DROGONE da Parma
Sacerdote, fu "magischola" a Parma intorno alla metà del sec. XI. P probabile che abbia svolto la sua attività di docente presso la scuola della cattedrale cittadina dopo un Omodeo "presbiter et magister scholarum", il quale vi insegnò fra il 1032 e il 1035, ed un Rolando diacono, ivi attestato nel 1073. Tra i suoi discepoli furono Lamberto Seniore, nativo di Liegi e più tardi priore di S. Uberto, il filosofo Anselmo da Besate, dal 1047 cappellano dell'imperatore Enrico III, Sichelmo, studioso di scienze giuridiche, maestro di arti liberali, di retorica e di diritto, ammiratore di Cicerone e di Giustiniano, prevosto e poi arcidiacono della cattedrale di Reggio Emilia.
D. non deve essere confuso - come invece è avvenuto talora nella letteratura storica - con altri famosi contemporanei suoi omonim, quali il Drogone arcidiacono di Parigi amico e antagonista di Berengario di Tours; o il "Drogo magister" della Fecunda ratis di Egberto di Liegi. Del resto l'antroponimo "Drogo", allora abbastanza comune nell'area franco-tedesca, era assai raro in Italia.
Dallo spoglio dei non numerosi documenti archivistici del sec. XI relativi al territorio parmense sino a noi pervenuti si ricava che con ogni probabilità D. fu canonico del capitolo della cattedrale di Parma: un "Drogo presbiter", che deve quasi sicuramente identificarsi con D. a causa della sincronia, compare come teste fra i sottoscrittorì dì due pergamene rìspettivamente del 18 apr. 1039 e del 23 genn. 1057 ora conservate presso l'Archivio capitolare di Parma. Oltre a queste, poche sono le notizie a lui relative fornite dalle fonti note; e, d'altro canto, non ci è giunto alcuno scritto da lui composto o a lui attribuito. Troppo poco fondata, perché la si possa prendere in considerazione, l'ipotesi avanzata da alcuni studiosi, secondo cui sarebbe stato allievo di s. Pier Damiani (quest'ultimo, già studente di arti liberali a Parma fra il 1025 e gli anni intorno al 1032, sembra infatti sia tornato nella città emiliana come docente e vi sia rimasto per qualche tempo prima di ritirarsi a Fonte Avellana). Nel Chronicon (o Cantatorium) monasterii Andaginensis si narra che Lamberto Seniore venne condotto in Italia da Beatrice di Lorena, sposa del marchese di Canossa Bonifacio, e che da lei venne mandato a studiare ("philosophatus" dice il Chronicon) alla scuola di D., a Parma, facendo ritorno in patria solo dopo la morte di Bonifacio. Questa testimonianza conferma il fatto che D. insegnava effettivamente in quella città tra il 1036-37 ed il 6 maggio 1052. Ma è soprattutto Anselmo da Besate a fornirci ulteriori e più precise informazioni su D. e sul suo insegnamento.
Il cappellano di Enrico III aveva acquisito una solida preparazione nelle arti liberali e nella dialettica, ed era stato avviato, sui testi di Porfirio e di Boezio, allo studio della filosofia aristotelica (che aveva poi approfondito, tanto da venir soprannominato "il peripatetico") proprio alla scuola di D., al quale continuò a rimanere profondamente legato. Nella sua Rhetorimachia, composta a Parma tra il maggio del 1046 ed il maggio del 1048 e dedicata in un primo tempo proprio a D. (nella tradizione manoscritta, l'opera, poi dedicata ad Enrico III, compare sempre preceduta e seguita da due lettere indirizzate dall'autore al suo antico maestro), Anselmo da Besate ricorda ripetutamente D., che definiva "philosophus", "flos et Italiae decus", "venerabilis magister", "praeceptor inclitus", "summus doctor nullius scientiae indigens", "magistrissimus". Affermava inoltre che la Francia e la Germania risuonavano di lodi per lui e per il suo maestro, da quando vi aveva fatto conoscere i propri scritti. I termini usati da Anselmo da Besate per designare l'insegnamento e la scuola di D. - "Droconica disciplina", "Drogonis dogma", "Droconica, secta", "Droconica familia": (forse una "societas studentiuni"?) - sembrano accennare ad una vera e propria scuola di studi superiori, di tipo universitario o preuniversitario, per l'insegnamento delle arti liberali.
Sebbene non sia stato ancora risolto il problema di quale tipo di scuola superiore - primo germe della futura università - esistesse in Italia nel sec. XI (se si trattasse, cioè, di una scuola "episcopale" o "monastica", secondo le tesi del Manacorda, o se invece fosse una scuola flaica" e "municipale", è quasi certo che nell'Italia settentrionale e in particolare nell'Emilia si mantenne una continuità di cultura e di organizzazione scolastica incentrata nelle scuole vescovili, fornite di biblioteche, frequentate da laici e da religiosi: scuole in cui le arti liberali erano insegnate per lo più da chierici, e che si "laicizzarono" a partire dalla fine del sec. XII, ampliandosi in centri di studi giuridici (Gualazzini). È necessario dunque tenere presente il salto di qualità operato rispetto all'insegnamento tradizionale proprio da questi chierici docenti, in particolare nel campo della logica, della retorica, del diritto, considerate ormai scienze separate e indipendenti. Ripresi e commentati i testi dell'antichità classica (Aristotele, il Digesto) trascurati nell'alto Medioevo, le scuole di grammatica divennero allora propedeutiche a quelle di diritto, la retorica divenne esercitazione dialettica e strumento di attività sociale. Tutto ciò attirò intorno ai maestri scolari sempre più numerosi, che potevano venire anche da molto lontano.
Anche se sembra quanto meno azzardato affermare che a Parma esistesse intorno alla metà del sec. XI un vero e proprio "corpo insegnante" della scuola episcopale; anche se i "dotti" che appaiono citati nella Rhetorimachia - Aldeprando (altro maestro di Anselmo), Azzone, Geizone - si ritrovano anche in documenti contemporanei come membri del capitolo della cattedrale o come "iudices palatii", è tuttavia certo che a Parma si colgono segni di questa rinascita già molto prima che a Bologna insegnassero Pepone e Imerio. La preparazione letteraria e giuridica che si riceveva nella scuola di Parma permetteva di accedere alle cariche della corte imperiale, come era avvenuto per Anselmo da Besate. L'insegnamento di D., insieme con quello di tanti altri docenti - chierici, monaci e laici - spesso oggi scarsamente conosciuti, ha dunque valore non solo per se stesso, ma anche in quanto testimonianza della continuità della tradizione scolastica italiana anche nei secoli più difficili.
Fonti e Bibl.: Chronicon sancti Huberti Andaginensis, a cura di L. Bethmann-W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VIII, Hannoverae 1848, p. 573; Anselm von Besate, Rhetorimachia, a cura di K. Manitius, ibid., Quellen zur Geistesgeschichte des Mittelalters, II, Weimar 1958, pp. 64 s., 80e passim; G. Mariotti, Memorie e docum. per la storia dell'Università di Parma nel Medioevo, I, Parma 1898, docc. I-III, pp. 19, 34-39, 41 ss., 45, 53 (il doc. del 1057 è erroneamente datato 1056); G. Drei, Le carte degli Archivi parmensi dei sec. X-XI, II, Parma 1928, nn. XXXVIII e LVII, pp. 155 e 230; B. Hauréau, Singularités historiques et litteraires, Paris 1861, pp. 180, 188 s., 191, 194; E. Dümmler, Anselm der Peripatetiker nebst anderen Beiträgen zur Literaturgeschichte Italiens im elften Yahrhundert, Halle 1872, p. 5 n. 2 e passim; M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II, München 1923, pp. 708 s., 711-14; [G. Mariotti], L'Università di Parma. Relaz. al ministro dell'Istruzione, Parma 1923, pp. 14 s.; F. Novati-A. Monteverdi, Le origini, in Storia letter. d'Italia scritta da una Società di professori, Milano 1926, pp. 358 ss., 368-375; G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, I, 2, Milano 1936, p. 313; C. Prantl, Storia della logica in Occidente. Età medievale, I, Dal secolo VII al secolo XII, Firenze 1937, p. 128; L. Tondelli, Lo Studio di Sichelmo a Reggio nel sec. XI, in Studi e docum. della R. Deput. di storia patria per l'Emilia e Romagna, I (1937), pp. 25, 27-30, 32; U. Gualazzini, Ricerche sulle scuole preuniversitarie del Medioevo. Contributo d'indagini sul sorgere delle università, Milano 1943, pp. 219, 223 s., 227 s., 230, 240 ss.; La storia della Università di Parma dalle origini al secolo XV, in Corpus statutorum Almi Studii Parmensis (saec. XV), a cura di U. Gualazzini, Milano 1978, pp. XXII, XXXIV.