Abstract
Il concetto di doppia imposizione è suscettibile di richiamare un fenomeno meramente economico ovvero una fattispecie rilevante sul piano giuridico, sia per l’ordinamento interno, sia per l’ordinamento internazionale. In questa sede, con distinto riferimento alla prospettiva interna e a quella internazionale, vengono esaminati gli elementi identificatori della fattispecie, gli strumenti approntati per la sua eliminazione o attenuazione e le diverse rationes a cui detti strumenti rispondono.
Il fenomeno della doppia imposizione è suscettibile di essere apprezzato sia sul piano meramente economico, sia sul piano prettamente giuridico; esso, inoltre, è suscettibile di assumere sia una rilevanza circoscritta all’ordinamento interno, sia una rilevanza sul piano del diritto tributario internazionale.
Con specifico riferimento all’ordinamento interno, si ritiene ricorra un fenomeno di doppia imposizione in senso economico laddove si verifichi una duplice imposizione di una stessa ricchezza sulla base di fattispecie impositive distinte e relative a diversi tributi; viceversa, la doppia imposizione in senso giuridico richiede, in base alla sua stessa definizione positiva, secondo quanto amplius infra, una doppia (o plurima) applicazione della stessa imposta, in relazione allo stesso presupposto, anche nei confronti di soggetti diversi.
L’ordinamento tributario interno pone un espresso divieto di doppia imposizione, positivizzandolo sia nell'articolo 67 del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sia nell'articolo 163 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917, Testo unico delle imposte sui redditi. Peraltro, la positivizzazione di siffatto divieto ha origini risalenti nel tempo. Invero, precedenti formulazioni di tale divieto si rinvengono nell'art. 8, co. 3, lett. b), del testo unico delle leggi dell'imposta di ricchezza mobile di cui al R.d. 24.8.1877, n. 4021 che prevedeva la non applicazione dell'imposta di ricchezza mobile sui redditi «già una volta assoggettati all'imposta» prevista dal citato decreto, nonché nell'art. 4, co. 2, del medesimo testo unico che assoggettava anche i redditi di natura fondiaria alla tassa di ricchezza mobile laddove non risultasse «che dal possessore del fondo dal quale provengono già si paghi un tributo stabilito in contemplazione dei redditi stessi». Il divieto è stato successivamente previsto dall’art. 7 del d.P.R. 29.1.1958, n. 645, t.u. delle leggi sulle imposte dirette, di tenore analogo all'attuale articolo 67 del d.P.R. 600/1973 (Adonnino, P., Doppia imposizione B) Diritto Tributario, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 1016 ss.; Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, Padova, 2001, 2 ss.; Interdonato, M., Art. 67 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in Commentario breve alle Leggi Tributarie, tomo II, Padova, 2011, 330).
Un orientamento ha posto in dubbio che si sia in presenza di un principio generale, valevole per ogni settore dell’imposizione: in tale prospettiva, il divieto in esame avrebbe valore meramente procedimentale e non si applicherebbe ad imposte in relazione alle quali non sia espressamente previsto (Ardizzone, G., Doppia imposizione - interna, in Dig. comm., Torino, V, 1990, 176 ss.).
Tuttavia, un diverso e prevalente orientamento attribuisce al divieto valore di principio generale del diritto tributario (in tale prospettiva, Berliri, A., Il Testo Unico delle Imposte dirette, Milano, 1960, 12; Adonnino, P., Doppia imposizione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 2).
Anche sulla base del dettato positivo, è opinione condivisa che i richiamati articoli 67 del d.P.R. n. 600/1973 e 163 del d.P.R. n. 917/1986 abbiano riguardo al fenomeno della doppia (o plurima) imposizione giuridica essendo, viceversa, compatibile con il sistema la doppia (o plurima) imposizione, sul piano economico, dello stesso fatto economicamente valutabile; sicché, deve ritenersi che, laddove, in relazione a determinate ipotesi inquadrabili nell’ambito del fenomeno di doppia imposizione economica, il legislatore introduce dei meccanismi volti a ridurre o ad eliminare il carico tributario, si tratti di scelta dettata da ragioni di politica legislativa in relazione a finalità diverse da quelle del rispetto del divieto di doppia imposizione, quali, ad esempio, finalità perequative ovvero di incentivazione all'impiego di determinati istituti giuridici, come nelle ipotesi di parziale detassazione dei dividendi delle società di capitali o delle plusvalenze imponibili da cessione di partecipazioni in capo alle persone fisiche (profili su cui v. Fedele, A., La nuova disciplina Ires: i rapporti tra soci e società, in Riv. dir. trib., 2004, I, 483 ss.).
Inquadrato il campo di applicazione del divieto in esame nell'ambito della sola doppia imposizione giuridica, deve a questo punto rilevarsi che esso opera in relazione a due elementi oggettivi costituiti dalla “stessa imposta” e dallo “stesso presupposto”.
Con riferimento all’elemento della “stessa imposta”, un orientamento sostiene che tale locuzione indica il medesimo tributo nominalisticamente inteso (Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione, cit., 96), laddove un diverso orientamento sostiene che la doppia imposizione giuridica vietata è suscettibile di configurarsi anche in caso di plurime applicazioni di imposte dello stesso tipo, anche se surrogatorie o alternative tra loro, salvo che il medesimo fatto venga assunto ad elemento costitutivo della fattispecie impositiva prevista da imposte espressione di diversi poteri impositivi, come nel caso di un'imposta erariale e di una locale, ovvero quando le due imposte abbiano l'una natura personale e l'altra reale, ovvero quando muti il titolo di acquisizione del prelievo, trattandosi non già di imposta ma di sanzione (Adonnino, P., Doppia imposizione B) Diritto tributario, cit., 1017; Fantozzi, A., Diritto tributario, Torino, 1998, 181; Fregni, M.C., Appunti in tema di doppia imposizione interna, in Riv. dir. fin., 1993, II, 8, 20).
Quanto alla locuzione “stesso presupposto”, un orientamento, sottolineandone l'uso improprio, la intende come riferita al sostrato economico del fatto giuridico colpito dal prelievo (Nussi, M., L'imputazione del reddito nel diritto tributario, Padova, 1996, 160); altro orientamento attribuisce alla predetta locuzione il significato di presupposto giuridico del tributo nella sua componente oggettiva o materiale (Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione, cit., 54).
Quanto al profilo soggettivo di applicazione del divieto, la stessa formulazione positiva del divieto medesimo ne sancisce l’irrilevanza sul piano giuridico.
Quanto al rapporto fra le due norme in cui il divieto in parola è stato positivizzato, si ritiene che, sebbene di identico tenore letterale, l'una, quella dell’art. 67 del d.P.R. n. 600/1973, in quanto inserita in un testo normativo relativo all'accertamento, avrebbe rilevanza sul piano procedimentale, quale vincolo per l'azione dell'amministrazione finanziaria; l'altra, quella di cui all’art. 163 del d.P.R. n. 917/1986, in quanto inserita in un testo normativo contenente disposizioni di carattere sostanziale, indicherebbe che al divieto in esame deve essere, per l'appunto, attribuita anche una portata sostanziale, quantomeno sul piano dell’interpretazione della fattispecie impositiva, introducendo, in tal senso, un criterio vincolante per l'interprete (su tali profili, Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione, cit., 160 ss.; Stevanato, D., Divieto di doppia imposizione e capacità contributiva, in Perrone, L.-Berliri, C., a cura di, Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 69 ss.; Fregni, M.C., Appunti in tema di doppia imposizione interna, in Riv. dir. fin., 1993, II, 8).
Tuttavia, secondo un orientamento tendente alla svalutazione della portata delle previsioni normative in esame, il divieto in parola non avrebbe valenza di principio generale ed avrebbe un esclusivo rilievo procedimentale, operando unicamente nella fase applicativa del tributo, quale espressione del principio ne bis in idem che vieta, con particolare riferimento ai principi di imparzialità e di buon andamento dell'amministrazione ex art. 97 Cost., all’amministrazione finanziaria l'emanazione di un atto che applichi, in dipendenza di un medesimo presupposto, la stessa imposta già applicata da un altro atto in precedenza già emanato dall’amministrazione medesima (v. in particolare Ardizzone, G., Doppia imposizione, cit., 178 ss.; per la rilevanza sul piano procedimentale del divieto in esame si vedano, in giurisprudenza, Cass., 8.10.1998, n. 9955, Cass., 27.1.2012, n. 1175, Cass., 8.3.2013, n. 5886). In tale prospettiva, si configura un vizio autonomo del secondo atto impositivo che risiede proprio nella circostanza di essere un atto che applica, in dipendenza di un medesimo presupposto, la stessa imposta di un atto già emesso dall’amministrazione finanziaria; e ciò, anche a prescindere da ogni considerazione in ordine all'eventuale violazione o meno delle norme sulla determinazione, nell’an e nel quantum, dell’imposta recata dal secondo atto impositivo, il quale risulterebbe per ciò solo nullo, salvo annullamento in autotutela del primo atto da parte dell’amministrazione finanziaria medesima: del resto, l'ipotesi di doppia imposizione è una delle ipotesi in cui è previsto come doveroso l'esercizio del potere medesimo dal d.m. 11.2.1997, n. 37 (v. sul punto Ardizzone, G., Doppia imposizione, cit., 180; Fregni, M.C., Appunti, cit., 21). Tale orientamento riconduce all’alveo procedimentale relativo all’azione dell’amministrazione finanziaria anche la previsione dell'articolo 163 del testo unico delle imposte sui redditi, in relazione al quale la più limitata funzione di evitare la doppia imposizione derivante dalla duplicazione dell'attività dell’amministrazione finanziaria si ricaverebbe, nonostante la sua collocazione in un testo normativo che contiene previsioni di carattere sostanziale, dal tenore letterale della norma stessa che richiama il concetto di “applicazione” della stessa imposta.
Un diverso orientamento, come già anticipato, ravvisa nel divieto di doppia imposizione un principio generale del diritto tributario (Adonnino, P., Doppia imposizione B) Diritto Tributario, cit., 1015 ss.; Adonnino, P., Doppia imposizione, cit., 1 ss.; Adonnino, P., Doppia imposizione – Postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, 1 ss.), la cui ratio risiede nel principio di capacità contributiva; in tale prospettiva, al principio in esame si riconosce portata generale ed applicabilità non solo nell’ambito dell’imposizione sul reddito – sistema impositivo che lo prevede espressamente sia nella disciplina sostanziale (art. 163 del d.P.R. n. 917/1986) sia nella disciplina procedimentale (art. 67 del d.P.R. n. 600/1973) – bensì anche nell’ambito di altri tributi che espressamente non lo prevedono (Adonnino, P., Doppia imposizione B) Diritto tributario, cit., 1015; Porcaro, G. Il divieto di doppia imposizione, cit., 253); al principio si riconosce, in questa prospettiva, una funzione anche sostanziale, con particolare riferimento al momento interpretativo: in base ad esso dovrebbe essere privilegiata l'interpretazione che evita la doppia o plurima imposizione, quantomeno laddove tale interpretazione non confligga con il contenuto di una specifica previsione normativa (Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione, cit., 155 ss.; Stevanato, D., Divieto di doppia imposizione, cit., 78; Fregni, M.C., Appunti, cit., 19 ss.).
Nella medesima prospettiva, un orientamento teso a valorizzare la riconosciuta natura sostanziale del principio in esame prospetta che il divieto di doppia imposizione costituisca un vincolo anche per il legislatore, in quanto le esigenze di razionalità e coerenza nella configurazione delle fattispecie imponibili sottese al principio di capacità contributiva di cui il divieto in esame è espressione imporrebbero di evitare che lo stesso tributo colpisca più volte una medesima manifestazione di ricchezza (sul punto, Porcaro, G., Il divieto di doppia imposizione, cit., 102; Stevanato, D., Divieto di doppia imposizione, cit., 96).
Sempre nell’ambito di una riconosciuta valenza anche sostanziale del principio in esame, si sostiene che esso, quale espressione dell’art. 53 Cost., configura un limite alla doppia o plurima imposizione (che, peraltro, in tale prospettiva, avrebbe natura meramente economica) laddove la coesistenza di diversi tributi in ordine ad un medesimo fatto realizzi, nella sostanza, una espropriazione della capacità contributiva espressa dal fatto medesimo (Moschetti, F.-Lorenzon, G.-Schiavolin, R.-Tosi, L., La capacità contributiva, Padova, 1993, 34; Interdonato, M., Art. 67 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in Commentario breve alle Leggi Tributarie, tomo II, Padova, 2011, 332).
Sul piano procedimentale opera, senz'altro, il secondo comma dell'articolo 67 del d.P.R. n. 600/1973, disposizione introdotta dalla legge 13.5.1999, n. 133, il quale prevede il diritto del contribuente che percepisce un determinato reddito – in relazione al quale il soggetto erogante ha pagato l'imposta personale a titolo definitivo (dunque solo nel caso di pagamento a seguito di mancata impugnazione dell'accertamento in capo al soggetto erogante, di pagamento a seguito di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale o di sentenza passata in giudicato che confermi la correttezza dell'accertamento relativo alle ritenute che il soggetto erogante ha omesso di effettuare) – di scomputare l’imposta stessa dall'imposta dovuta dal percipiente medesimo in relazione a quel reddito. Si tratta di norma che, proprio in relazione al suo carattere procedimentale, non è stata, viceversa, inserita nel citato art. 163 del d.P.R. n. 917/1986. Essa si applica, in particolare, nella sostituzione di imposta a titolo d'acconto, nell'ambito della quale si ritiene, da parte dell'orientamento maggioritario, che sussista un rapporto trilaterale nell'ambito del quale il soggetto che percepisce somme soggette alla ritenuta alla fonte rimane debitore principale dell'obbligazione tributaria (v. su tali profili, Interdonato, M., Art. 67, cit., 336), e, come si è detto, presuppone che l'imposta sia stata pagata dal sostituto a titolo definitivo, ciò che potrebbe portare ad inconvenienti laddove tale definitività si realizzi in un periodo di imposta di molto successivo a quello di percezione del reddito, inconvenienti quali, ad esempio, l'impossibilità di operare la deduzione in parola da parte del sostituito non più in vita o privo di redditi imponibili.
Il fenomeno della doppia imposizione internazionale è suscettibile di essere identificato, in via descrittiva, nell'imposizione, da parte di più Stati, delle medesime manifestazioni di ricchezza in capo ad un medesimo soggetto, attraverso imposte identiche o similari (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, in Dig. comm., V, Torino, 182 ss.; Tarigo, P., Il concorso di fatti imponibili nei trattati contro le doppie imposizioni, Torino, 2008, 53 ss.; Tarigo, P., Gli elementi costitutivi della doppia imposizione internazionale quale fattispecie dei trattati, in Rass. trib., 2009, 674).
Si tratta di un fenomeno connesso all’internazionalizzazione dell’economia a cui si associa la pretesa dei singoli Stati, per ragioni di gettito, di sottoporre ad imposizione fattispecie anche non integralmente realizzate all'interno del proprio territorio.
Pur in assenza, nel diritto internazionale, di un principio generale che espressamente vieti la doppia imposizione, le criticità che il fenomeno di doppia imposizione ingenera negli scambi internazionali determinano una generalizzata propensione all’eliminazione del fenomeno stesso, non solo attraverso previsioni interne dei singoli ordinamenti giuridici, unilateralmente adottate dai singoli Stati, ma altresì attraverso la previsione di regole di riparto della potestà impositiva tra gli Stati medesimi sulla base di convenzioni internazionali, di solito, v. infra, redatte sulla base di modelli elaborati nell’ambito di organizzazioni internazionali: in particolare, il modello di convenzione elaborato in ambito OCSE è quello generalmente adottato dagli Stati economicamente avanzati.
L’eliminazione della doppia imposizione sul piano internazionale, come si è osservato in dottrina, è, dunque, funzionale al perseguimento di determinati obiettivi di politica economica piuttosto che di giustizia distributiva (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit.,184 ss.; Sacchetto, C., Diritto Tributario (convenzioni internazionali), in Enc. dir., Annali I, Milano, 2007, 521; Adonnino, P., Doppia imposizione – Postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2006, 1 ss.). In tale prospettiva, si comprende come le convenzioni contro la doppia imposizione hanno ad oggetto i tributi più significativi, anche nella prospettiva internazionale, come le imposte sul reddito; non mancano, peraltro, previsioni relative alle imposte di successione o legate alla navigazione marittima e aerea (Fransoni, G., Tipologia e struttura della norma tributaria in Fantozzi, A., Diritto Tributario, Torino, 2012, 332 ss.).
Sul piano strettamente giuridico, la causa della doppia imposizione internazionale è individuata in un fenomeno di carattere generale per cui due o più Stati adottano, ai fini della individuazione delle fattispecie imponibili, criteri di collegamento con i rispettivi ordinamenti di tipo analogo ovvero suscettibili di combinarsi in modo tale che la medesima fattispecie risulta collegata ad una pluralità di ordinamenti giuridici. In particolare, si è osservato, con precipuo riferimento all'imposta sul reddito, che la doppia imposizione internazionale è causata dalla struttura stessa dei sistemi fiscali propri dei singoli Stati, posto che, nella maggior parte dei casi, gli Stati assoggettano i soggetti residenti all'imposta sulla base del loro reddito ovunque prodotto, a prescindere, quindi, dalla localizzazione della fonte del reddito stesso (principio del cd. reddito mondiale), mentre i soggetti non residenti vengono assoggettati ad imposizione in relazione alle fonti collocate nel territorio del singolo Stato (in base al principio di territorialità o della fonte). Sicché, in tale contesto, se un soggetto percepisce redditi in relazione ad una fonte localizzata in uno Stato diverso da quello di residenza, subirà, in relazione ai redditi di fonte estera, una duplice tassazione: da parte dello Stato di residenza, in relazione al principio del reddito mondiale, e da parte dello Stato della fonte, in relazione al principio di territorialità. Del resto, le cause della duplice tassazione possono essere anche ulteriori, come nel caso in cui entrambi gli Stati considerino un soggetto come residente o entrambi qualifichino una determinata fonte reddituale come nazionale. Situazioni analoghe possono verificarsi in relazione all'imposta sul patrimonio, come nell’ipotesi in cui uno Stato sottoponga i residenti ad imposizione in relazione al patrimonio mondiale ed i non residenti in relazione al patrimonio localizzato sul suo territorio, nonché in relazione alle imposte di successione, come nell’ipotesi in cui entrambi gli Stati determinino l'imposta in base all’unitario (mondiale) apprezzamento dell'asse ereditario ma con riferimento, da parte di uno Stato, alla residenza del de cuius e, da parte dell'altro Stato, alla residenza dell'erede (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 182; Vitale, M., Doppia imposizione A) Diritto Internazionale, in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, 1009; Carpentieri, L., Le fonti del diritto tributario, in Fantozzi, A., Diritto Tributario, Torino, 2012, 229 ss.).
Anche con riferimento alla dimensione internazionale del fenomeno della doppia imposizione, al pari di quanto accade in relazione alla sua dimensione nazionale, vi è concordia nel distinguere l’aspetto meramente economico del fenomeno da quello giuridico, ritenendosi che il fenomeno della doppia imposizione internazionale investe il piano giuridico laddove si verifichi l'applicazione di imposte comparabili, da parte di due o più Stati, a carico dello stesso contribuente, per lo stesso presupposto e lo stesso periodo d'imposta (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 186), nozione sostanzialmente ribadita nel Commentario al Modello Ocse, che si incentra, in particolare, sulla comunanza di quattro elementi: il presupposto d'imposta, le imposte, il contribuente e il periodo d'imposta (Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 672).
Peraltro, un orientamento osserva come si tratta di una nozione che non ha una funzione normativa – in quanto le norme contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni disciplinano di volta in volta le fattispecie in relazione alle quali esse trovano applicazione – bensì soltanto una funzione descrittiva del fenomeno, riassuntiva degli elementi ricorrenti nelle fattispecie previste dalle convenzioni internazionali al fine di prevenire o eliminare il fenomeno (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 186).
Quanto all'identità del presupposto d'imposta, va precisato che si ritiene che tale identità attenga al solo elemento materiale del presupposto d'imposta, quindi al fatto materiale, economico, a prescindere da eventuali differenze, nell'ambito degli ordinamenti degli Stati contraenti, delle relative qualificazioni e delle regole di quantificazione della base imponibile (Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 673; Croxatto, G.C., La imposizione delle imprese con attività internazionale, Padova, 1965, 66).
Quanto al concetto di stessa imposta o di imposta comparabile, si ha riguardo ai criteri eventualmente presenti nel diritto interno ovvero alle regole stabilite dalle convenzioni che tendenzialmente individuano le imposte a cui esse si applicano (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 186).
Inoltre, la nozione di doppia imposizione giuridica internazionale implica – anche ai fini della distinzione dal fenomeno della doppia imposizione internazionale rilevante sul piano meramente economico – l'identità del soggetto passivo, come si rileva anche dall’esame del Commentario al Modello OCSE (Fregni, M.C., Appunti, cit., 17; Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 682; Adonnino, P., Doppia imposizione B) Diritto tributario, cit. 1016): laddove, in ipotesi, convenzioni internazionali prevedessero delle regole per l'eliminazione della doppia imposizione anche a prescindere da tale requisito, dovrebbe riconoscersi che la volontà delle parti contraenti è stata quella di eliminare, a carico di soggetti distinti, una doppia imposizione altrimenti rilevante sul piano meramente economico e non già giuridico (Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 186).
L’identità del periodo di imposta rileva nella definizione della nozione di doppia imposizione internazionale in quanto integrano il presupposto d'imposta solo i fatti che si verificano nell'unità di tempo prevista: si osserva, sotto tale profilo, che, per eliminare la doppia imposizione, deve aversi generale riguardo ai redditi di competenza dello stesso periodo, indipendentemente dal momento di assoggettamento a tassazione.
Sul piano della rilevanza temporale della fattispecie si è osservato, con particolare riferimento alle convenzioni sottoscritte dall’Italia, che, sebbene alla luce del Modello OCSE possa argomentarsi nel senso che l'obbligo dello Stato di residenza di porre in essere i meccanismi convenzionalmente previsti per l’eliminazione della doppia imposizione (dunque, secondo quanto si dirà infra, l’obbligo di accreditare o di esentare) venga ad esistenza quando sussiste il fatto imponibile nello Stato di non residenza, si ritiene che, poiché la fattispecie convenzionale, alla luce dei trattati sottoscritti dall’Italia, deve essere caratterizzata dalla sussistenza di un doppio d'imposta, sia necessario che il fatto imponibile sia venuto ad esistenza anche nello Stato di residenza, anche perché non potrebbe concepirsi, altrimenti, la sussistenza dell'obbligo di accreditamento o di esenzione in funzione di eliminazione, per l’appunto, della doppia imposizione (Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 688 ss.).
Come si è anticipato, diversamente da quanto accade nell'ordinamento interno, il diritto internazionale non prevede un espresso divieto di doppia imposizione, né un obbligo generale di eliminarla. In tale prospettiva, dunque, il diritto internazionale non pone limitazioni alla sovranità dei singoli Stati di individuare i presupposti d'imposta e, pertanto, eventuali limitazioni alla potestà impositiva derivano dal diritto internazionale convenzionale, quindi dalle convenzioni di cui il singolo Stato è parte.
Nell'ambito dell’Unione Europea, l'articolo 293 (ex 220) del Trattato CE aveva previsto l’avvio, da parte degli Stati membri, “per quanto occorra”, di negoziati per l’eliminazione del fenomeno della doppia imposizione in ambito comunitario. Ancorché tale disposizione sia stata interpretata come limitata a tracciare un quadro di trattative che gli Stati membri erano chiamati ad intavolare tra loro, senza che ciò, in particolare, conferisse ai singoli diritti azionabili avanti ai giudici nazionali (C. giust., 12.5.1998, C-336/96, Coniugi Gilly c. Directeur des services fiscaux du Bas-Rhin), essa evidenziava che l’abolizione della doppia imposizione internazionale era uno degli obiettivi dell’ordinamento dell’Unione, opinione sostenuta anche a seguito della mancata riproposizione di tale disposizione nell’attuale assetto normativo, in considerazione degli ostacoli che la doppia imposizione è suscettibile di frapporre all’attuazione delle libertà fondamentali dell’Unione: sicché, da parte di un orientamento dottrinale, si è ritenuto comunque prospettabile, per gli Stati membri, un obbligo di adottare misure, unilaterali o pattizie, per eliminare o ridurre la doppia imposizione – quale obbligo imposto, ex art. 4 TUE, dalla partecipazione all’Unione Europea – nella misura in cui ciò sia funzionale a garantire l’attuazione degli obiettivi dell’Unione, con particolare riferimento all’attuazione delle libertà fondamentali (Dorigo, S., Doppia imposizione internazionale e diritto dell’Unione Europea, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 23 ss.).
L'eliminazione della doppia imposizione è, del resto, l'obiettivo di alcune direttive dell’Unione Europea, per esempio in materia di regime fiscale applicabile alle società cd. madri e figlie di Stati membri diversi ed in materia di regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società dello stesso gruppo con sede in Stati membri diversi; ciononostante, la Corte di Giustizia, sebbene alcune pronunce contengano degli spunti per configurare l’esistenza di un obbligo per gli Stati membri di attivarsi, quantomeno con l’adozione di soluzioni pattizie (C. giust., 14.11.2006, C-513/04, Kerckhaert e Morres; C. giust., 16.7.2009, C-128/08, Damseaux; sul punto Dorigo, S., Doppia imposizione internazionale, cit., 35 ss.), non ha ancora chiaramente affermato l’esistenza di un principio generale volto a vietare la doppia imposizione in ambito europeo; sicché la doppia imposizione contrasterebbe con il diritto dell’Unione Europea solo laddove determini una situazione di contrasto con il principio di non discriminazione e con le libertà fondamentali dell’Unione (Adonnino, P., Doppia imposizione – Postilla di aggiornamento, cit., 1; Dorigo, S., Doppia imposizione internazionale, cit., 49 ss.).
In generale, i metodi per l’eliminazione della doppia imposizione consistono innanzitutto in disposizioni interne del singolo ordinamento, disposizioni, quindi, unilateralmente adottate, come, ad esempio, l'esenzione dei proventi soggetti ad imposizione all'estero, metodo in genere adottato negli ordinamenti ove prevalgono sistemi impositivi di carattere reale, ovvero la concessione di un credito d’imposta in relazione all’imposta pagata all’estero a titolo definitivo, metodo in genere adottato negli ordinamenti ove prevalgono sistemi impositivi di carattere personale (si veda, in particolare, per quanto attiene all’imposta sul reddito nell’ordinamento italiano, l’art. 165 TUIR); si annoverano, inoltre, meccanismi di rimborso di ritenute subite su redditi di fonte estera, ovvero ancora meccanismi di riduzione forfettaria della base imponibile relativa a redditi di fonte estera al fine di tener conto, sebbene forfettariamente, delle imposte pagate all'estero, ovvero ancora la deducibilità dall'imponibile dell'imposta pagata all'estero (Vitale, M., Doppia imposizione, cit., 1010; Adonnino, P., Doppia imposizione, cit., 2).
Accanto a questi istituti, suscettibili di essere unilateralmente adottati da ciascuno Stato nell’ambito del proprio ordinamento interno, si è andato via via sviluppando nel tempo, in particolare a partire dal periodo successivo alla prima guerra mondiale, il ricorso alle convenzioni internazionali.
Nell'ambito di tale processo, su impulso dapprima della Società delle Nazioni e successivamente dell’OCSE, si è arrivati alla elaborazione di un Modello di trattato, con relativo Commentario. Si tratta, peraltro, di un Modello, nel tempo aggiornato, la cui adozione non è obbligatoria, ma oggetto di raccomandazione agli Stati ed, invero, generalmente adottato, salvo l’inserimento, nel caso concreto, di specifiche clausole; accanto a tale modello è stato elaborato, nel 1980, in ambito Onu, un modello che ne segue i tratti fondamentali accogliendo, tuttavia, le richieste dei paesi in via di sviluppo (su tali profili Vitale, M., Doppia imposizione, cit., 1012; Fantozzi, A.–Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 185).
Su tali basi, in particolare, sono state stipulate diverse convenzioni contro la doppia imposizione; si tratta di trattati internazionali, come tali disciplinati, innanzitutto, dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23.5.1969, ratificata dall'Italia con la l. 12.2.1974, n. 112, in base alla quale essi devono essere, altresì, interpretati.
Attraverso le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, generalmente redatte, come si è detto, sulla base del Modello predisposto dall’OCSE, gli Stati contraenti individuano determinate fattispecie con connotati di transnazionalità sotto il profilo impositivo e stabiliscono a quale Stato contraente spetti la potestà impositiva in relazione ad esse: può accadere che la convenzione preveda espressamente che la potestà sia attribuita in via esclusiva ad uno Stato contraente, con conseguente rinuncia dell'altro ad esercitare la propria potestà impositiva; in caso contrario, si verifica un concorso di pretese impositive in relazione al quale trovano applicazione le eventuali norme interne per evitare la doppia imposizione presenti nel sistema normativo del singolo Stato (Carpentieri, L., Le fonti del diritto tributario, cit., 230).
Pertanto, le convenzioni non attribuiscono agli Stati una determinata potestà normativa in materia tributaria, potestà che è connotato originario della loro sovranità, ma si risolvono nel limitare il potere normativo dei singoli Stati, prevedendo delle fattispecie che si aggiungono a quelle disciplinate dal diritto interno dei singoli Stati di modo che gli effetti delle fattispecie convenzionali modificano l'efficacia delle fattispecie previste dal diritto interno degli Stati contraenti medesimi, attraverso l’insorgenza, in capo allo Stato che rinuncia, in tutto o in parte, alla sua potestà impositiva, dell’obbligo di esentare la fattispecie nell’ambito del diritto interno con conseguente elisione degli effetti della fattispecie impositiva di diritto interno al verificarsi della fattispecie convenzionale (cd. metodo dell’esenzione), ovvero attraverso l’insorgenza di un obbligo di compensazione dell'obbligazione di imposta di diritto interno concedendo un credito di imposta (cd. metodo dell’imputazione o del credito d’imposta) (su tali profili, v. Fantozzi, A.-Vogel, K., Doppia imposizione internazionale, cit., 190; Carpentieri, L., Le fonti del diritto tributario, cit., 230; Fransoni, G., Tipologia e struttura della norma tributaria, in Fantozzi, A., Diritto Tributario, cit., 333).
Con particolare riferimento alle imposte sul reddito, inoltre, le convenzioni individuano il luogo dell'imposizione in relazione a ciascuna categoria di reddito: sicché, ad esempio, i redditi d'impresa sono generalmente imponibili nello Stato in cui sono prodotti attraverso una stabile organizzazione, i redditi di lavoro autonomo nello Stato in cui esso viene svolto con carattere di continuità, i redditi di lavoro dipendente nello Stato di origine del lavoratore o del datore di lavoro, salvo che la permanenza del lavoratore nello Stato diverso da quello di residenza non superi un determinato periodo di tempo, i redditi degli immobili sono imponibili nello Stato di localizzazione del bene, i dividendi e gli interessi in genere nel paese del percipiente. A ciò segue, come si è detto, l'individuazione dei meccanismi giuridici di eliminazione della doppia imposizione da parte dello Stato che, in ragione dei predetti criteri, non risulti destinatario della potestà impositiva: come detto, in genere, il metodo dell’esenzione o il metodo del credito d’imposta.
Si è osservato, con specifico riferimento agli accordi bilaterali sottoscritti dall’Italia, che laddove l’Italia è Stato di residenza, alla realizzazione della fattispecie convenzionale della doppia imposizione internazionale sorge, tendenzialmente, quale effetto giuridico, l'obbligo di accreditamento dell’imposta. In tale contesto, si richiede che il fatto economico apprezzato dalle disposizioni di entrambi gli ordinamenti contraenti dia effettivamente luogo ad imposizione da parte dello Stato della fonte (Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 671 ss.).
Del pari, sebbene si tratti per l’Italia di ipotesi meno frequenti, anche laddove per lo Stato di residenza ricorra l'obbligo di esentare, nonostante, sulla base della formulazione del testo inglese e tedesco degli accordi sottoscritti dall’Italia, si sia cercato di argomentare che il fatto potrebbe anche non integrare, anche in astratto, alcuna fattispecie imponibile nello Stato della fonte, si ritiene che, sulla base del complessivo tenore degli accordi medesimi, essi trovano applicazione laddove, in effetti, sussista una doppia imposizione (Tarigo, P., Gli elementi costitutivi, cit., 678 ss.).
Sul piano degli strumenti di tutela, infine, i contribuenti italiani che lamentino la mancata o non corretta applicazione delle norme dei trattati contro le doppie imposizioni di cui è parte l’Italia ad opera dell'amministrazione finanziaria italiana, possono innanzitutto dedurre tale violazione nell'ambito del contenzioso tributario. Inoltre, anche a prescindere dal previo esperimento dei ricorsi interni, sussiste la possibilità di esperire la procedura amichevole disciplinata dall'articolo 25 del Modello OCSE avanti all'autorità competente dello Stato di residenza, laddove la questione attenga, per l’appunto, all'applicazione o non applicazione di una certa convenzione. A fronte dell’esperimento di tale procedura, gli Stati sono obbligati ad attivarsi proficuamente per la soluzione della questione, ma non anche a raggiungere necessariamente una soluzione concordata; del resto, si osserva che non sono nemmeno individuati i principi in applicazione dei quali il conflitto dovrebbe essere risolto. Si osserva che è stato stabilito il termine di tre anni dalla prima notifica della misura che ha dato luogo alla asserita applicazione dell'imposta in modo contrastante con la convenzione per l'attivazione della procedura amichevole, ma non è stato stabilito un termine per le trattative tra i due Stati, sicché è possibile che la procedura amichevole si chiuda quando gli atti di accertamento emanati dall’amministrazione finanziaria nelle more sono divenuti definitivi per l'ordinamento interno (Fransoni, G., Tipologia e struttura della norma tributaria, cit., 334; su tali strumenti, inoltre, v. Adonnino, P., Doppia imposizione, Postilla di aggiornamento, cit., 2).
Accanto al fenomeno della doppia imposizione, di recente è stato evidenziato anche il fenomeno della doppia non imposizione che può essere sia l'effetto di omissioni e di difetti nelle tecniche legislative sia un effetto consapevolmente perseguito dagli Stati contraenti (Adonnino, P., Doppia imposizione – Postilla di aggiornamento, cit., 1) e tale per cui, alla stregua delle disposizioni interne dei due Stati contraenti, si verifica una situazione di doppia esenzione e quindi di doppia non imposizione di una determinata fattispecie.
Ebbene, si ritiene, in generale, che non esiste un implicito principio in base al quale se un reddito non è tassato in uno Stato contraente, esso debba essere necessariamente tassato nell’altro Stato contraente (Garbarino, C., Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in Digesto, Aggiornamento IV, Torino, 2008, 96).
Del resto, ancorché in base ad alcuni rapporti del Comitato degli Affari Fiscali dell’OCSE in relazione all'applicazione del Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni si sia argomentato che i trattati perseguirebbero, in aggiunta alla funzione principale di eliminare la doppia imposizione giuridica internazionale, altresì la funzione di prevenire una situazione di doppia non imposizione, in genere, derivante dall'adozione del metodo dell'esenzione, la dottrina è critica in ordine a tale interpretazione con particolare riferimento agli accordi stipulati dall'Italia. Ed invero, da una lettura sistematica dei trattati stessi emerge che il presupposto della loro applicazione è la sussistenza di una situazione di doppia imposizione, né, del resto, tale supposta ulteriore funzione di prevenire la doppia non imposizione risulta esplicitata nel titolo o nel preambolo dei trattati stipulati dall’Italia. Peraltro, si osserva come l’affermazione della funzione dei trattati di prevenire la doppia non imposizione non è presente nemmeno nel Commentario al Modello OCSE, ma solo nell'ambito del richiamato rapporto sull'applicazione del Modello medesimo (in ordine a tali profili, v. Tarigo, P., Doppia non imposizione e trattati italiani, in Dir. prat. trib., 2009, I, 1127 ss.).
Art. 67 d.P.R. 29.9.1973, n. 600; Art. 163 d.P.R. 22.12.1986, n. 917.
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