli stati impegnati nella guerra mondiale, occasionarono una nuova forma di dumping, che per la durata e i caratteri si differenzia nettamente da quella normale sistematica sopra esaminata. È questo il dumping dei Cambî, o monetario o di valuta, tanto più vantaggioso per gli esportatori quanto più forte è il deprezzamento della moneta nazionale. In simili condizioni il prezzo del cambio agisce come un premio all'esportazione e un sopradazio all'importazione. Gli esportatori vendono all'estero a prezzi inferiori a quelli interni, compensando la perdita con i guadagni realizzati cedendo poi la divisa agl'importatori e a coloro che ne abbisognano per pagamenti all'estero, e acquistando successivamente con il provento ottenuto merci nazionali, il cui prezzo segue molto lentamente le fluttuazioni del cambio. In sostanza il dumping della valuta se arricchisce gli esportatori impoverisce la nazione, sulla quale ricade la perdita causata dalla svendita. Anche il beneficio è poi transitorio, ogni divario fra i prezzi interni ed esterni, di cui gli esportatori approfittano, non potendo durare a lungo, e cessa addirittura, con la stabilizzazione di fatto o legale della valuta deprezzata. Comunque, sia pure per periodi limitati, il dumping monetario funziona come un premio di esportazione, che può soffocare le industrie straniere rivali costrette a praticare prezzi superiori a quelli dei prodotti importati. Perciò si presero contro il dumping dei cambî durante l'inflazionismo bellico misure legislative, dirette a impedire la concorrenza delle merci dei paesi a valuta deprezzata.
In Europa, il Belgio e la Spagna applicarono ai prodotti dei paesi devastati dall'inflazione e speciahente della Germania, dei dazî addizionali, commisurati al deprezzamento della valuta rispetto all'oro o alla differenza fra i prezzi interni ed esterni; la Svizzera vietò addirittura l'importazione dei prodotti dei paesi sconvolti dall'inflazione ogni qualvolta essa minacciava l'industria nazionale; l'Inghilterra con l'anti-dumping bill del maggio 1921, neutralizzò, per la durata di cinque anni, mediante un dazio del 33,5% "ad valorem" il beneficio che alle importazioni straniere e in particolare a quelle tedesche, derivava dalla svalutazione della moneta. Il diritto addizionale non venne però applicato che a talune merci tedesche. Gli altri paesi europei rinunciarono ad ogni misura legislativa contro il dumping della valuta. Non così il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda, che durante l'inflazionismo usarono largamente e severamente di diritti doganali compensatori, commisurati generalmente alla differenza fra i prezzi fob delle merci nazionali e straniere. Gli stati americani e asiatici, benché autorizzati a difendersi contro il dumping dei cambî, non applicarono mai i dazî addizionali o i divieti d'importazione consentiti loro dalle leggi rispettive. L'Argentina, il Brasile, la Cina, il Giappone, seguendo l'esempio della Francia, dell'Italia, della Turchia, della Grecia e di altri paesi, non promulgarono contro il dumping dei cambî legge protettiva alcuna. Non per questo le industrie nazionali rispettive ne ebbero danno.
Concludendo, la politica doganale dei maggiori paesi del mondo non si curò punto o quasi del dumping dei cambî. Esso era infatti ritenuto generalmente come fenomeno transitorio destinato a sparire con la stabilizzazione delle valute deprezzate, alla quale nessuno dei paesi esportatori devastati dall'inflazione avrebbe all'ultimo, potuto sottrarsi, come infatti l'esperienza ha poi dimostrato.
Bibl.: Per la parte dottrinale cfr. A. Cabiati, Prime linee per una teoria del dumping, in Riforma sociale, 1914; P. Jannaccone, Il dumping e la discriminazione dei prezzi, ibid.; R. Ridolfi, Il dumping considerato dal lato pratico, ibid. Per la politica doganale e la legislazione relativa cfr. Société des Nations, Conférence Économique Internationale, 4-23 maggio 1927; Memorandum sur le d., Rapports et actes, II, Ginevra 1927.