Doppiaggio
L'avvento del sonoro colse impreparate le strutture del cinema italiano, che non era in grado di far parlare i suoi film. Nell'aprile del 1929 uscì in Italia The jazz singer (1927; Il cantante di jazz) di Alan Crosland e in quello stesso anno il governo fascista decretò che le pellicole straniere non potevano circolare in lingua originale. Con l'alibi della difesa autarchica della lingua questo provvedimento costituì di fatto un condizionamento censorio dettato dal regime. I film stranieri erano quindi distribuiti con le musiche e i rumori della colonna sonora originale, ma privi dei dialoghi che venivano tradotti in lunghe didascalie. Un espediente che provocò una fruizione distorta dei film, costringendo lo spettatore a tenere dietro alla velocità con cui si succedevano i sottotitoli. Si verificò una disaffezione da parte del pubblico che metteva a rischio l'occupazione per migliaia di lavoratori del settore cinematografico.
Data l'importanza del mercato italiano per l'industria cinematografica statunitense, Metro Goldwyn Mayer, Fox e Warner Bros. realizzarono versioni plurime nei loro stabilimenti di Hollywood, utilizzando attori oriundi che parlavano l'italiano con forti inflessioni americane. La Paramount ricorse invece ad attori professionisti per i rifacimenti in altre lingue che vennero realizzati negli stabilimenti di Joinville destinati specificamente a queste versioni. Ma i produttori, non soddisfatti dei risultati, pensarono di sperimentare il d., il cui 'prototipo' fu un sistema inventato dal fisico austriaco Jacob Karol, detto dubbing, che consisteva nel sostituire la colonna sonora relativa al parlato con un'altra dove i dialoghi tradotti erano recitati in una lingua diversa dall'originale. Si cominciarono così a sperimentare i primi d. un po' artigianali, ma in Italia il problema restò aperto: la crisi dell'industria cinematografica nazionale sembrava senza sbocchi soprattutto per l'indifferenza dello Stato.
Fu grazie alla personalità di Stefano Pittaluga che l'avvento del sonoro poté essere gestito con adeguate strategie produttive: dopo l'acquisto e la ristrutturazione degli stabilimenti romani della Cines (v.), Pittaluga riuscì a richiamare l'attenzione, anche negli ambienti politici, sull'urgenza di fronteggiare la penetrazione sempre più massiccia dei film statunitensi e di incentivare la produzione nazionale. Avvenne così la presentazione in forma privata alla presenza di B. Mussolini, il 5 ottobre del 1930 al Supercinema di Roma, del primo film sonoro italiano La canzone dell'amore di Gennaro Righelli, che fu distribuito da lì a poco sul territorio nazionale. Intanto, molti dei più prestigiosi attori, soprattutto di teatro come Andreina Pagnani, Paolo Stoppa e Rina Morelli, agli inizi degli anni Trenta furono ingaggiati per interpretare negli studi di Joinville le versioni italiane dei film Paramount: il loro sempre più frequente impiego fu determinato anche dalla funzionalità della loro impostazione recitativa perfezionatasi sulle scene teatrali oltre che dovuto all'abilità o alla forte caratterizzazione del loro timbro vocale. Il pubblico italiano cominciò ad abituarsi a una tecnica capace di fondere, in un effetto di illusione e di riconoscimento voce-volto sempre più affinato, le performances di grandi attori con la loro 'trasposizione' vocale basata su un abile mimetismo, in cui cominciarono a eccellere, caratterizzando volti famosi, attori come Tina Lattanzi (che diede la voce alla 'divina' Greta Garbo), Carlo Romano (che in seguito sarà l'inconfondibile voce in falsetto di Jerry Lewis), Lauro Gazzolo, Lidia Simoneschi (che caratterizzò vocalmente attrici che venivano dal muto come Gloria Swanson o Mary Pickford), Emilio Cigoli (che avrebbe poi prestato la calda plasticità della sua voce a celebrità come Charlton Heston o John Wayne), Vinicio Sofia, Gaetano Verna, Giovanna Scotto, Augusto Marcacci, Giulio Panicati, Sandro Ruffini, Aldo Silvani, Rosetta Calavetta (la voce di Biancaneve), e tanti altri, compresa la piccola Miranda Bonansea Garavaglia, che vinse un provino della Fox per doppiare Shirley Temple. L'industria cinematografica italiana procedette così ad attrezzarsi tecnicamente per il nuovo procedimento: nel 1932 fu messo in funzione il primo stabilimento di doppiaggio italiano alla Cines-Pittaluga diretto dal regista Mario Almirante, quindi l'ingegner Gentilizi fondò la Fotovox, nel 1933 Vincenzo Sorelli, documentarista e attivo anche nel teatro lirico, fondò la ItalaAcustica, e lo stesso anno, l'ingegner Salvatore Persichetti attrezzò con l'apposito strumentario tecnico lo stabilimento di doppiaggio Fono Roma.
Il 5 febbraio 1934 il governo fascista emanò una legge che vietava la circolazione dei film doppiati all'estero, e le majors si videro così costrette ad affidarsi agli stabilimenti romani. La sola MGM aprì una sua sala di sincronizzazione nella capitale e nella seconda metà degli anni Trenta il d. italiano cominciò ad assumere precise caratteristiche tecniche, artistiche ed espressive e si delinearono i requisiti del doppiatore.
La duttilità e l'espressività della voce, la dizione tornita, le doti recitative capaci di adeguarsi ai modelli gestuali e timbrici della voce originale, la particolarità dei toni, la capacità di interpretare tempi e modalità cinematografici e di controllare le inflessioni e i ritmi furono qualità di cui in breve tempo i doppiatori italiani si dotarono, diventando tra i più bravi a livello mondiale, e dando vita e fisionomia a una vera professione. Ma questo nuovo mestiere aveva anche un risvolto negativo, ossia il fatto di rimanere costantemente nell'ombra rispetto alla ribalta del successo degli attori celebri. Solo nel 1937 alcune riviste di cinema cominciarono a parlare del d. e dei suoi maggiori esponenti e nello stesso periodo si affermò la pratica di doppiare anche alcuni attori italiani. Il primo fu Roberto Villa, protagonista di Il grande appello (1936), che Mario Camerini fece doppiare da Mario Pisu perché insoddisfatto della dizione dell'attore, e già in Il fornaretto di Venezia (1939) di Duilio Coletti quasi tutti gli interpreti parlavano con la voce di altri attori: lo stesso Villa, Clara Calamai, Osvaldo Valenti e Carlo Tamberlani, rispettivamente con quelle di Carlo Romano, Tina Lattanzi, Giulio Panicali e Gaetano Verna; del resto questa diffidenza dei produttori rispetto alle voci di alcuni attori e attrici italiani considerate troppo ruvide o sgradevoli nei loro timbri e toni, si è manifestata anche in seguito, e, soprattutto agli inizi, furono doppiati nomi illustri del cinema italiano come Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Lucia Bosé, Claudia Cardinale, Ornella Muti, Stefania Sandrelli, Raf Vallone, Renato Salvatori, Maurizio Arena, Franco Nero, Giuliano Gemma, e perfino, in un caso un'attrice della statura di Anna Magnani.
Nel secondo dopoguerra era invalso d'altronde l'uso di scegliere gli attori essenzialmente per l'aspetto fisico, senza tenere conto della loro dizione, dal momento che i doppiatori professionisti avrebbero provveduto a migliorare le loro interpretazioni. Questa pratica interessò persino uno dei capolavori-manifesto del Neorealismo, Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, nel quale Carla Rovere e Marcello Pagliero erano doppiati da Rosetta Calavetta e Lauro Gazzolo e un bambino aveva la voce di Ferruccio Amendola, e avrebbe poi trovato la sua applicazione più estrema in Poveri ma belli (1957) di Dino Risi con tutti gli interpreti rigorosamente doppiati, da Maurizio Arena a Renato Salvatori, da Ettore Manni a Marisa Allasio, da Alessandra Panaro a Lorella De Luca. La pratica del d. ha dunque attraversato anche le innovazioni e gli assestamenti 'di genere' dal Neorealismo alla commedia all'italiana, all'interno delle stesse produzioni nazionali. Già negli anni Quaranta, però, gli intellettuali si schierarono contro il d. dei film stranieri, proponendo in alternativa i sottotitoli. L'articolo intitolato Vita impossibile del signor Clark Costa, apparso sulla rivista "Cinema" (1940, nr. 105) a firma dell'allora giornalista Michelangelo Antonioni e riferito all'attore Romolo Costa che doppiava Clark Gable, diventò una sorta di 'manifesto' degli oppositori del doppiaggio. Ma il referendum proposto dallo stesso Antonioni, che per il suo film d'esordio Cronaca di un amore (1950) fece doppiare Lucia Bosé da Rosetta Calavetta e Franco Fabrizi da Alberto Sordi, evidenziò che lo spettatore italiano era ormai abituato alle straordinarie voci dei doppiatori e apprezzava la tecnica del doppiaggio.
Nel 1944 era stata fondata la prima e più importante cooperativa di doppiaggio, la CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici), che comprendeva circa 150 iscritti divisi in varie categorie (direttori di d., protagonisti, comprimari, caratteristi, generici), e nel 1945 era nata la ODI (Organizzazione Doppiatori Italiani), che raggruppava attori teatrali decisi a svincolare la pratica del d. dalla corrispondenza rigida e automatica del rapporto tra la voce e il volto, o che si sentivano schiacciati nella CDC dalla presenza dei doppiatori storici. Si affermarono così quelle voci che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del cinema, soprattutto statunitense, degli anni Quaranta e Cinquanta, e che contribuirono a creare un feeling esclusivo tra gli spettatori italiani e i divi dell'epoca; accanto a queste si moltiplicarono le voci prestate, negli anni Sessanta e Settanta, ad attori francesi, inglesi, tedeschi: Emilio Cigoli (che sostituì Costa nel dare la voce a Clark Gable), Giulio Panicati, Gualtiero De Angelis, Gino Cervi, Wanda Tettoni, Adriana Asti, Mario Besesti, Stefano Ribaldi, Nino Pavese, Cesare Fantoni, Bruno Persa, Luigi Pavese, Dina Romano, Giorgio Capecchi, Cesare Polacco, Alberto Sordi (le cui esperienze radiofoniche lo avevano reso adatto alla carriera di doppiatore, fu per es. la voce di Oliver Hardy, prima di divenire attore emblematico del cinema italiano), Mario Ferrari, Adolfo Geri, Sergio Fantoni, Manlio Busoni, Glauco Onorato, Gianfranco Bellini, Rita Savagnone, Vittoria Febbi, Massimo Turci, Pino Locchi, Dhia Cristiani, Giuseppe Rinaldi, Maria Pia Di Meo, Mario Pisu, Renato Turi, Nando Gazzolo, Fiorella Bet-ti, Oreste Lionello (inconfondibile e ironica voce di Woody Allen), Cesare Barbetti, Anna Miserocchi, Corrado Gaipa, Luciano De Ambrosis, Sergio Graziani. E Ferruccio Amendola, forse l'esempio più indicativo della duttilità e della modernità nell'ambito delle voci del d. italiano, per la sua grande capacità di scardinare la 'pulizia' della tecnica tradizionale, adattando la grana della naturalezza alla tecnica, nel prestare inflessioni e cadenze ad attori innovativi come Dustin Hoffmann, Robert De Niro, Al Pacino.
Non tardarono però ad affiorare i primi dissidi che, all'inizio degli anni Cinquanta, provocarono le scissioni delle due maggiori organizzazioni e condussero alla nascita di nuove società, come la Ars cinematografica, la CID (Cooperativa Italiana Doppiatori), la SAS (Società Attori Sincronizzatori), e successivamente la Sinc nel 1967 e la CVD (Cine-Video Doppiatori) nel 1970, alle quali si aggiunsero il Gruppo Trenta e altre società che proliferarono dai primi anni Ottanta in seguito al boom di telenovelas, serie televisive e soap opera. La spaccatura più traumatica fu quella vissuta dalla CDC quando Stefano Sibaldi, una delle voci storiche della cooperativa, alla fine degli anni Cinquanta, deluso per non essere diventato direttore di doppiaggio, decise di fondare la SAS, nella quale entrò nel 1966 anche Cigoli, che fu costretto a lasciare la CDC dove aveva dettato legge per vent'anni.
L'avvento delle televisioni private ha favorito l'incremento delle società di d. che da una decina sono diventate un centinaio; parallelamente i doppiatori, che alla fine degli anni Cinquanta erano circa 300, sono passati nel 2001 a oltre 1500. Si sono moltiplicate anche le organizzazioni di postsincronizzazione, mentre i tempi di lavorazione sono calati, a scapito della qualità, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, quando telefilm, telenovelas e film per la televisione hanno costretto i doppiatori a ritmi frenetici. Il d. è entrato così in una nuova era: la concorrenza esasperata ha costretto infatti le società ad attingere al libero mercato delle voci, risparmiando sui tempi e sui costi e abbandonando la pratica dell'inscindibilità voce/volto e doppiatore/doppiato. In questo contesto di allargamento del mercato e di irrigidimento delle grandi cooperative storiche, molti doppiatori hanno sentito il bisogno di lavorare con maggiore libertà, al di fuori delle società. È nata così nel 1978 la CDL (Cooperativa Doppiatori Liberi), trasformatasi nel 1983 in ente morale con il nome di ADL (Attori Doppiatori Liberi) e con uno statuto che ne evidenzia il carattere di società di servizi e tutela gli interessi di doppiatori che operano essenzialmente come free lances.
Il procedimento che consente di vedere/ascoltare un film straniero in un'altra lingua è lungo e complesso. Prima di arrivare al d. vero e proprio bisogna adattare l'opera originale. Nella prima fase si procede a comparare la copia lavoro con la 'colonna internazionale', in modo che l'integrazione preservi rumori riproducibili in sala e adattabili all'immagine sullo schermo, per es. il cigolìo di una porta (effetti sala), effetti sonori di repertorio (effetti speciali) e rumori di fondo e atmosfere sonore legate all'ambiente in cui si svolge l'azione (effetti ambiente).
Tutte queste componenti sono necessarie. La copia del film serve inoltre, unitamente a una lista dei dialoghi nella lingua originale del film, al dialoghista-adattatore che appronterà una versione tradotta in italiano atta all'utilizzo nel doppiaggio. L'operazione consiste nella trasposizione e nell'elaborazione in lingua italiana dei dialoghi originali in modo che il labiale e il visivo siano adattati in perfetto sincronismo.
Ai fini di una fedeltà allo spirito del film è necessario un lavoro analitico sul testo e sulla copia originali che rispetti contesto e specificità culturale dell'ambiente e dell'epoca in cui si svolge l'azione. Quindi il direttore del d. sceglie gli attori-doppiatori da sottoporre eventualmente a provini per l'assegnazione dei ruoli principali e secondari, seguendo una linea per cui la voce e il tipo di recitazione del doppiatore risulti il più possibile aderente al personaggio e alle caratteristiche vocali dell'attore da doppiare.
Il filmato viene suddiviso in segmenti costituenti unità separate su cui effettuare il d., i cosiddetti anelli, così denominati dal fatto che la pellicola veniva tagliata e chiusa ad anello in modo da proiettare ripetutamente in sequenza le stesse scene. Con l'uso della lavorazione o della postproduzione elettronica si è introdotta una divisione basata sulla rilevazione del time code (il codice numerico che scandisce sul visivo e contrassegna la durata progressiva del filmato), in testa e in coda a ogni anello, controllato poi in sala dal fonico di doppiaggio. L'assistente organizza i diversi turni in base ai ruoli e alla struttura dei dialoghi. Si procede a incidere le voci su una o più piste sonore, oppure su piste e colonne audio separate, nel caso di voci che si sovrappongono a un ritmo serrato o vengono da distanze o campi diversificati rispetto all'inquadratura, o ancora quando si deve procedere a effetti sonori o dialoghi sovrapposti e integrati all'azione provenienti da fonti diverse da quelle del dialogo degli attori in campo, per es. radio o televisione. Un lavoro questo che avviene in sala di d. sotto la direzione e le indicazioni del direttore di d. e sulla base dei dialoghi adattati. La durata di ogni turno è di tre ore; se ne possono effettuare fino a tre al giorno e ognuno prevede il numero di righe doppiate stabilito nell'accordo nazionale. Nella sala di d. ci sono due spazi attigui insonorizzati divisi tra loro da un grande vetro. In un ambiente lavora il regista con il direttore di d. e il fonico e nell'altro si dispongono gli attori-doppiatori con l'assistente al d., quest'ultimo controlla tanto il sincronismo labiale che il coordinamento del lavoro, mentre gli attori-doppiatori, di fronte al leggio con il copione italiano, seguendo sullo schermo il filmato, che passa più volte ad anello, e ascoltando in cuffia il sonoro originale, procedono a provare ripetutamente le battute mettendole in sincrono con le immagini e con il movimento labiale degli attori, fin quando non si è pronti a incidere. A questo punto interviene il sincronizzatore che ha il compito di far coincidere le voci italiane registrate con il movimento labiale originale, e che, anche con l'ausilio di una strumentazione elettronico-digitale, può accorciare o allungare le pause e effettuare accorgimenti per spostare frasi o interi pezzi di dialoghi rispetto al visivo. Nella fase del missaggio si miscelano le colonne doppiate con la colonna internazionale e con le musiche, calibrando fra di loro i diversi livelli e infine si aggiungono i titoli in italiano cioè quelli inerenti all'edizione che verrà distribuita.
In oltre cinquant'anni tale procedimento è stato reso più agile ed efficace dalle sofisticate innovazioni te-cnologiche. Negli anni Quaranta gli anelli venivano proiettati con un semplice proiettore cinematografico e si procedeva all'incisione effettuando la registrazione su pellicola sonora negativa, detta SAV, con apparecchiature tipo Westrex o RCA. La pellicola veniva poi sviluppata e stampata su un supporto positivo, che veniva lavorato e utilizzato per il mixage, effettuandovi anche la sincronizzazione. Questo procedimento richiedeva la registrazione di tutto il doppiato con un enorme spreco di materiale. Ultimato il d., gli anelli venivano rimontati secondo l'ordine originario. Nei primi anni Cinquanta per la registrazione cominciarono a essere utilizzati apparecchi con nastro magnetico (per es. Telefunken, Revox, Perfection), che permettevano una notevole economia di pellicola sonora SAV, che tra il 1955 e il 1958 fu addirittura eliminata, grazie a registratori che utilizzavano nastri magnetici perforati. Con questa te-cnica di registrazione fu introdotto il sistema del virgin-loop: si preparavano anelli di nastro magnetico perforato lunghi quanto i corrispondenti anelli filmati da doppiare e i due anelli giravano contemporaneamente mentre si effettuava il d. e la corrispondente registrazione. Ogni passaggio prevedeva varie registrazioni fino a quando non si giungeva a quella perfetta per la successiva lavorazione. Per poter conservare tre o quattro registrazioni buone tra le quali scegliere, si installavano sui registratori testine a tre o quattro piste. Tale sistema costituì una novità importante, che consentiva di poter riascoltare l'anello doppiato in sincrono con la scena. Nel 1970 fu introdotto un sistema telecomandato di proiezione che faceva andare avanti o tornare indietro automaticamente la pellicola. Gli anelli furono quindi eliminati e fu utilizzato un display numerico che permetteva di dare in ogni momento la posizione del film stesso e di cercare rapidamente i rulli-scena montati per intero sul proiettore. In sincrono con il proiettore funzionava il registratore con nastro magnetico perforato e alla fine del d. si disponeva di un rullo filmato e di un rullo sonoro integri e si doveva solo procedere alla sincronizzazione del dialogo. Con questo sistema fu eliminata la lavorazione relativa alla preparazione degli anelli e alla ricomposizione del film. Nel 1975 tale procedimento fu computerizzato nel processo di comando, con una semplificazione e una velocità automatica di avanzamento-arretramento, arresto, ricerca dell'anello. Nel 1980, con la rivoluzione elettronica, il proiettore e la pellicola cinematografica furono sostituiti con le apparecchiature video, sia su monitor sia su schermo. Tutto il materiale cinematografico veniva trasferito su videonastro e con esso si procedeva al d., alla sincronizzazione e al mixage; il sincronismo avveniva combinando tra loro, tramite codice elettronico, un registratore a nastro magnetico perforato (del tipo Albrecht, Perfection, Schulumberger) e un videoproiettore. Nei primi anni Ottanta il sistema venne ulteriormente migliorato con l'introduzione di registratori tipo Studer, EMT, Ampex che portò all'eliminazione del nastro magnetico perforato e dei relativi registratori, che costituivano ormai un'apparecchiatura ingombrante. Gli anni Novanta hanno introdotto una grande innovazione: la sostituzione del sistema di registrazione analogico, fondato su segnali elettrici, con quello digitale, che fa uso di segnali numerici, con l'utilizzo del cosiddetto codice SMPTE per la messa a punto della sincronizzazione tra sonoro e visivo. Tutto questo ha consentito di incidere su otto o più piste un suono più pulito di quello servito da supporti magnetici; inoltre vengono utilizzate strumentazioni Akai o Augan che salvano i dati su dischi magneto-ottici sui quali è possibile riversare anche il video.
Se sono una minoranza coloro che hanno una conoscenza così eccellente dell'inglese, francese o tedesco da cogliere anche certe sfumature e certi slang, e che possono quindi apprezzare la versione originale di un film nella sua pienezza, non sono tuttavia pochi i denigratori del d. in via di principio estetico e i sostenitori del rispetto della versione originale, corredata da sottotitoli. Ma il sottotitolaggio (per quanto ben fatto e seppure dislocato, come è d'uso recente nella sua versione elettronica, al di fuori dello schermo, senza intaccare il 'visivo' della copia proiettata) spesso non restituisce integralmente i dialoghi originali, e la lettura obbliga lo spettatore ad alternare in continuazione lo sguardo tra le immagini e la parte bassa dello schermo, impedendogli di cogliere la perfetta corrispondenza tra il parlato e il visivo, spezzando in tal modo l'illusione del rapporto voce/volto.
A favore del d. c'è anche da aggiungere che, nel ca-so italiano, lo sviluppo, la continuità e la perizia di quest'uso, entrato ormai a far parte delle abitudini percettive del pubblico medio, rende di difficile fruizione la visione dell'edizione originale. Ciò che la lettura dei sottotitoli sottrae in termini visivi risulta evidente quando i film sono molto parlati, pieni di dialoghi densi, serrati e veloci (dalle commedie americane degli anni Trenta e Quaranta ai film di Spike Lee e Woody Allen) e ridotto nel cinema, fatto di dialoghi scarni, essenziali, o addirittura inesistenti per intere sequenze, di autori quali Alfred Hitchcock, Orson Welles, Sam Peckinpah, Don Siegel, Samuel Fuller, Michael Cimino, Martin Scorsese, Brian De Palma. Ma anche in questi casi il ritmo, il montaggio, le invenzioni tecnico-formali a getto continuo impongono allo spettatore di non abbassare lo sguardo neppure per una frazione di secondo. Tuttavia, per alcuni, proprio questa preoccupazione di salvare l'integrità percettiva della visione rafforza la tesi di una fruizione realmente completa dell'opera anche sul piano sonoro, per il rispetto che si deve alla concezione unitaria del percorso audiovisuale di un film. Risulterebbe comunque un vulnus all'integrità formale dell'opera, così come è stata concepita dall'autore, qualsiasi intervento (e dunque in primo luogo il d.) che ne intacchi la costruzione sonora ed espressiva.
Anche per le cinematografie non appartenenti all'area americana o a quella europea, sono state avanzate argomentazioni contrapposte: tra le ragioni che sono state espresse contro il d. vale l'osservazione che la sono-rità o musicalità della lingua per es. russa, coreana, cine-se, giapponese o indiana, è una componente essenziale della verità dell'opera; come tesi a favore si è sostenuto che la stessa indecifrabilità della lingua corre il rischio di trasformarla in un flusso sonoro indistinto e monocorde, che allontana dalla comprensione dello spettatore la storia, i personaggi e i modelli culturali, più di quanto non faccia la sovrapposizione del d. italiano.
A partire dagli anni Sessanta e Settanta, si è così sviluppato in Italia un dibattito sul d. che ha fatto tutt'uno con la difesa dell'integrità autoriale del film, e si è poi trasformato in una vera e propria battaglia contro il d., che ha visto cineasti come Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci, Clare Peploe, Jean-Marie Straub e Danielle Huillet, ma anche una parte della critica e delle riviste (in particolare "Filmcritica"), prendere posizione contro tale prassi. Questa polemica in tempi più recenti è arrivata a sensibilizzare, anche in apparente contrasto con le ragioni del mercato, alcuni distributori o esercenti impegnati nel cinema di qualità (Academy, Bim, Lab 80, Sacher Film), i quali hanno permesso l'uscita, accanto alle copie doppiate, delle edizioni originali sottotitolate di alcuni importanti film. Ciò è stato possibile anche grazie a un certo mutare di abitudini nella prassi creativa del cinema italiano, con l'uso espressivo sempre più frequente della presa diretta, evitando il ricorso al d. in studio nella fase di edizione (in linea con la difesa, anche da parte degli attori, del rapporto di integrità voce/volto).
Di sicuro non si può definire un'alternativa al d. la traduzione simultanea in cuffia, praticata in alcuni festival, pressoché improponibile nel normale circuito, fastidiosa per la godibilità sonora del film in lingua originale, a causa delle voci dei traduttori che relegano in sottofondo quelle originali.
F. Luseri, Il volto e la voce, Roma 1966.
L'attore dimezzato? Doppiaggio si/no, anzi…si, a cura di A. Castellano, s.l. 1995.
Voci d'autore: storia e protagonisti del doppiaggio italiano, a cura di M. Guidorizzi, Sommacampagna 1999.
Il doppiaggio. Profilo, storia e analisi di un'arte negata, a cura di A. Castellano, Roma 2000.