ROMUALDO, duca di Benevento
– Figlio del duca longobardo di Benevento Grimoaldo I e di sua moglie Ita, venne nominato reggente del ducato dal padre quando costui si recò a Pavia per intervenire nella lotta di successione al trono accesasi nel 661 alla morte del re Ariperto e che contrapponeva i suoi due figli, Pertarito e Godeperto.
Grimoaldo era stato chiamato in soccorso da Godeperto, ma una volta giunto a palazzo lo uccise e costrinse alla fuga presso gli Avari Pertarito, impossessandosi egli stesso del titolo regio. Romualdo continuò pertanto a reggere il ducato beneventano per conto del padre.
Nel 663, essendo «ancora un giovanetto» («adhuc iuvenulus») come sottolinea Paolo Diacono (Historia Langobardorum V, 7), Romualdo dovette sostenere l’assedio della propria città a opera dell’imperatore romano d’Oriente Costante II, il quale era sbarcato in Puglia con un esercito per tentare la riconquista dei territori dell’Italia meridionale che, già appartenuti all’Impero, erano stati poi occupati dai Longobardi. Nella circostanza il giovane duca chiese l’aiuto del padre, il quale mosse subito da Pavia mettendosi in marcia verso il Mezzogiorno; quando ricevette la notizia che il re longobardo si avvicinava e che era giunto ormai all’altezza del fiume Sangro, Costante preferì levare l’assedio dopo aver stipulato un accordo con Romualdo e si diresse verso Napoli portando con sé come ostaggio una sorella del duca, di nome Gisa. Le truppe imperiali incassarono per mano longobarda due pesanti rovesci sul fiume Calore e nella località di Forino, in seguito ai quali non furono più grado di minacciare il ducato beneventano.
Poco tempo dopo, Romualdo, su richiesta del padre, sposò Teuderada, figlia del duca del Friuli Lupo, che aveva presidiato Pavia per incarico del re durante la spedizione contro Costante, ma che poi si era ribellato al monarca. Il matrimonio ebbe quindi l’esplicito scopo di contribuire a ripristinare l’equilibrio politico tra i Longobardi, ribadendo l’alleanza tra la famiglia del re e il potente ducato friulano. Dalle nozze nacquero tre figli, di nome Grimoaldo, Gisulfo e Arichis. In accordo con il padre, Romualdo favorì anche lo stanziamento all’interno del proprio ducato di un contingente di guerrieri bulgari agli ordini del loro capo Alzeco, che si insediarono in aree poco abitate e di sicura importanza strategica per il presidio dei valichi appenninici sulla direttrice per Benevento, nella zona compresa tra Isernia, Sepino e Boiano.
Fintantoché Grimoaldo visse, l’azione politica di Romualdo ebbe limitati margini di autonomia e si svolse sempre di concerto con le direttive paterne. Solo alla morte del genitore, nel 671, Romualdo assunse finalmente con pienezza di poteri l’ufficio ducale e si rese protagonista di alcune imprese politiche e militari di rilievo, la principale delle quali fu costituita da un’offensiva contro i possessi imperiali in Puglia che culminò nella conquista delle città di Brindisi e di Taranto, importanti porti sulla costa orientale, e dei vasti territori che da esse dipendevano. In questo modo, egli riuscì a incrementare in misura significativa l’estensione del proprio Ducato, fino al Bruzio e alla penisola salentina. Il più sicuro controllo della Puglia implicò anche quello dell’importante santuario di san Michele sul Monte Gargano, antica meta di pellegrinaggio e sede principale di un culto, quello dell’arcangelo, assai radicato fra i Longobardi, del sud come del nord.
Agli anni del ducato di Romualdo I la narrazione agiografica della Vita Barbati episcopi Beneventani, biografia del presule morto attorno al 683 cui vengono attribuiti grandi meriti nell’aver avvicinato i Longobardi meridionali al cattolicesimo, fa risalire significative vicende pertinenti la sfera religiosa. In particolare, questo testo ricorda come il duca e i suoi, seppur cristiani di nome, continuassero ad adorare di nascosto un idolo a forma di vipera celato nei sotterranei del palazzo. Inoltre, la Vita Barbati fa cenno anche a una particolare cerimonia che aveva luogo nelle immediate adiacenze della città di Benevento, in un’area allora nota come Votum, attorno a un albero sacro (in epoca posteriore identificato con il noce delle streghe di Benevento), presso il quale si svolgeva una vera e propria gara equestre conclusa da un banchetto tra i partecipanti. I cavalieri appendevano ai rami dell’albero delle spoglie di animale (sacrificato secondo riti pagani, a detta dell’agiografo), quindi si allontanavano dalla pianta fino a una certa distanza, per poi girarsi e spronare di nuovo i propri cavalli verso di essa, cercando di superarsi l’un l’altro nella corsa, con l’obiettivo di afferrare per primi la preda appesa, farla a pezzi e mangiarla.
La fonte agiografica interpreta queste due memorie come indici del persistere presso i Longobardi beneventani, ancora nella seconda metà del VII secolo, di credenze e riti pagani, da cui essi sarebbero stati liberati in via definitiva solo dall’apostolato di Barbato, la cui azione viene ovviamente esaltata dal racconto. In realtà, l’episodio della vipera sembra avere un puro valore metaforico (l’uomo, malgrado la conoscenza della vera fede, continua a indulgere al male, rappresentato da una serpe che evoca il Satana biblico) e non riferirsi a nessun culto pagano reale, di cui, in siffatti termini, non v’è altra traccia. Mentre la corsa di cavalli, che appare autentica, sembra soprattutto una pratica al contempo ludica e di addestramento, tesa a celebrare la coesione all’interno di un gruppo di guerrieri a cavallo tramite un rituale collettivo e pubblico, che permetteva di esibire la propria abilità nel cavalcare e che si chiudeva con la condivisione della preda-bottino in un banchetto comune. La conversione dei Longobardi beneventani venne anche fatta discendere, in alcune tradizioni, dalla salvezza garantita alla loro città, in occasione dell’assedio posto da Costante II, dalla Vergine Maria, per intercessione di Barbato (F. Ughelli, Italia Sacra, VIII, 1721, p. 18; Ex vita et translatione S. Pardi..., 1878, pp. 589 s.).
È certo, infine, che durante il ducato di Romualdo, contraddistinto da una notevole attività edilizia nella città di Benevento, si poté registrare l’erezione di numerose chiese e di monasteri collocati in aree suburbane (San Pietro post murum, Santa Maria in Castagneto, Santa Maria in Locosano), fondazioni attribuite soprattutto all’iniziativa della duchessa Teuderada, cui la Vita Barbati riconosce anche il merito di aver favorito la conversione del coniuge, secondo un preciso cliché del genere agiografico in riferimento ai monarchi barbari, che vuole le consorti farsi tramiti privilegiati dell’evangelizzazione dei mariti.
Romualdo morì nel 687, dopo sedici anni di ducato.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli, Italia Sacra, VIII, Venetiis 1721; Pauli Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 12-187; Vita Barbati episcopi Beneventani, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 555-563; Ex vita et translatione S. Pardi episcopi Lucerini auctore Radoyno, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 589 s.
N. Cilento, Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli 1971; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 89 s.; V. von Falkenhausen, I Longobardi meridionali, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, dir. G. Galasso, Torino 1983, pp. 249-364; S. Gasparri, Il ducato e il principato di Benevento, in Storia del Mezzogiorno, II, 1, dir. G. Galasso - R. Romeo, Napoli 1987, pp. 83-146; I Longobardi dei ducati di Spoleto e di Benevento. Atti del XVI Congresso internazionale di studi sull’alto Medioevo, Spoleto 2003; J.-M. Martin, La Longobardia meridionale, in Il regno dei longobardi in Italia. Archeologia, società e istituzioni, a cura di S. Gasparri, Spoleto 2004, pp. 327-365.