dovere (verbo)
È usato sia come transitivo che come verbo servile, frequente nell'opera di D., compreso il Fiore (due volte, in contesto singolare, nel Detto).
Per la morfologia valgano le seguenti osservazioni. Nel presente indicativo, la forma normale della I singol. è deggio (due volte, in rima; debbo compare solo quattro volte, una in Vn XXXIII 5 2, tre in Cv I XIII 10, IV V 2, VIII 14). La seconda persona suona di regola dei (tre volte in rima), ma quattro volte de' (sempre nel Fiore). La forma normale della III singol. è dee, oppure de' (nella Commedia, dee compare una sola volta [If XXVI 11], in rima con scalee e mee; in Detto 395 e 396 dee rima con sé stesso); de' figura solamente in poesia - fanno eccezione due casi del Convivio, II VI 4 e IV XXIX 7; ma mentre nella Commedia se ne trovano solo 5 esempi, tutti davanti a consonante (If XI 45, XXIV 78, Pg VI 39, XI 34, XVIII 63), nel Fiore questa forma si trova tanto davanti a consonante che a vocale, ed è l'unica usata, con la sola eccezione di CLXXIX 10 (dee). Notevole è anche l'esempio di Rime XCV 14, nel quale il verso finisce con seguer de' (in rima con verde): nelle Rime dubbie, una sola volta, si legge deve (XXII 3). Per la I plur., alla forma normale trecentesca dovemo (Convivio, Rime) risponde dobbiamo nel Fiore (solo due volte, CLXIII 5 e 6); la II plur. è dovete (due sole volte, nelle Rime); la forma regolare della III plur. è deono (deon), cui però si accompagna, tre sole volte, dien(no) (dienno, If XVI 118, in rima; dien, XXXIII 7 e Pg XIII 21). L'imperfetto indicativo è rappresentato nella I singol. dovea (Pg XXXIII 22 e Pd XXXI 40), nella II singol. dovei (If XXXIII 87) oppure dovevi (Pg XXXI 55); nella III singol. dovea (3 volte in rima; una sola volta dovieti, Pg XXXI 48) e nella III plur. doveano (una volta in Rime LI 10 e una in Cv III XII 9).
Il congiuntivo presente appare quasi sempre nella variante con -gg-. La I singol. suona deggia (soltanto due volte, sempre in Rime dubbie: XX 5 e XXIV 10); la II singol. deggi (Rime XLVIII 7) e deggie (Fiore CXLII 7); la III singol. di regola deggia; ma si notino le eccezioni debbia (una volta, in If XXIV 151, in rima) e debba, pure usato una sola volta (Cv II VIII 13). La III plur. suona deggian. Del congiuntivo imperfetto s'incontrano la I singol. dovessi (due volte nella Vita Nuova, sempre accompagnata da dire: ch'io... dovessi dire, XVIII 3 e XXXII 2, e una volta nella Commedia, Pd VI 27), oppure dovesse (una volta in Vn XX 1 e tre volte in Fiore XLII 8, XLVI 12, CXIX 3 [?]); la II singol. dovessi (due sole volte, tutte e due in Pg XXXI 27 e 30); la III singol. dovesse (in Cv IV XXVIII 13, in Rime LXXXIII 35 e due volte nel Fiore); la III plur. dovessero (una sola volta, in Cv III XII 10). Il condizionale presente mostra esempi antitetici delle forme in -ia e in -ebbe. La I singol. suona dovrei (dovre' in If VII 50 e Fiore CLV 12), oppure dovria (una sola volta, in Pg XXIII 72). La II singol. sempre dovresti (tre volte, in Pg VI 91 e 99, e Vn XII 11 7). Per la III singol. la scelta è divisa in parti quasi uguali tra dovria (8 volte, di cui 5 nella Commedia) e dovrebbe (oppure doverebbe; 7 volte, di cui 3 nella Commedia, in rima); si noti però che nella Vita Nuova si trova solo doverebbe (XV 8 e XXII 3), nel Convivio, dovrebbe (una volta, II VIII 4) oppure doverebbe (una volta, II IX 6), mentre nel Fiore si trova solo dovria (tre volte, LXXII 2, CXI 7 e CLXXIV 5): l'alternativa appare dunque limitata alla Commedia. Nelle Rime dubbie (III 5 12) una volta sola doveria. Per la II plur. s'incontrano le varianti dovreste (Vn XXXVII 8 12, Rime CVI 15 e Fiore CLXXV 13) e dovereste (Cv IV XXVIII 7). Per la III plur. la Vita Nuova ha una volta dovrebbero (XXXVII 2); nella Commedia appare solo dovrien (If VII 92, Pd II 55 e VII 129). Il futuro semplice figura due sole volte nelle opere dantesche (Fiore CLXXIX 4, CLXXX 2) con la III singol. dovrà. L'infinito presente dovere, in funzione di verbo ausiliare (modale), si trova due volte nel Convivio (III II 18 e IV XXVII 16), mentre il participio passato nella forma ‛ debito ' compare solo in funzione di aggettivo e di sostantivo.
Nell'uso di d. come verbo servile, accanto a ricordar col dativo di persona, in If XXIX 138 (e te dee ricordar), si ha certamente l'impersonale; in If XX 128 (ben ten de' ricordar) si può restare perplessi tra l'impersonale (de' = dee) oppure la II pers. (de' = dei), che figurerebbe però solo in questo caso nella Commedia. Dee impersonale con sonare si ha pure in Cv IV XXIII 16. L'identificazione della II e III pers. negli esempi del Fiore non è facile in tutti i casi (cfr. XXV 13, CLXXIX 5 e LIX 12). In Fiore CXIX 3 s'i' dovess'esser istrutto, la forma ‛ dovesse ' anziché ‛ dovessi ' per la I singol. si può desumere per analogia con gli altri due esempi di XLII 8 e XLVI 12. Non si può far a meno di segnalare la singolarità di molte forme esemplificate nel Fiore, che, pur nel numero relativamente limitato degli esempi, lo distingue dalle altre opere.
Dal punto di vista storico, la palatalizzazione delle forme deggio, deggia, deggi, deggian è normale. Accanto a esse si trovano forme senza -i- (debbo) o non palatalizzate (debbia) ma foneticamente corrette. D. preferisce inoltre nel pres. indic. le forme senza -v- (dei, dee, deono); da denno (per deono) si spiega dienno. Pure nell'imperf. indic. sono preferite le forme dovei, dovea, doveano. Le altre forme corrispondono in generale all'uso moderno (tenendo presente che nel condizionale si trovano tanto le forme sincopate che quelle non sincopate).
Sia dal punto di vista semantico che da quello sintattico, l'uso di d. presenta nell'opera di D. una tale ricchezza e varietà di aspetti, che spesso la classificazione ne riesce alquanto complicata. Il verbo compare in molte centinaia di esempi, e D. se ne vale per esprimere - spesso con grande efficacia e vivezza - una varietà di sfumature di pensiero che non resta per nulla inferiore alle possibilità che si offrono nell'uso moderno.
I. Come verbo transitivo, di solito è usato assolutamente.
1. " Aver l'obbligo di dare o, particolarmente, di pagare "; " essere giuridicamente obbligato a dare o fare ". Mentre non sembrano esserci esempi danteschi dell'uso proprio, concreto, non mancano quelli dell'uso figurato, tra cui uno celebre, in Pg XXI 102 E per esser vivuto di là quando / visse Virgilio, assentirei un sole / più che non deggio al mio uscir di bando; cfr. anche va 39.
2. Allo stesso campo semantico appartiene " avere un obbligo morale verso qualcuno ", " essere tenuto moralmente a osservare un certo atteggiamento (in cui si esplica di solito una qualche virtù o capacità "). Ricorre nella Commedia (Pg I 33 vidi presso di me un veglio solo, / degno di tanta reverenza in vista, / che più non dee a padre alcun figliuolo), ma anche, frequentemente, nel Convivio: è la reverenza che dee lo minore a lo maggiore, IV VIII 1; cfr. anche VIII 8, XXIX 7.
3. Quindi nel senso di " essere prescritto ", tanto assolutamente (ma quando [l'amore] al mal si torce, o con più cura / o con men che non dee, corre nel bene, / contra 'l fattore adovra sua fattura, Pg XVII 101; Sì com'io fui, com'io dovëa, seco, XXXIII 22) quanto accompagnato da un infinito: Pg VII 92 Colui che più siede alto e fa sembianti / d'aver negletto ciò che far dovea; Cv IV XXVIII 5 così a la nobile anima si fanno incontro, e deono fare, quelli... (cfr. 5. ss.).
4. " Ascrivere a qualcuno il merito (o la colpa) di un fatto "; " riconoscerlo come causa, promotore o agente di un determinato risultato ": Pg VIII 68 Per quel singular grado / che tu dei a Colui che...
II. Come verbo servile (modale) accompagnato di regola dall'infinito di un verbo (che può anche essere sottinteso).
5. Se il soggetto è una persona, ha il valore di " aver l'obbligo ", " esser tenuto ". L'uso è frequente nella Commedia (Ben si de' loro atar lavar le note, Pg XI 34; Ben ti dovevi, per lo primo strale / de le cose fallaci, levar suso, XXXI 55) e nel Convivio, spesso con il senso di un avvertimento o suggerimento di validità universale: nessuno dee l'amico suo biasimare palesemente, III I 6; e questo è lo nocchiero, a la cui voce tutti obedire deono, IV IV 5; l'uomo si dee traere a le divine cose quanto può, XIII 8 (traduzione di un passo di Aristotele); e ancora in Cv I V 5, II IV 16, VI 4. Altri esempi nella Vita Nuova (III 13), nelle Rime (LXXXIV 14, CVI 138), Rime dubbie XXIV 10. Cfr. inoltre il Fiore: CXIII 12 A cota' genti de' ciascun donare, e LXXXV 11, CXC 1.
6. Se il soggetto è nome di cosa, ha il valore di " essere moralmente giusto, prescritto, obbligatorio ": Cv IV XXIV 15 E però dice e comanda la Legge... che la persona del padre sempre santa e onesta dee apparere a li suoi figli; XXVII 1 quelle cose che la nobile natura mostra e dee avere ne la terza etade; cfr. per questo passo XXVI 3. In IV XXIII 16 ‛ dee ' è usato probabilmente in forma impersonale: sappia ciascuno che... sempre dee sonare nel cominciamento de la settima ora del die; inoltre Cv I VIII 7, II IX 6, III IV 13, IV XXIV 16, XXIV 17 (due volte).
7. Larghissimo uso ha il verbo d. nel senso di " essere opportuno, conveniente ", con valore attenuativo e spesso al condizionale, o in varianti di questo (imperf. indic.), per esprimere un consiglio, un suggerimento, una proposta; frequentissimo nel Convivio, dove prende anche carattere sentenzioso (IV 13 De li amici essere deono tutte le cose comuni; XXVI 14 lo vecchio... dee essere giusto; XXX 4 non si deono le margarite gittare innanzi a li porci); e ancora Cv I II 11, VIII 5, II I 5, VI 5, III X 9, IV VI 6, VII 8, XXIV 18, XXIX 6, XXIX 7, come conseguenza, naturalmente, dello stile dottrinale proprio del trattato (prima che vegna la prima vivanda voglio mostrare come mangiare si dee, II I 1; l'uomo buono dee la sua presenza dare a pochi e la familiaritade dare a meno, I IV 11; cfr. ancora I II 5, VIII 8, II X 2 e 5, III I 8, IX 3, IV XVIII 4, XXII 1, XXVI 14); ma non è estraneo neppure alla Vita Nuova: né quelli che rimano deono parlare così, XXV 10. Gli esempi nella Commedia si riferiscono a situazioni di carattere generico, universale (Ahi quanto cauti li uomini esser dienno / presso a color che non veggion pur l'ovra, / ma per entro i pensier miran col senno!, If XVI 118; innata v'è la virtù che consiglia, / e del'assenso de' tener la soglia, Pg XVIII 63; vedi se far si dee l'omo eccellente, / sì ch'altra vita la prima relinqua, Pd IX 41; cfr. anche If XVI 125, Pd XXIV 120) assumendo anche, talvolta, la forma di motto (la dimanda onesta / si de' seguir con l'opera tacendo, If XXIV 78); oppure si riferiscono ad aspetti autobiografici di D. Pg XXXI 58 Non ti dovea gravar le penne in giuso, / ad aspettar più colpo, o pargoletta / o altra novità. Dato il carattere didascalico dell'opera, è frequente in questo senso anche nel Fiore (LVI 9 Così de' far chi d'Amor vuol gioire; CLXIII 9 e 10 La femina de' aver amici molti, / e di ciascun si de' prender su'agio; e ancora XXV 13, XLIX 14, LVI 11, LVII 9, IX 12, CIX 4, CLX 9, CLXIII 5 e 6, CLXV 2, CLXVII 5, 7 e 11, CLXVIII 3, CLXXVII 5, CLXXIX 5 e 10, CLXXX 1 e 6, CLXXXI 2, CLXXXVI 7, CLXXXVII 2 e 7) e nelle Rime dubbie (nullo uom deve sua donna pregare / di cosa che può lei danno tenere, XXII 3; così ancora in Rime XCV 14, Rime dubbie XX 5; inoltre nel Detto 395).
8. Esprime anche una necessità o bisogno di valore assoluto, con costrutto impersonale, nel senso di " essere necessario ", " bisognare ", " occorrere ": Temer si dee di sole quelle cose / c'hanno potenza di fare altrui male, If II 88; in ciascuna dottrina si dee avere rispetto a la facultà del discente, Cv IV XVII 12; e così ancora in Cv I II 5, XIII 11, IV I 7, V 17 (due volte), IX 11, XIII 8; sì de' alla femina ben sovvenire, Fiore CLXXXVIII 3; cfr. anche CLXII 3, CLXIII 3, CLXXXVII 5; oppure è in forma personale indirizzata però all'universalità, come nell'affermazione della supremazia dell'imperatore: però che... per tutti dee essere obedito e ogni altro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade, Cv IV IV 7; oppure ha un pronome indefinito come soggetto (E creder de' ciascun..., Pd XIX 145). In particolare come restrizione del precedente, col valore di " essere tenuto " a un dato comportamento per adempiere la propria funzione naturale o sociale, i doveri legati a particolari professioni o attività, o per adeguarsi a un modello ideale. Anche questo significato trova frequente esemplificazione nel Convivio (ciascuno vero rege dee massimamente amare la veritade, IV XVI 1; in ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente dee intendere a la persuasione, II VI 6; cfr. anche II IV 3, III XV 8, IV VII 7 e 12, VIII 10, XXIV 14, XXX 2); nella Commedia appare collegato piuttosto alla particolare situazione di D.: Pd IV 89 E per queste parole, se ricolte / l'hai come dei, è l'argomento casso; cfr. anche Vn XIX 14 70 raccomandami a lui come tu dei (detto alla canzone, nel congedo); Cv IV XXVIII 3 come lo buono marinaio... così noi dovemo calare le vele de le nostre mondane operazioni.
9. È usato spesso per indicare l'obbligo o la necessità che sono determinati da validi argomenti o da buone ragioni. Numerosi gli esempi, tanto nella Commedia che nel Convivio: If XIV 16 O vendetta di Dio, quanto tu dei / esser temuta da ciascun che legge; XXVII 115 Venir se ne dee giù tra' miei meschini; XXXIV 36 S'el fu sì bel com'elli è ora brutto, / e contra 'l suo fattore alzò le ciglia, / ben dee da lui procedere ogne lutto; Cv I X 3 ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quella che...; II I 8 E in dimostrar questo, sempre lo litterale dee andare innanzi; VII 3 Onde, quando si dice l'uomo vivere, si dee intendere l'uomo usare la ragione; III IV 7 E così non dovemo lodare l'uomo per biltade... ché non fu ella di ciò fattore, ma dovemo lodare l'artefice; cfr. anche Pd XVI 85, e Cv I VIII 9, IX 3, II VII 3, VIII 2 e 16, XIII 30, III II 1, IV 4, 5 (due volte) e 13, IV II 8, V 20, VI 7, VIII 14, XX 3, XXIX 2; così pure in Rime L 23, Rime dubbie XVI 25.
10. Indica la necessità determinata da cause naturali, quindi ha il senso di " essere ragionevole, conforme alla natura delle cose ". Gli esempi sono numerosi nella Commedia: If VII 50 Maestro, tra questi cotali / dovre' io ben riconoscere alcuni; XIV 135 'l bollor de l'acqua rossa dovea / ben solver l'una [questione] che tu faci; XXVII 80 mi vidi giunto in quella parte / di mia etade ove ciascun dovrebbe / calar le vele; Pg XIII 21 Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci; / s'altra ragione in contrario non ponta, / esser dien sempre li tuoi raggi duci; Pd XXII 125 Tu se' sì presso a l'ultima salute / ... che tu dei / aver le luci tue chiare e acute; XXXI 40 ïo, che al divino da l'umano / ... era venuto / ... di che stupor dovea esser compiuto!; cfr. inoltre If XIX 3, Pd I 32 e XXXIII 47. Non mancano esempi nella Vita Nuova: XII 11 7 Tu vai, ballata, sì cortesemente / che sanza compagnia / dovresti avere in tutte parti ardire; XXIII 9 Morte, vieni a me... però che tu dei essere gentile, in tal parte se' stata!; e ancora in XV 8 e XXIII 27 74 e 76. Nel Convivio il verbo è adoperato con intenti espositivi e didascalici (però che la operazione de la vertù per sé dee essere acquistatrice d'amici, I VIII 12; le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi, II I 2 cfr. anche I IX 3, II VII 3, III IV 7) e perfino con effetto ironico: Non altrimenti si dee ridere, tiranni, de le vostre messioni, che del ladro che menasse a la sua casa li convitati, IV XXVII 14; e ancora II Voi che 'ntendendo 37, VII 3, IV VI 6, IX 10, XVIII 5, Rime LXI 5, Detto 396.
11. Affine al precedente è l'obbligo determinato da coerenza logica, che risulta in esempi del Convivio e della Commedia: Cv III XI 9 Onde non si dee dicere vero filosofo alcuno che...; IV XXIV 3 tanto quanto questa etade ha di salita tanto dee avere di scesa; e ancora I VIII 11, XIII 10, II I 10, VIII 13, III XI 10, IV VII 11, VIII 14, XVIII 2 e 5, XXII 8; qui andrebbe anche l'esempio di III II 5 se si accetta l'emendazione della Simonelli; If XXXIV 32 vedi oggimai quant'esser dee quel tutto / ch'a così fatta parte si confaccia; Pg XXXI 27 quai fossi attraversati o quai catene / trovasti, per che del passare innanzi / dovessiti così spogliar la spene ?; Pd I 136, VII 49. Nella Commedia appare anche in contesti particolari, come quando la premessa logica è affermata in maniera ipotetica (per che, se ciò ch'è detto è stato vero, / esser dovrien da corruzion sicure, Pd VII 129) o addirittura, come nell'esempio di Pg XXIII 72 io dico pena, e dovria dir sollazzo, la coerenza logica condurrebbe a una dichiarazione antitetica a quella che effettivamente vien fatta, dal che consegue un efficace effetto di contrasto a sottolineare la reazione del personaggio alla sua condizione (cfr. Pd II 55 certo non ti dovrien punger li strali / d'ammirazione omai); esempi anche in Vn XXIV 2, Rime C 65.
12. Ancora un'altra specie di obbligo o necessità è quella determinata da particolari circostanze, come negli esempi seguenti: If XV 118 Gente vien con la quale esser non deggio; Vn XXXIII 5 2 Quantunque volte, lasso! mi rimembra / ch'io non debbo già mai / veder la donna; Cv IV II 8 lo tempo è da provedere, sì per colui che parla come per colui che dee udire; cfr. Cv IV VIII 5, XIV 15, Fiore XXXIV 10 e CLV 13.
13. Con d. può essere espresso anche un forte desiderio, irreale o reale, o un'intenzione, in frasi asseverative o deprecative: Cv II X 1 Ora seguentemente si dee mostrare la sentenza; IV V 2 Udite: però che di grandi cose io debbo parlare; Vn XXXII 2 mi pregoe ch'io li dovessi dire alcuna cosa; XX 1; Fiore XLVI 12 ché fermo son, se morir ne dovesse, / d'amar il fior; LXXXIV 13 a Vergogna dean tal lastrellata / ched ella non si possa rilevare / ... e Sicurtà la deggia sì pelare; CXIX 3 ched i' vi pur contrò ogne mio fatto, / s'i' dovess'esser istruito intrafatto, / o morto a torto com furo i martiri; CLXXIX 4 dirà che la 'ndoman più di trenta / o livre o soldi le dovrà recare; oppure è in forma di comando o preghiera, esprimendo un consiglio: e richiese lui e pregollo che la dovesse riprendere, Cv IV XXVIII 13 Per tuo onor audir prego mi deggi, Rime XLVIII 7; E priegati... / che... questa ghirlanda / deggie portare, Fiore CXLII 7).
14. Frequente è poi l'uso di d. nel senso di " essere deciso ", " essere destinato " (secondo un disegno umano o per un fato superiore): tale è la condizione di Guido da Montefeltro, in If XXVII 109 Padre, da che tu mi lavi / di quel peccato ov'io mo cader deggio... Cv IV V 4 quella cittade che ciò dovea compiere, cioè la gloriosa Roma; cfr. anche III XII 9 e 10, IV V 5, X 11 e XXVI 13. Quindi è nel senso di " necessità ineluttabile, fatale " (Così foss'ei, da che pur esser dee!, If XXVI 11; la donna che per lui l'assenso diede, / vide nel sonno il mirabile frutto / ch'uscir dovea di lui e de le rede, Pd XII 66; però che quella che ti dee audire, / sì com'io credo, è ver di me adirata, Vn XII 11 11), ed è usato anche per indicare perifrasticamente il futuro: Pd IX 3 mi narrò li 'nganni / che ricever dovea la sua semenza; cfr. If II 18; Cv III XIV 7 nel secolo che dee venire; Fiore CXLV 7 Or vo' consigliar te, che de' sentire / il caldo del brandon; e ancora XLII 8 e CLXXX 2, Rime LXXXIII 35 come vendere / si dovesse al mercato di non saggi; cfr. Vn XVIII 3.
15. Dall'uso perifrastico si può derivare l'uso di d. per esprimere " probabilità ", " verosimiglianza ", come in Fiore LXIII 14 se vedessi sasso / la v'ella de' passar, netta 'l cammino. A questo valore semantico si ricollega direttamente un tipo di costruzione con ‛ sapere ' e verbi affini: If XXXIII 136 Tu 'l dei saper, se tu vien pur mo giuso; Pd V 51 però necessitato fu a li Ebrei / pur l'offerere... / come saver dei; Cv IV XXVII 16 questa etade... più belle e buone novelle pare dover savere per la lunga esperienza de la vita, dove il verbo è ulteriormente limitato da pare; Rime CIV 45 Sì come saper dei, / di fonte nasce il Nilo. Un uso parallelo si ha con ‛ ricordare ' (te dee ricordar, se ben t'adocchio, / com'io fui di natura buona scimia, If XXIX 138; cfr. XX 128), con esser ‛ palese ' (ben ti dovrebbe assai esser palese / l'eccellenza de l'altra, Pd XII 109), e con ‛ conoscere ' (E ciò conoscer voi dovete, Rime L 31).
16. Con quest'ultimo tipo di costruzione non si deve confondere la locuzione con ‛ sapere ' per introdurre una spiegazione o una narrazione: If XXXIII 13 Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino; Pg XXVIII 118 E saper dei che la campagna santa / ... d'ogne semenza è piena; Pd XXVIII 106 e dei saper che tutti hanno diletto; e similmente con ‛ credere ': Pd XXXIII 44 indi a l'etterno lume s'addrizzaro, / nel qual non si dee creder che s'invii / per creatura l'occhio tanto chiaro; Fiore XCVI 11 E questo sì de' creder ogne saggio.
17. Il verbo è usato ancora per esprimere in modo generico la possibilità, col senso di " essere in grado ", " avere occasione di ": If XXXIII 7 se le mie parole essere dien seme / che frutti infamia al traditor ch'i' rodo; Pg XXXI 54 se 'l sommo piacer sì ti fallio / per la mia morte, qual cosa mortale / dovea poi trarre te nel suo disio? Vn XXII 5 Chi dee mai esser lieta di noi, che avemo udita parlare questa donna così pietosamente ? Esempi si trovano anche nel Fiore: XVIII 4 non so al mondo sì gran dama / che di lui dovess'esser rifusante; CXI 2 e 3 in paradiso non de' attender pregio, / anzi vi de' attender gran dispregio.
18. In un contesto sintattico specifico, è frequente l'uso di d. al condizionale, per esprimere ipotesi possibile o irreale di un fatto che si poteva legittimamente attendere che accadesse. Così in Vn XXII 3 quale la mirasse, doverebbe morire di pietade; XXXVII 2 maladetti occhi, ché mai, se non dopo la morte, non dovrebbero le vostre lagrime avere restate (cfr. XXXVII 8 12); If VII 92 Quest'è colei ch'è tanto posta in croce / pur da color che le dovrien dar lode; e vedi anche XVI 42, Pg XIV 144, Pd II 40; così in un periodo ipotetico completo: Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: / ben dovrebb'esser la tua man più pia, / se state fossimo anime di serpi, If XIII 38. Altri esempi in Cv II IX 6 Ne li occhi di costei doverebbe esser virtù sopra me, se ella avesse aperta la via di venire, e in Fiore CXI 7 ché dar non credo dovria privilegio; cfr. anche Cv II VIII 4, Rime CVI 15 e Fiore CLXXIV 5. Un uso analogo è quello che esprime il divario fra ciò che effettivamente accade e ciò che sarebbe giusto che accadesse: Pg VI 99 O Alberto tedesco ch'abbandoni / costei... / e dovresti inforcar li suoi arcioni; cfr. VI 91; Cv IV XXVIII 7 là ove dovereste riposare, per lo impeto del vento rompete; Fiore LXXII 2 Or sì t'ho detto... la sentenza / di ciò che saggio amante far dovria; e anche CLXXV 13. In sostituzione del condizionale, si trova in analoghi contesti l'imperfetto indicativo ('l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta, If XXVI 96; se 'l conte Ugolino aveva voce / d'aver tradita te de le castella, / non dovei tu..., XXXIII 87; inoltre Pg XXXI 48, Rime LI 10), oppure l'indicativo presente (e piange là dov'esser de' giocondo, If XI 45); e ancora If XIV 129, Cv II IX 7 e III IV 8. I due modi, indicativo e condizionale, nello stesso esempio, in Fiore CLV 12 e 13 te voglio ricontare / la via ond'io dovre' esser andata, / e 'n che maniera mi dovea menare / anzi che mia bieltà fosse passata.
19. Si può ancora ricordare l'uso di d., in un contesto sintattico specifico, in proposizioni finali e consecutive: If XXIV 151 E detto l'ho perché doler ti debbia; Pd VI 27 al mio Belisar commendai l'armi, / cui la destra del ciel fu sì congiunta, / che segno fu ch'i' dovessi posarmi (cfr. Pg XXXI 30 e Fiore XXIV 13).
20. In una serie di esempi - tutti tratti dal Convivio - si trovano riuniti in un'unica proposizione i verbi ‛ potere ' e ‛ dovere ': III XII 9 la prescienza d'alquanti che a malo fine doveano venire non dovea né potea Iddio da quella produzione rimuovere: cfr. IV V 12 e XXIV 3; coi due verbi all'infinito in ulteriore subordinazione a pare, in III II 18 non pare potersi né doversi predicare.
Naturalmente non in tutti i casi la dichiarazione delle sfumature semantiche è univoca o necessariamente limitata a un solo valore. Nel passo di Pd XXVIII 52 se 'l mio disir dee aver fine, il contesto suggerisce due possibilità d'interpretazione, che non si escludono a vicenda: " è logico, naturale "; " è destinato ". Ci sono certamente molti altri casi, fra quelli utilizzati nell'esemplificazione, che ammettono una doppia interpretazione; in particolare, diversi potrebbero servire sia per esemplificare un certo valore semantico, sia per illustrare una costruzione sintattica specifica.
Sembra che in un solo caso un passo contenente d. sia decisamente controverso. In If XVI 102 quel fiume... / rimbomba là sovra San Benedetto / de l'Alpe, per cadere ad una scesa / ove dovea per mille esser recetto, la lezione dovea (accolta dal Petrocchi) è in concorrenza con dovria, che si legge nell'edizione del '21. La scelta fra le due lezioni è subordinata all'interpretazione del testo dal punto di vista storico (cfr. Petrocchi, ad l.); anche la sfumatura semantica di d. dipende dal valore che si dà alla parola recetto, e quindi dal legame sintattico fra questa parola e il verbo d. (si noti poi che, se si accetta la lezione dovea, il numero degli esempi con dovria nella Commedia si riduce a sette; cfr. il paragrafo sulla morfologia).