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BONIFACIO, Dragonetto

di Claudio Mutini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)
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BONIFACIO, Dragonetto

Claudio Mutini

Nacque nei primissimi anni del sec. XVI da Roberto e da Lucrezia Cicara, primogenito di altri quattro figli, tra cui era Giovanni Bernardino, il celebre scrittore riformato.

Il padre del B. prestava servizio presso la corte di Federico d'Aragona e anche il B. dové svolgere la propria attività nell'ambito della corte aragonese; come riferisce Fabrizio Luna nel Vucabulario di cinquemila vocabuli toschi (Napoli 1536) fu discepolo di Pietro Summonte, antico del Pontano, del Cariteo, del Sannazzaro, di cui è ben nota la solidarietà con Federico d'Aragona.

Scarsissime sono le notizie biografiche del Bonifacio. Fu in relazione con Cosimo Anisio e con il marchese di Pescara. Coltivò la poesia in latino, ma soprattutto quella in volgare in cui si distinse, fra i rimatori napoletani, per un buon numero di sonetti, canzoni e madrigali. Morì giovanissimo, forse nel 1526. L'indicazione è fornita da A. Terminio (Apologia dei tre seggi illustri di Napoli, Venezia 1581, p. 20: "Dragonetto morì di ventisei anni con grande dispiacere di tutti quelli che lo conobbero").

La produzione poetica del B. è abbastanza consistente. Tredici sonetti e tre canzoni furono pubblicate in Ilsesto Libro delle rime di diversi eccellenti autori nuovamente raccolte,et mandate in luce con un discorso di Girolamo Ruscelli, Venezia 1553;altri sette sonetti e tre madrigali pubblicò F. Trucchi nel terzo volume delle Poesie italiane inedite di dugento autori dall'origine della lingua infino al secolo decimosettimo, Prato 1847, pp. 114-123;dodici madrigali pubblicò F. Torraca (confondendo il B. con un omonimo vissuto al tempo di Alfonso il Magnanimo), in Rimatori napolitani del Quattrocento, Roma 1884, pp. 3438;il Percopo infine, in appendice a una diligente ricognizione erudita, pubblicava un altro gruppetto di rime tratte da due codici fiorentini.

Si tratta, nel complesso, di un più che modesto canzoniere, caratterizzato, per quel che riguarda sonetti e canzoni, da una imitazione petrarchesca che è tipica dell'ultimo Quattrocento napoletano, con giochi di parole e metafore fortemente rilevate che fanno pensare al Cariteo. Più congeniali all'indole del B: sembrano al Percopo i madrigali, improntati ad una più sommessa e piana eloquenza. Tuttavia, ad un più attento esame, anche questa sezione dell'attività del B. si rivela in sostanza priva di motivi originali, tale da non lasciare adito a un giudizio più che limitativo. Lo stesso vantato madrigale "Madonna, i' non so far tante parole", che rinuncia completamente al linguaggio arcadico e allontana i luoghi più tipici della poesia cortese, si rivela sciatto e mal congegnato, ovvio nell'invenzione e privo di quelle artificiose pointes che rendevano il "genere" particolarmente accetto in ambiente cortigiano. Sì che la produzione del B., se appare integra da quegli esiti di artificiosità prebarocca comuni a gran parte della poesia d'ambiente napoletano fra Quattro e Cinquecento, si presenta, d'altro canto, come una pura esercitazione letteraria, forse più facile, ma non certo più pregevole, della contemporanea rimeria di meno stretta osservanza toscana.

Manca, insomma, nel B. un impegno che superi la più generica attitudine a padroneggiare gli strumenti di una tradizionale retorica. E tuttavia egli dovette essere sufficientemente noto e apprezzato dai contemporanei (anche in ambiente toscano), se tra i codici e le stampe che conservano le sue rime il B. figura tra personaggi tanto più autorevoli: Bernardino Rota, Angelo Di Costanzo, Vittoria Colonna, il Tansillo, Bernardo Cappello, il Varchi. Ne parlarono con ammirazione Fabrizio Luna, Antonio Lerio Salentino (nell'Oronte Gigante, Venezia 1531, III, 24)e, su un piano di più vaste relazioni culturali, Ludovico Dolce nella lettera dedicatoria dell'Ifigenia (Venezia 1551), nonché presentando le Rime di diversi illustri Sig. Napolitani e d'altri nobilissimi intelletti nuovamente raccolte e non già stampate, Venezia 1552.

Bibl.: S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, Firenze 1580, p. 78; B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel regno di Napoli, III, Napoli 1749, pp. 445 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1651; E. D'Afflitto, Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, II, Napoli 1794, pp. 162 s.; C. Minieri-Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli 1844, pp. 61, 388; F. Torraca, Rimatori napoletani del Quattrocento, Roma 1884, E. Percopo, D. B. marchese d'Oria,rimatore napolitano del sec. XVI, in Giorn. stor. d. letter. ital., V (1887), 2, pp. 197 ss.; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 448.

Vedi anche
metafora Figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo aver mentalmente associato due realtà differenti sulla base di un particolare sentito come identico, si sostituisce la denominazione dell’una con quella dell’altra. È un procedimento di trasposizione simbolica di immagini; ... trovatore (o trovadore) Il poeta-musicista provenzale. Troviere è invece il poeta in lingua d’oil della Francia settentrionale. I due termini derivano dal verbo ‘trovare’ (trobar), d’etimo discusso; l’opinione prevalente riconnette la voce all’ambiente monastico: trobar sarebbe il succedaneo del basso latino tropare, ... letteratura In origine, l'arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s'intende comunemente per letteratura l'insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano ... poesia Arte di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con una certa approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile, nell’uso corrente e tradizionale, nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini ...
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