DORIA PAMPHILI LANDI, Alfonso
Nacque a Roma il 25 sett. 1851, dal principe Filippo Andrea e da Mary Talbot, e assunse con il titolo nel 1890, alla morte del fratello Giovanni Andrea, la responsabilità di cura dell'esteso patrimonio familiare. Dalla moglie, Emilia Pelham Clinton dei duchi di Newcastle, ebbe i figli Orietta, che sposò Febo Borromeo, Filippo Andrea (sub voce in questo Dizionario) e Giovanni Andrea.
Dopo l'occupazione di Roma il D. prestò per qualche tempo servizio militare volontario nell'Italia settentrionale. Rientrato nella capitale, svolse, come altri aristocratici romani, una particolare funzione di collegamento e di mediazione fra il principe ereditario Umberto e la sua consorte Margherita con la città sconosciuta. Era condotta a vari livelli sociali: da quelli aristocratici, non sempre facili da avvicinare per la sostenuta fedeltà al pontefice (il fastoso matrimonio della sorella del D. Olimpia con Fabrizio Colonna provocò, nel 1878, il primo ufficiale incontro dei "bianchi" con i "neri"), a quelli popolari, dove la famiglia, per antica tradizione, continuava ad esercitare un'importante opera di assistenza e di influenza. Alle vecchie istituzioni di beneficenza si aggiunsero i nuovi impegni: il D. fu il primo presidente della Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l'invalidità degli operai, vicepresidente della Croce rossa, tra i fondatori di una scuola per infermiere professionali e, per quanto riguardava specificatamente Roma, di un Istituto per fanciulli abbandonati, della Società anonima edificatrice di case per la classe povera e laboriosa e della Società di mutuo soccorso. Lontano dal Quirinale con l'ascesa di Vittorio Emanuele III, restò al fianco della regina madre Margherita con questa particolare funzione assistenziale: nel 1906 divenne presidente dell'Opera nazionale a beneficio degli operai italiani morti d'infortunio sul lavoro, che aveva contribuito a costituire nel 1896 in occasione delle nozze d'argento dei sovrani (aveva presieduto il Comitato d'onore).
Nel 1893 era entrato nel Consiglio comunale; membro della Congregazione di carità, si dimise nel 1897: dei problemi della città, soprattutto assistenziali, preferiva occuparsi, come era nella tradizione della aristocrazia romana, e specificatamente della famiglia, con interventi diretti, mantenendo, "con un certo fare romanescamente arguto e popolare" (Mariani), una grande influenza nella plebe. Tra i fondatori di una Associazione fra i Romani, che aveva tra i suoi compiti anche quello di tutelare le originali manifestazioni del carattere popolare, e membro della Società per il bene economico di Roma, era ai margini invece della scena politica, pur militando nell'Unione liberale: fermo sostenitore delle candidature di G. Baccelli, lo appoggiò anche nelle elezioni del 1913 con una Unione elettorale tra le Associazioni liberali costituzionali di Roma e provincia. Dagli archivi familiari risulta particolarmente attivo (tit. 1, sottotit. 48, fasc. 1 e 7) - attraverso gli amministratori delle sue terre, dalla Calabria al Viterbese - nell'appoggio ai candidati di parte liberale moderata. Sosteneva, con aiuti economici, associazioni contadine.
Nel 1892, nel quadro di rafforzamento del Senato voluto da Giolitti, era stato proposto per la nomina a senatore dal prefetto A. Calenda, che lo giudicava di "idee abbastanza larghe e liberali ... di sufficiente cultura" (Casella, p. 179), ma in Senato entrò nel 1894, per "censo" (si sentirà allora offeso dalla richiesta di documentazione della sua potenzialità economica: le indicazioni delle proprietà in Arch. Doria, tit. 1, sottotit. 48, fasc. 6), e in Senato non fu particolarmente attivo, suscitando l'ostilità del presidente D. Farini.1 che stigmatizzava il distacco degli alti ceti romani dal linguaggio politico e parlamentare del paese. Il D. rimase un personaggio di corte: in tale veste aveva continuato la tradizione familiare di ospitalità offrendo nel suo palazzo una fastosa accoglienza all'imperatore di Germania Guglielmo I, in visita ufficiale nel 1893, e fu membro della commissione per il monumento a Vittorio Emanuele II.
Interessante appare l'attività economica del Doria. Oltre alla conduzione del ricco patrimonio terriero (nel 1902 ricevette una medaglia d'oro per meriti agrari) e a un nuovo fiorente allevamento di equini, si coglie un deciso passaggio dalla scena bancaria e finanziaria. su cui si era inoltrata l'aristocrazia romana, a quella imprenditoriale: lo favoriva la ricca gamma delle sue conoscenze in Inghilterra.
Nell'archivio della famiglia risulta consigliere di varie società, fra cui quella del Lloyd italiano, con forti interessi edilizi ed industriali. Era nel Consiglio di amministrazione della Società svizzera per imprese d'albergo e impegnato in iniziative industriali: nelle sue carte appaiono alcuni progetti arrivati, anche se non conclusi, ad alta elaborazione, come la creazione a Firenze, in collaborazione con la Ford, di una fabbrica di pezzi di ricambio per autovetture. Lunga e vivace fu la sua lotta come presidente della Società italiana per il commercio colle colonie (1899; vicepresidente era F. Scheibler) per ottenere in concessione lo sfruttamento dell'Eritrea: dalla produzione agraria a quella mineraria, soprattutto aurifera, e allo sviluppo commerciale. Lo appoggiavano altri gruppi inglesi e varie banche, specialmente la Hambro, ma in Inghilterra era anche il nucleo principale della concorrenza nella compagnia fondata dall'ing. B. Nathan, fratello di Ernesto, con cui il D. finì per accordarsi, accontentandosi di una partecipazione alla Società eritrea per le miniere d'oro, fondata nel 1900 da Nathan e da E. Talamo. Nell'archivio Doria Pamphili, oltre alle relazioni per F. Martini, governatore della colonia Eritrea, e alle lettere di Scheibler, sono studi e progetti, fra cui anche quello di costruzione di una linea ferroviaria con un possibile collegamento con l'Egitto.
Il D. morì a Roma il 5 dic. 1914.
Aveva coltivato anche forti interessi artistici: accademico di S. Luca, presidente della Società italiana di archeologia e storia dell'arte, consigliere della Società degli amatori e cultori delle belle arti, membro dei Virtuosi del Pantheon, della Associazione artistica internazionale e del Comitato direttivo di varie esposizioni, aveva arricchito la galleria di famiglia. Lasciò anche uno scritto: Lettere di D. Giovanni d'Austria a G. A. Doria, Roma 1896.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Doria, tit. I, sottotit. 48 e 49, 99; Roma, Archivio centrale dello Stato, Giolitti, b. 8, f. 112; L. Mariani, necrol. in Ausonia, VIII (1913, ma uscito nel 1915), s. n.; A. Torlonia, In memoria del principe D.A.D., Roma 1915; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad Indicem; G. Manacorda, Il primo ministero Giolitti, in Studi storici, III (1962), p. 81; M. Casella, Le elezioni politiche del 1892 a Roma, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XCVIII (1975), pp. 177 ss.; A. Aquarone, La politica coloniale italiana dopo Adua: F. Martini governatore in Eritrea, in Rass. stor. del Risorg., LXII (1975), p. 471 n. 57; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento, Bologna 1985, ad Indicem; Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 1062; Diz. del Risorg. naz., II, p. 956. Per la collezione artistica, cfr. La Galleria Doria Pamphilj a Roma, a cura di E. A. Safarik-G. Torselli, Roma 1982.