dover essere
Locuz. impiegata da Kant per indicare ciò che è richiesto dalla legge morale, indipendentemente da qualunque condizione di fatto e dall’intero ordine della natura. La legge morale è espressione della ragione nel suo uso pratico, cioè determinante per la volontà. La doverosità di ciò che la legge detta all’uomo, essere ragionevole ma finito, esposto quindi ai condizionamenti empirici dei moventi soggettivi e delle soggettive inclinazioni, si esprime in forma imperativa. Il d. e. indica perciò «il rapporto fra leggi oggettive del volere in generale e l’imperfezione soggettiva della volontà» (Fondazione della metafisica dei costumi). In quanto poi l’imperativo morale non è subordinato ad alcun fine, né è posto dalla facoltà di desiderare, esso si rivolge all’uomo in termini categorici, cioè incondizionati, e si formula quindi come un «devi perché devi!». È in forza di questo dovere, che viene dedotta la possibilità dell’azione propriamente umana: non la possibilità fisica di agire, che appartiene per Kant all’ordine delle cause e degli effetti, ma la possibilità morale di adempiere o meno alla legge, che qualifica l’uomo come ente morale. Fra il mondo dell’essere (Sein) – ossia di ciò che è così com’è, secondo le leggi della natura – e il mondo del d. e. (Sollen) – ossia di ciò che è prescritto dalla legge morale– si apre pertanto uno iato assoluto, lo stesso che Hume aveva rilevato, denunciando la fallacia naturalistica consistente nel trarre proposizioni prescrittive, cioè attinenti al dover essere, da proposizioni descrittive, relative a ciò che è.
L’opposizione fra Sein e Sollen fu criticata e respinta da Hegel. Ciò che deve essere, se davvero ha da essere, non può essere, per Hegel, così impotente da non realizzarsi anche. La razionalità di ciò che deve essere si comprova infatti, per lui, solo nella realtà e come realtà. Il tramonto dell’idealismo speculativo hegeliano e la fioritura delle filosofie neokantiane ha riportato in auge la distinzione di Sein e Sollen. Al neokantismo si è ricollegato il positivismo giuridico di Kelsen, con intenti sistematici: «Qualsiasi tentativo di rappresentare il significato di norme giuridiche mediante regole che descrivono il comportamento effettivo degli uomini – e, dunque, di esprimere il significato di norme giuridiche senza avvalersi del concetto di ‘dover essere’ – è destinato al fallimento» (Lineamenti di dottrina pura del diritto).