dono
Ha quasi sempre il significato proprio di " cosa donata ", con riferimento sia a oggetti materiali, sia a cose morali o spirituali. Infatti, in Pd V 19, il libero arbitrio è definito il maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando; dono è chiamato ironicamente il sangue ferrarese, sparso da Alessandro Novello, vescovo di Feltro (IX 59); dono è quello che di sé può fare all'amante la donna amata (Rime L 41 E voi pur sete quella ch'io più amo, / e che far mi potete maggior dono), e i sonetti che D. invia a un amico (Rime LXIII 12). Così ancora in Rime XL 8, XC 62, Cv I VIII 3, 5, 6, 7, 11 (3 volte), 12 (2 volte), 13 (2 volte), 15 (3 volte) e 17 (2 volte), IX 6, 7 e 10, XIII 2, II V 8, III II 4, VI 10, IV XX 6 (3 volte), XXI 11 (2 volte), XXVII 6; Fiore LII 14, LXXXV 11, CXXVII 3, CLVII 4, CLXXXII 11, CXC 9, CXCI 3; Detto 28 e 384.
Valore proprio ha il sostantivo nella locuzione ‛ prendere in d. ', in Fiore CCXXVII 11; valore figurato assume invece nella locuzione ‛ fare d. ', che troviamo in Rime CIV 104 ma far mi poterian di pace dono; If VI 78 e che di più parlar mi facci dono; Pg XXVIII 63 di levar li occhi suoi mi fece dono, adoperata da D. per esprimere il pressante desiderio di ottenere qualcosa, o la gioia di averla ottenuta.