DONNA (XIII, p. 146; App. I, p. 526; II, 1, p. 804)
Diritto italiano. - Considerata da un punto di vista generale, la posizione costituzionale della donna va inquadrata nell'art. 3 cost., secondo il quale "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge", respingendo pertanto esplicitamente qualsiasi distinzione, ivi compresa qualsiasi distinzione di sesso, e additando come compito della Repubblica anche quello di eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale i quali limitano di fatto l'uguaglianza dei cittadini.
La posizione della d. è poi specificata dalla costituzione secondo tre principali punti di vista: accesso a pubblici uffici, situazione nella famiglia, prestazione di un lavoro retribuito.
Dal primo punto di vista, l'art. 51 afferma che "tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Il che pone in contestazione la legittimità di disposizioni anteriori alla Costituzione, come la l. 17 gennaio 1919, n. 1176, la quale, pur aprendo alle donne la maggior parte delle carriere, confermò alcune restrizioni relative ad uffici che implicano la titolarità di diritti e di potestà di ordine pubblico. Infatti, l'art. 7 di tale legge, che esclude le donne da tutti gli uffici pubblici che implicano l'esercizio di diritti e di potestà politiche, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 18 maggio 1960, n. 33.
Dal secondo punto di vista, l'art. 29 afferma che "il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare": la regola dell'uguaglianza può cioè essere derogata solo per legge, e solo quando la deroga sia essenzialmente e direttamente motivata dall'intento di salvaguardare l'unitarietà di quella particolare comunità che corrisponde alla famiglia.
Dal terzo punto di vista, l'art. 37 afferma che "la d. lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla donna e al bambino una speciale adeguata protezione". Questo articolo ha sintetizzato i due diversi aspetti che caratterizzano la disciplina legislativa e sindacale del lavoro femminile: il primo aspetto ha un intento discriminatorio nel senso di tutelare nella lavoratrice la donna e la madre, e si risolve in disposizioni speciali in materia di ammissione al lavoro, di orarî di lavoro e di sospensione del rapporto per maternità, principalmente contenute nelle l. 26 aprile 1934, n. 653 sulla tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli e 20 agosto 1950, n. 860 sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri (v. maternità, in questa Appendice); il secondo aspetto ha invece un intento opposto, intendendosi predisporre, per il lavoro subordinato e, in particolare, per il lavoro nell'impresa, un ordinamento che non contenga alcuna discriminazione basata sul sesso del lavoratore. Quest'ultimo intento risulta specificato ed accentuato in materia di retribuzione: in base alla succitata norma della Costituzione, cui si è ripetutamente riconosciuto carattere precettivo, l'Italia ha ratificato, con l. 22 maggio 1956, n. 741, la Convenzione internazionale n. 100 per l'uguaglianza di retribuzione tra mano d'opera maschile e mano d'opera femminile per un lavoro di valore uguale.
Bibl.: Bureau International du Travail, Égalité de rémunération entre la main d'oeuvre masculine et la main d'oeuvre féminine pour un travail de valeur égale, Ginevra 1949; per l'accesso della donna alla magistratura si veda la sentenza della Corte costituzionale del 3 ottobre 1958, in Giurisprudenza costituzionale, 1958, p. 861 con la nota di commento di V. Crisafulli, C. Esposito e P. Barile, a p. 1243.