DORIA, Biagio, detto Gino
Nacque a Napoli il 26 ott. 1888.
Il padre, Eduardo, esercitava la professione di avvocato; così, il nonno paterno, anch'egli di nome Biagio. La madre, Giuseppina Minieri, apparteneva ad una ricca famiglia di Massa Lubrense. Dalla madre e dalla famiglia rnaterna derivò al D. un tenero attaccamento alla penisola sorrentina. In casa dell'avvocato Eduardo, che era nello stesso palazzo dove da ragazzo aveva abitato Benedetto Croce, esisteva una ricca biblioteca, formata prevalentemente da testi giuridici e da classici italiani, latini e greci, che si veniva progressivamente arricchendo. Uno dei fornitori era don Gennaro Cioffi, che gestiva in via Trinità Maggiore una famosa libreria d'antiquariato frequentata da studiosi di riguardo. Un tempo l'aveva praticata anche Luigi Settembrini.
La biblioteca paterna e la libreria Cioffi furono i primi luoghi di richiamo della fantasia del giovanissimo Doria. Ma il ragazzo restava anche incantato dagli animali imbalsamati, quali quelli esposti nella bottega del De Felice, nei pressi di piazza del Gesù. Era questa una realtà speculare rispetto a quella della casa paterna. Le faceva da scenario la Napoli "archeologica", come il padre del D. chiamava la Napoli storica, le cui bellezze egli cercava di fare apprezzare ai figli, soprattutto con lunghe passeggiate durante le ore libere. Il D. e il più giovane fratello Mario imparavano così a conoscere i singoli cortili, se non la storia delle singole pietre nelle zone cruciali della città. Ancora all'ambiente familiare risale l'ammirazione per uomini come i D'Ovidio, i Kerbaker, gli Zumbini. Ma presto all'interno di questi spazi cominciarono ad aprirsi interstizi di curiosità, di interrogazioni, di vita.
Le libere letture giovanili di Shakespeare, Voltaire, Rousseau, miscelate con curiosità riguardanti il campò della fisiologia e dell'embriologia, portarono presto il D. ad assumere un atteggiamento di piena autonomia, se non di laica diffidenza verso l'ordine costituito, in particolare verso la religione. Di supporto a tale processo furono la conoscenza e la frequentazione di storici, letterati e bibliofili. Essi erano G. De Blasiis, che presiedeva la Società napoletana di storia patria, Salvatore Di Giacomo, che lavorava alla Biblioteca Lucchesi Palli, il "diabolico" libraio Casella, che aveva negozio a piazza Municipio e aveva contatti e dialoghi stimolanti con autori stranieri.
L'impazienza e un forte desiderio di venire a contatto col mondo in tutte le sue contraddizioni indussero il D. a non continuare la professione di avvocato del padre e del nonno e a darsi a un mestiere molto più avventuroso e moderno, il giornalismo. Recatosi nell'America del Sud, vi imparò bene lo spagnolo e il portoghese e dal 1910 al 1918 collaborò a vari giornali (il Giornale d'Italia di Buenos Aires, il Fanfulla di San Paolo, il Corriere italiano di Rio de Janeiro). Tornato in Italia per richiamo militare, si rese conto che un'epoca era finita, insieme con le sue speranze e le sue follie, e che stava delineandosi una nuova cultura brutale, priva di tabù, rozza, nata dall'irrompere sulla ribalta della storia della società di massa. A lui sembrò di restare un superstite e un testimone disincantato. Ma non fu fiacco o rinunciatario. Collaborò come critico musicale e drammatico dal 1919 al Giornale della sera napoletano e poi al Giorno di Matilde Serao, di cui divenne redattore capo. Ostile a prendere la tessera del Partito nazionale fascista, nel 1927fu radiato dall'albo dei giornalisti, poiché un suo articolo, Romolo, Remo e C., apparso sulla Fiera letteraria diretta da U. Fracchia il 20 febbr. 1927, aveva profondamente irritato Mussolini.
Appartatosi sdegnato dalla scena pubblica, visse tra ricerche erudite e storiche e prove narrative, confortato dal quotidiano e affettuosissimo dialogo con Benedetto Croce, che costituiva uno dei fondamentali assi di aggregazione dell'antifascismo in Italia. Ebbe anche l'amicizia e la stima di A. Omodeo, F. Flora, L. Russo, M. Vinciguerra, R. Pane, R. Ricciardi, A. Parente, F. Chabod, C. De Lollis, E. Guardascione, T. de Marinis.
Alla caduta del fascismo, fu vicedirettore del primo giornale napoletano uscito nella città libera, Il Risorgimento, diretto da Floriano Del Secolo. Ma la nuova stagione giornalistica non fu né lunga, né intensa. Ormai, nel D. prevalevano definitivamente gli interessi della ricerca e della produzione letteraria, che si erano irrobustiti durante il ventennio fascista. In lui, tuttavia, non scomparve mai l'elzevirista, anzi il saggista dagli interventi lucidi, puntuali, fulminanti. Ma si trattò, dal secondo dopoguerra fino alla morte, di un'inclinazione tenuta fortemente sotto controllo.
Assunta nel giugno del 1945 la direzione del Museo nazionale di S. Martino al Vomero, il quartiere che si veniva selvaggiamente espandendo e dove egli abitava con la famiglia, attese ad una puntigliosa, appassionata ed esemplare sistemazione del materiale ivi raccolto e non tutto bene valorizzato e conservato. In quest'opera, egli si mosse con sicurezza e finezza insieme, ma non senza l'angoscia di non poter disporre degli aiuti e dello spazio adeguati a dare collocazione dignitosa a tutto il materiale, fra cui poté fare anche splendide scoperte (un pacco di vedute di Gaetano Gigante, il padre di Giacinto, scene popolari di Achille Vianelli, inediti di Domenico Morelli). Nel 1961 fu nominato soprintendente alle Gallerie ed Opere d'arte della Campania. Nel 1967 ebbe il premio Napoli per due fondamentali opere pubblicate l'anno prima: Murat re di Napoli e Mondo vecchio e nuovo mondo.
Trascorse gli ultimi anni nella sua casa di via Timavo al Vomero, da dove guardava verso i Campi Flegrei. Circondato dall'affetto di amici, bibliofili, scrittori, eruditi, editori, continuò i suoi studi fino alla fine, di tanto in tanto rilasciando generose note prefative a cataloghi per mostre di pittura, a traduzioni, a stampe e a ristampe di opere essenziali per la storia della cultura napoletana.
Morì a Napoli l'11 genn. 1975. Per sua volontà fu sepolto nel cimitero della "materna" Massa Lubrense.
Come autore il D. - che firmò sempre col nome Gino - non fu molto prolifico. Il suo lavoro maturò sempre in quel clima di sorvegliato distacco dalle passioni e di divertita insofferenza per ogni prosopopea che avvolse la sua vita e che fu comune anche al Ricciardi. Con questo, infatti, che fu il suo editore preferito, egli intrattenne per un lungo corso di anni un intimo scambio d'idee e di sentimenti e sottoscrisse un sofisticato atteggiamento di scetticismo verso le dimensioni maggiori e i valori assoluti. Dietro questa facciata, però, il D. impegnò tutta la sua vita nell'attività intellettuale, abbracciando numerosi campi con una competenza rara. Fu bibliofilo, saggista, storico, esperto di arti figurative, erudito e squisito scrittore.
Come biblìofilo, egli raccolse e costituì nella sua casa una ricca biblioteca rigorosamente selezionata, divisa per settori: gli storici, i libri stampati a Napoli, i classici, i viaggiatori. Essa, donata alla sua morte alla Biblioteca nazionale di Napoli, presenta potenzialità ancora da attivare e da utilizzare da parte degli studiosi.
Nel campo della bibliografia intervenne con note e saggi concernenti la biblioteconomia e l'editoria napoletane, quali la Bibliografia della penisola sorrentina e dell'isola di Capri, con quattro appendici, Napoli 1909; Catalogo generale di una biblioteca da vendere, ibid. 1932; Ildistinto bìbliofilo, premesso al catalogo di una vendita all'asta della libreria del Paradiso, Roma 1953; Storia dell'editoria napoletana, in Storia dell'editoria italiana, a cura di M. Bonetti, Roma 1960, I, pp. 355-382. Ma il suo capolavoro, in questo campo, resta Iprimi quarantacinque anni della casa editrice Ricciardi, Milano-Napoli 1952, un contributo essenziale alla storia dell'omonima casa e della cultura napoletana del primo Novecento.
Al Sei, Sette e Ottocento napoletano il D. dedicò accuratissime ricerche storiche ed erudite, che lo portarono ad affrontare questioni di microstoria. Diffidente verso i racconti e i resoconti di carattere totalìzzante o per linee e schemi generali, volle tenersi a contatto con la civiltà delle popolazioni napoletane, così nelle situazioni più varie della realtà quotidiana, come di quella illustre, senza mai fare concessioni a banalità e a luoghi comuni. All'intensità e alla quafità di quella vita, nel cui studio impegnò la sua esistenza e la sua intelligenza, egli cercò di giungere attraverso una scientifica, ma anche arguta interrogazione della toponomastica, come dell'urbanistica e di tutti i documenti che riguardassero la vita dell'uomo, dalle feste alle giostre, alle esequie, alle cacce, alle rappresentazioni sacre, dalle epidemie alle ruberie dai monasteri e dalle torri alle prigioni, ai lupanari, alle caserme, alle fortificazioni. Calati perfettamente in questa prospettiva sono due importanti lavori: Storia di una capitale. Napoli dalle origini al1860, Napoli 1936 (3 ed. Napoli-Milano 1958 e successive edizioni) e Le strade di Napoli, Napoli 1943 (2 ed. Milano-Napoli 1979).
Nel reticolo di indagini accuratissime su aspetti minori e minimi, con una pregiudiziale sospensione di giudizio sulle conclusioni a cui è pervenuta la precedente storiografia, si collocano gli altri saggi e le altre opere, tra cui di maggiore significatività sono: Del colore locale e altre interpretazioni napoletane, Bari 1930; La vita e il carteggio di Girolamo Ulloa, Napoli 1930; Napoli e dintorni. Guida storica e artistica, ibid. 1950; Alcune schede di erudizione galante, ibid. 1959; Ilnapoletano che cammina e altri scritti sul colore aggiuntavi la canzone delGuarracino, Bari 1957; La capitale, in G. Doria-F. Bologna-G. Pannain, Settecento napoletano, Torino 1962, Il Museo e la certosa di S. Martino, Napoli-Cava dei Tirreni 1964; La Floridiana. La Villa, il Museo, ibid. 1965; Murat re di Napoli, ibid. 1966, Mondo vecchio e nuovo mondo Napoli 1966; Via Toledo, Napoli-Cava dei Tirreni 1967. Il D., però, non guardò solo ad uno scenario storico di carattere municipale. Ebbe notevoli e polemici interessi anche per il Risorgimento (cfr. Vita di Cavour, in Civiltà moderna, I [1929]) e per i rapporti fra Italia e America Latina (cfr. I soldati napoletani nelle guerre del Brasile contro gli Olandesi (1625-1641), Napoli 1932, e Storia dell'America Latina (Argentina e Brasile), Milano 1937).
Fu anche editore e traduttore. Tra i suoi maggiori contributi sono: La canzone del Guarracino, Napoli 1933; V. Imbriani, Critica d'arte e prose narrative, Bari 1937 (con importantissimo saggio bibliografico); A. Dumas, Il Corricolo, Napoli 1950 (traduzione e note sono del D.); W. Hamilton, Campi Phlegraei. Osservazioni sui vulcani delle due Sicilie, Milano 1962; F. Schlitzer, Salvatore di Giacomo. Ricerche e note bibliografiche, Firenze 1966. Un apporto minore, ma non irrilevante, il D. dette anche all'edizione dello Zibaldone leopardiano (2 voll., Milano 1940), di cui curò oltre diecimila schede per l'indice. L'attività letteraria del D., però, include anche prove narrative. Pubblicò un romanzo breve (Un brav'uomo, Napoli 1941) e qualche racconto fantastico. In Sogno di un bibliofilo (ibid. 1944), ad esempio, rivela una vena onirico-fantastica degna della migliore letteratura di carattere surreale.
Ma non solo nelle prove narrative specifiche egli si rivela scrittore di talento, robusto, dal gusto sofisticato, un po' atticizzante e pertanto disposto ad accogliere anche qualche preziosità arcaizzante. Non per nulla uno dei suoi autori preferiti fu Vittorio Imbriani, un anticipatore dello sperimentalismo letterario del Novecento. Dovunque, nei suoi scritti di erudizione, come saggistici, storici, bibliografici, nelle sue note giornalistiche, tra cui converrebbe spigolare e che converrebbe raccogliere per filoni come e stato fatto per Viaggiatori stranieri a Napoli, pref. A. Ghirelli, Napoli 1984, il D. mostra una forza espressiva vigorosa, a cui sono sottese l'arguzia e l'ironia, ma su cui sorveglia solare una ferma disciplina mentale.
Fonti e Bibl.: Per la ricostruzione della biografia e dell'opera del D. è essenziale la consultazione del fondo Gino Doria presso la Biblioteca nazionale di Napoli e dell'Archivio del Museo nazionale di S. Martino. Nel fondo citato è la raccolta, contenuta in una cartella in vol. in 4º, di documenti e articoli, curata dal D. stesso col titolo Ricordi bio-bibliografici 1915-1943. La bibliografia risulta scarna e basata più su scritti di carattere testimoniale che critico. Si veda anzitutto la nota autobiografica Peccata iuventutis meae, in Ilnapoletano che cammina..., Bari 1957, pp. 184-205; inoltre F. Flora, Abbozzo per un profilo di G. D., in Letterature moderne, XI (1961), 3, pp. 343-346; F. Isabella, Ricordo di G. D., Napoli 1984; A. Ghirelli, pref. a G. Doria, Viaggiatori stranieri a Napoli, Napoli 1984; B. Nicolini, Profilo di G. D., Napoli 1985.