DORATURA
Ricopertura con oro di oggetti in altra materia. Tecnica già nota in Egitto alla metà del IV millennio (collana nei Musei di Berlino del 3500 a. C. circa; raffigurazione di un battitore d'oro in una tomba di Saqqārah databile al 2500 a. C. circa e in un'altra del 1450 a. C., circa, ecc.). Il sistema più antico consisteva nell'impiego di foglie d'oro (v. brattea) martellate sulla superficie a cui dovevano aderire (greco: πέταλον, πέταλα χρῦσα; latino: bractea, brattea e l'artefice in greco: πεταλουργός o πεταλοποίος; in latino: brattiarius (v.), aurifex brattearius; aggettivo: bratteatus = ricoperto con foglia d'oro). Le foglie erano di grande finezza: secondo Plinio (Nat. hist., xxxiii, 61) su un'oncia d'oro ve ne erano 750 delle dimensioni di 4 pollici quadrati (circa 1/3000 mm). La foglia d'oro veniva ottenuta mediante battitura fra due lamine di rame (Dioscoride, v, 91). Di tale tecnica dovettero servirsi i Greci dell'età omerica per dorare le corna dei bovini da sacrificio, gli elementi architettonici, il mobilio, le armi, ecc. (Odissea, iii, 384, 426, ecc.; Iliade, X, 294, ecc. ove è impiegato il termine περιχέειν). Probabilmente è la stessa tecnica medievale descritta da Theophilus (sec. XXII?) nel suo trattato (Schedula divers. artium: de petula auri, i, 23). Un rilievo del Vaticano (W. Amelung, Sculpt. Vatic. Mus., ii, Berlino 1908, p. 444, n. 262 a, tav. 52) illustra l'opera di un aurifex brattiarius, come indica l'iscrizione: l'artefice tiene con la sinistra una lastra o un foglio su un incudine e con la destra lo batte col martello. Accanto a lui sono i pacchetti già pronti di foglie d'oro. Con foglia d'oro vennero dorate anche le statue fino in epoca romana e molte di quelle che gli antichi chiamavano d'oro erano solo ricoperte del prezioso metallo. Analoga alla doratura a foglia era quella con lamina d'oro (greco: λεπίς, χρυσαῖ λεπίδες; latino: lamina) con la differenza che questa era meno sottile della foglia. Se la superficie da dorare era piatta, l'adesione veniva ottenuta praticando sottili solchi sull'oro; se invece era tondeggiante, gli angoli venivano saldati; qualora invece la superficie presentava delle asperità la lamina o la foglia le ricopriva ed era accuratamente martellata entro di esse (come nel caso di un gruppo di pugnali intarsiati micenei del museo di Atene). In tal modo anche senza un legante meccanico o chimico l'adesione era perfetta. L'oggetto cosi dorato si chiamava in greco ἐπίχρυσος ed in latino inauratus.
Meno costosa perché richiede una minore quantità di oro e più duratura era la doratura a fuoco che poteva venire eseguita sia facendo aderire col calore la foglia d'oro al metallo e strofinando poi con l'ematite o altra pietra di politura, sia con amalgama che con collanti. L'amalgama, che veniva impiegato per la doratura di oggetti metallici si fonda sulla lega dell'oro con un metallo liquido a temperatura normale (mercurio) ed era una tecnica certamente già nota ai Romani (Athen., Deipnosoph., v, 205, b; Plin., Nat. hist., xxxiii, 64, 100; Vitruv., vii, 8, 4). Per dorare oggetti non metallici si impiegava a fuoco un collante che per il legno era un mordente detto leukophòron, formato da una miscela di rubrica di sinopia, ocra e terra bianca (Plin., Nat. hist., xxxiii, 64; xxxv, 36), per il marmo e per altre materie era bianco d'uovo. L'oggetto si diceva allora in greco κατάχρυσος e in latino subauratus.
Il più importante esempio di doratura a foglia è il colossale Ercole della Rotonda del Vaticano. Conservano ancora sensibili tracce di placcatura aurea i quattro cavalli bronzei di S. Marco a Venezia, il frammento di Cavaliere proveniente dal teatro di Ercolano conservato al museo di Napoli, la Vittoria ed il Regolo Prigioniero del museo di Brescia, la testa di Atena del museo di Berlino n. 6 (Beschreibung Ant. Skulpt., Berlino 1891, p. 8), due teste del Museo Nazionale Romano, una femminile, n. 66177 ed una maschile, n. 66179, la statua di togato da Ponte Sisto, pure al Museo Nazionale Romano, la statua maschile del museo di Brescia, n. 34, la colossale statua di Eracle dal Foro Boario conservata al Museo Capitolino, ecc. Probabilmente ad amalgama venne invece dorata la statua equestre di Marc'Aurelio del Campidoglio e quattro ritratti dell'epoca di Diocleziano conservati al museo di Brescia.
Rimangono altresì molti oggetti dorati in terracotta (vasi a partire dalla fine del V sec. a. C.), gesso e anche in legno (questi ultimi rinvenuti negli scavi della Russia meridionale).
Un particolare caso di doratura è quella del vetro (v.) che fu una scoperta egiziana; famosi erano i vetri dorati (ὑάλινα διάχρυσα) di Tolomeo Filadelfo (284-246 a. C., vedi Athen., Deipnosoph., v, 199 f). Ma i migliori vetri dorati appartengono all'epoca imperiale romana: del III sec. d. C. è una serie di dischi vitrei dorati con ritratti virili o femminili o gruppi familiari (museo cristiano della Biblioteca Vaticana, Victoria and Albert Museum a Londra, museo di Brescia, ecc.); tra il III ed il V sec. d. C. si scagliona una serie di coppe dorate con soggetti mitologici, lotte gladiatorie e scene di caccia, fra cui si ricorderà la splendida tazza trovata a Tresilico conservata al Museo Nazionale di Reggio Calabria, e datata al III sec. d. C. ed il grosso gruppo di vetri dorati cimiteriali cristiani. La foglia d'oro graffita veniva sia saldata a fuoco fra due lastre di vetro, sia applicata con un collante sul fondo a cui veniva sovrapposto a freddo un altro fondo, operazione a cui seguiva l'eguagliamento dei due vetri uniti con la ruota di smeriglio. Non molto dissimili le tecniche descritte dai trattatisti medievali, Heraclius (sec. X) nel De coloribus et artibus Romanorum (de fialis auro decoratis [17]) e Theophilus (sec. X-XII?) nella Schedula (ii, C. xiii), che consistevano nel porre la foglia d'oro sul vetro applicandovi poi sopra del vetro fuso molto chiaro stemperato con acqua e mettendo poi tutto nuovamente nel forno: tecniche che probabilmente erano già note in epoca romana e furono quelle impiegate anche per le tessere auree dei mosaici.
Bibl.: H. Blümner, in Pauly-Wissowa, VII, 1912, cc. 1570-1578, s. v. Gold; L. de Ronchaud, in Dict. Ant., I, 1877, pp. 574-578, s. v. Aurum; H. Blümner, Technologie und Terminologie, Lipsia 1886, IV, pp. 302-316; A. Neuburger, Die Technik des Altertums, Lipsia 1919, p. 33 ss.; per i pugnali micenei: W. Lamb, Greek and Roman Bronzes, Londra 1929, tav. I, pp. 8-9; per i bronzi dorati: K. Kluge-K. Lehmann Hartleben, Die antiken Grossenbronzen, Berlino-Lipsia 1927; per i vetri dorati: A. Kis, Das Glas im Altertums, Lipsia 1908, III, pp. 807-900; R. Garrucci, Vetri ornati di figure in oro, Roma 1864; G. Moretti, Antica tazza di vetro con figure e fregi d'oro, in Boll. d'Arte, VII, 1913, pp. 226-32; C. Albizzati, Vetri dorati romani del III secolo d. C., in Röm. Mitt., XXIX, 1914, pp. 240-259; id., Vetro romano dorato del Museo di Arezzo (Studi d'Archeologia romana), in Ann. R. Univ. Cagliari, 1926-1927, pp. 18-20; F. Rossi, Vetri dorati cristiani nel Museo Nazionale di Firenze, in Miscell. St. Arte in onore di I. B. Supino, Firenze 1933, pp. 1-22; C. R. Morey, The Gold-Glass Collection of the Vatican Library, Città del Vaticano 1959.