DONNA (dal lat. domina; fr. femme; sp. mujer; ted. Weib, Frau; ingl. woman)
Oriente. - La condizione della donna nell'Oriente ha variato secondo i tempi e i luoghi, ma in generale si può dire che le più antiche civiltà orientali, dotate di una salda organizzazione giuridica, assegnarono alla donna in larga misura diritti e protezione, ma non le lasciarono una notevole influenza nello svolgimento della loro vita spirituale; mentre le civiltà che a quelle successero, ed ebbero carattere di maggiore primitività barbarica (particolarmente gli Ebrei e gli Arabi), se si mostrarono più dure verso la donna per quanto si riferisce alla sua situazione di diritto, nel fatto risentirono molto più l'influenza femminile.
Molto elevata appare la condizione della donna nella legislazione sumerica e in quella babilonese, nelle quali essa gode di un'indipendenza quasi assoluta rispetto alla propria famiglia e all'autorità del marito, ed è libera di compiere qualsiasi negozio giuridico in nome proprio. Minore indipendenza si riscontra in Egitto, ma anche ivi la donna è protetta e rispettata, e specialmente partecipa, insieme con l'uomo, alle azioni del culto religioso. È da notarsi, tanto in Egitto, nella Babilonide e nell'Assiria, quanto nelle regioni circonvicine che subirono l'influsso di quelle civiltà, l'importanza politica assunta dalla donna, esprimentesi non solo attraverso i matrimonî dinastici, ma anche attraverso la reggenza tenuta dalla madre in caso di minorità del sovrano: tipico l'esempio della regina di Assiria Sammuramat, la Semiramide della leggenda greca. Anche presso i Fenici alcune principesse esercitarono influsso politico: si ricordino le storie bibliche di Izebel e di Atalia.
Il costituirsi, tuttavia, di grandi monarchie militari nell'Oriente anteriore portò, attraverso le conquiste e le alleanze, allo sviluppo, almeno presso i sovrani e i più cospicui personaggi dello stato, della poligamia e al formarsi di grandi harem. Questa trasformazione, sostanzialmente sfavorevole alla situazione morale della donna, si nota presso gli Ebrei, i quali nel periodo più antico della loro storia presentano un trattamento della donna molto primitivo e non scevro talvolta di eccessiva durezza, ma, nel complesso, fondato sulla monogamia e che lasciava alla donna una funzione importante nella vita domestica e, talvolta, anche in quella pubblica (caratteristica la parte esercitata da talune profetesse, come Debora e Hulda): i racconti del Genesi intorno alle famiglie dei patriarchi rivelano appunto, attraverso una nota di idillio rustico, una semplicità di costumi e una cordialità di rapporti che vien meno, nel periodo della monarchia, col formarsi degli harem regali di David e di Salomone, nei quali la donna ha sì un'influenza notevole, ma attraverso l'intrigo di palazzo e l'azione occulta esercitata sull'animo del marito: tipica a questo riguardo è la storia della designazione di Salomone a successore di David per opera di sua madre Bethsabea. Se lo sviluppo ulteriore della religione ebraica, purificando la morale, ha reso dignità di moglie e di madre alla matrona ebraica (si ricordi il celebre inno alla "donna forte" in Proverbî, XXXI, 10-31), e se la poligamia (pure non mai esplicitamente vietata dalla legge) finì col cadere in disuso, tuttavia il rigorismo del culto e della morale ebraica tende a escludere la donna da un'intensa partecipazione alla vita religiosa e in genere da ogni manifestazione pubblica.
La donna araba dell'età preislamica risente, da un lato, dello stato barbarico della società, ma dall'altro gode di una relativa libertà che le consente di esercitare un'influenza sociale notevole, paragonabile a quella della donna israelita dell'età più antica. Abbiamo così esempî di profetesse e di agitatrici politiche; perfino, dai più antichi documenti dell'età assira sino a Zenobia di Palmira, di regine che tennero personalmente il governo.
L'islamismo, se per un verso migliora la condizione della donna limitando la poligamia, per l'altro ne abbassa la situazione morale e sociale: la donna è segregata dalla società e ridotta alla vita del gineceo, donde non esce che velata; è diminuita nella sua capacità giuridica (la sua quota di successione ereditaria, il valore della sua testimonianza sono la metà di quelli dell'uomo); è avvilita nella sua dignità attraverso la poligamia, la facilità del ripudio, il pareggiamento alle concubine schiave rispetto alla legittimità della prole. Insufficiente compenso a tale svantaggio è la maggiore indipendenza della quale gode nei riguardi del patrimonio, che essa può amministrare liberamente, quando sia maritata o vedova, all'infuori di ogni ingerenza maschile. Pertanto la società islamica offre pochi esempî di donne illustri, per quanto non siano mancate quelle che, sporadicamente, si sono occupate di scienze e di arti; e soprattutto si ha un numero notevole di donne famose nel campo del misticismo, il quale, da questo punto di vista, è assai più liberale della dottrina religiosa ufficiale. È da notarsi che nell'Islām dei primi cinque secoli (come nella Grecia e per cause analoghe) la concubina (sempre schiava) è più colta che non la maritata. Negli ultimi cinquant'anni, quasi scomparse la poligamia e la schiavitù, un rigoglioso movimento femminista va risollevando grandemente la condizione della donna musulmana.
Nell'India e nella Persia la donna ebbe, nel periodo più antico, il riconoscimento di una situazione abbastanza elevata, che andò abbassandosi nel corso del tempo, qui per influsso dell'Islām, colà per l'irrigidirsi della vita sociale nelle caste. Famose sono le atroci disposizioni riguardo alle vedove del brahmanesimo, che culminano con l'imposizione del suicidio; e anche nell'India la penetrazione dell'Islām è stata più dannosa che benefica alla donna.
Per la posizione della donna in Cina, e i suoi tentativi moderni di emancipazione, v. cina (X, p. 273).
Antichità. - La donna nel mondo omerico. - Chiunque abbia una conoscenza, anche superficiale, del mondo omerico, da un lato, e della vita greca che si riflette nei documenti dell'età e della società attica, dall'altro (secoli V e IV a. C.), rimane colpito dalla diversità che vi si nota nella posizione sociale della donna. In Omero la moglie gode di tutta la considerazione che ha anche oggi presso i popoli civili. Arete, la moglie di Alcinoo, re dei Feaci, è venerata dal popolo come una dea e gode altissimo onore da parte del marito e dei figli. I maggiorenti odono e accolgono con rispetto il suo parere. A lei per primo si rivolge Ulisse, quando si presenta supplice alla corte dei Feaci; per lei è l'ultimo saluto del partente. All'eroe omerico il pensiero della moglie è sempre presente. Priamo nel suo dolore per la morte di Ettore non dimentica l'angoscia della vecchia madre. Nulla rattrista tanto il presago animo di Ettore come il pensiero della moglie che sarà trascinata schiava. Ulisse, amato da dee bellissime, non cessa di pensare nostalgicamente alla sposa lontana. Quest'ingenua rappresentazione di amor coniugale negli autori attici la ricercheremmo invano: sia perché la dignità della donna è scesa più in basso, sia anche perché un senso di riservatezza maschile impone di parlare il meno possibile dell'intimità domestica. Nell'età di Pericle o di Demostene due sposi che, come Ettore e Andromaca nel VI dell'Iliade, si fossero scambiati in pubblico carezze e tenere parole, sarebbero sembrati addirittura scandalosi.
In Omero, come sempre nel mondo antico, condizione normale della donna libera e adulta è l'essere sposa. La fanciulla, cresciuta sotto la sorveglianza della madre, passava il tempo giocando con le ancelle più giovani e dando mano alle faccende di casa; ma, appena in età da marito, cominciava a vagheggiare nei suoi sogni lo sposo che il padre le avrebbe scelto. Il matrimonio avveniva nella forma di una compra-vendita: lo sposo faceva poi alla sposa un regalo di nozze (ἔδνα) che essa portava con sé nella casa maritale. Non mancano in Omero anche accenni a dote (chiamata parimente ἔδνα). La coesistenza di due usi così poco conciliabili come la compra-vendita della sposa e l'assegnazione della dote si può spiegare sia con la varia stratificazione dei poemi omerici, sia con l'abitudine degli aedi di supporre nella remota età che essi cantano, usi e istituzioni dell'età loro, sia forse meglio con la permanenza di tracce di usi barbari in età più progredita.
Ufficio della moglie è anzitutto tenere in consegna i beni che la casa racchiude, coadiuvata da un'ancella di fiducia, la dispensiera (ταμίη); sorvegliare i lavori delle schiave ai quali essa presiede e prende parte; vigilare sulla disciplina domestica. La madre allatta da sé i figli; la nutrice è una bambinaia che durante l'allattamento ha cura della pulizia del lattante e lo porta fuori in collo accompagnando la madre, e quando è divezzato lo nutre e ne cura la prima educazione. Quando vi sono ospiti è la padrona che fa gli onori di casa, purché vi sia il marito (tale uso perdura anche in età storica nella società ionica, Semon., fr. 7 Diehl, vv. 19, 29); altrimenti rimane nelle sue stanze, e se deve mostrarsi fra gli uomini, vi compare con la faccia velata, non oltrepassa la soglia del μέγαρον e si fa accompagnare da ancelle: ancelle o una vecchia parente l'accompagnano quand'esce fuori di casa; per il resto è libera di uscire quando crede. La considerazione che gode la donna nel mondo omerico non impedisce che il concubinato e gli amori ancillari vi siano tollerati più che nell'età seguente e che la prole spuria sia messa alla pari con la legittima. Solo sotto questo aspetto la condizione della donna omerica ci appare inferiore a quella della donna attica.
La donna greca nell'età storica, particolarmente in Atene. - In età storica la donna non è più così libera di sé, né considerata. Si deve però tener conto che le informazioni che abbiamo circa la donna greca in quest'età sono in massima parte di fonte attica e ci riportano quindi in una città e in un tempo nel quale la libertà femminile era più che altrove limitata; non mancano infatti elementi d'informazione che, sebbene insufficienti a permetterci di ricostruire la condizione della donna fuori di Atene, lasciano pur tuttavia supporre che non sempre né dovunque la donna greca fosse tenuta in così poco conto. Più libera era certamente la donna spartana, che perciò aveva fama d'immoralità. Certo è che in Atene la donna faceva vita ritiratissima: e le consuetudini familiari, quali ci appaiono nel mondo attico, erano largamente diffuse, sia pure con temperamenti, e perdurarono a lungo.
La donna maritata almeno poteva girare liberamente per la casa, purché stesse bene attenta a scappare nelle sue stanze appena un estraneo si fosse presentato a cercare del marito. Ma alle fanciulle era vietato persino di circolare per la casa e passavano le giornate nell'uggia del gineceo. Quanto poi a uscir di casa, alle donne giovani, comprese le maritate, non era permesso che in certe occasioni. Nelle città in cui il divieto di uscire non era posto per legge, lo stabiliva il costume e l'autorità del capo di famiglia; e anche l'uso di farsi visita fra signore sembra fosse circondato da ogni cautela. È stato osservato che in alcuni autori, e specialmente nelle commedie di Aristofane, si trovano allusioni che non si spiegano se non ammettendo che il divieto di mostrarsi in pubblico posto alle donne non fosse rigorosamente osservato neanche in Atene; ma si deve ritenere che quei passi riflettano la vita delle famiglie povere dove, per mancanza di schiavi, certe incombenze (recarsi alla fonte, andare in giro per le spese) ricadevano necessariamente sulla madre di famiglia. In ogni tempo e presso ogni popolo la vita della povera gente ha molti caratteri comuni. Le differenze del costume fra età e popoli diversi si accentuano via via che il tenore di vita è più alto. Nelle famiglie agiate quel divieto era severissimo.
L'avvilimento della donna nell'età attica è da riconnettersi con la grande diffusione dell'amore per gli adolescenti e con l'interesse per la vita pubblica che assorbiva, nella democratica Atene, i cittadini, facendo sentire la necessità di vivere il più possibile in comune.
Solo durante le feste religiose, ovvero quando in una famiglia si celebrava un rito di nozze, o vi era un funerale, le donne potevano uscire liberamente. Sembra anche che potessero assistere a spettacoli teatrali, ma in una sezione separata dagli uomini. Si evitava però di condurre la donna alle commedie, per lo meno sinché fu tollerata la libertà di linguaggio della commedia antica (sec. V).
Uscendo solo eccezionalmente, la donna greca aveva rari contatti con gli uomini; pochi anche col marito, che le cure della campagna costringevano ad assenze periodiche. Sola spesso anche nel talamo, perché sembra che gli uomini ammogliati abitualmente dormissero nelle stanze riservate ai maschi, abituata a considerare come sua prima virtù il silenzio e come condizione di tranquillità domestica l'ignoranza, conduceva una vita monotona, attendendo agli uffici a cui per sua natura la donna è più adatta. Primo fra questi, come per la donna omerica e per la donna romana, era il servare domum: il marito le lasciava le chiavi della dispensa. Ella allattava e allevava i figli; era l'assidua custode delle femmine sinché non andavano spose; sorvegliava le schiave, tesseva, si occupava di cucina e aveva cura degl'infermi in caso di malattia. La poca frequenza del marito fra le pareti domestiche e il suo scarso attaccamento alla vita familiare facevano sì che la casa per la donna greca fosse al tempo stesso una prigione e un regno. L'uomo, consapevole dell'inferiorità di lei, come ne limitava la libertà, così indulgeva alle sue debolezze e ne rispettava anche la gelosia. I mariti riconoscevano l'autorità della moglie sui figli e sui servi. Sebbene il mondo greco ci appaia afflitto da una soffocante tirchieria, notiamo che quando la moglie usciva in pubblico per esercitare i suoi diritti sacrali il marito largheggiava. Da alcune situazioni della commedia nuova sembra che si giudicassero con spregiudicata benignità i trascorsi prematrimoniali delle fanciulle e anche in caso di adulterio si infieriva contro l'adultero, ma si scusava la donna.
Da giovinetta, questa imparava dalla madre e dalle schiave più esperte le nozioni necessarie alla vita e i lavori femminili. Vera istruzione, almeno in Atene, le fanciulle non ne ricevevano. Varî indizî ci portano a credere che nel mondo ionico, eolico e dorico alle donne del ceto migliore si desse la possibilità di acquistarsi una certa cultura. Ma in Atene la donna di buona famiglia è ignorante; la cultura femminile è rappresentata dalle etere (v.).
La donna ellenistica. - Un notevole innalzamento del livello sociale e culturale della donna greca presenta solo l'età ellenistica, con le sue monarchie assolute, generalmente più favorevoli alla partecipazione della donna alla vita pubblica che non i reggimenti democratici. L'esempio parte dalle corti stesse: le dinastie lagide e seleucidica presentano un'intera galleria di figure femminili di spiccata, se non certo sempre ammirevole, personalità, che attraverso gli oscuri intrighi di palazzo e talvolta assumendo apertamente nelle mani le redini del potere, svolgono un'importante parte nella vita politica dello stato. Basti appena accennare alla Berenice moglie di Tolomeo Sotere, e all'altra moglie dell'Evergete, a Laodice moglie di Antioco II, a Cleopatra moglie di Demetrio Nicatore, e a numerose altre principesse dell'epoca dei Diadochi, la cui ultima rappresentante, Cleopatra VII Filopatore (v.), ha soverchiato nella fama presso i posteri tutte le precedenti figure.
Ma dalle corti di Alessandria e di Antiochia la maggiore importanza data e presa dalla donna nella società si allarga anche ai più modesti strati sociali: cessata la libera vita politica, gli affetti familiari prendono un posto maggiore che non nell'epoca classica, le relazioni fra i sessi si affinano e ingentiliscono nella galanteria, nel crescere del sentimentalismo che trova anche espressione nella poesia e nelle arti figurative: e alla poesia e alle arti stesse le donne partecipano ora in assai più larga misura; pittrici come Edile, erudite come Anassandra, poetesse come Nosside di Locri, Miro di Bisanzio, Anite di Tegea, ci attestano questo rifiorire della vita femminile con taluni aspetti moderni, che è una delle caratteristiche dell'evoluzione politica e spirituale compiutasi dopo Alessandro.
Condizione giuridica della donna greca. - La donna in Grecia è giuridicamente incapace: essa ha limitata capacità processuale e limitato esercizio di diritti privati. In diritto attico, dove la sua posizione giuridica può essere meglio studiata, non può far testamento, non presta il suo consenso all'ἐγγύησις (v. sotto), non può fare atti di straordinaria amministrazione e neanche di ordinaria, se superino il valore di un medimno d'orzo. Sinché è minorenne sino a 14 anni è sotto la podestà del padre e la tutela del tutore (ἐπίτροπος); raggiunta la maggiore età, è soggetta alla tutela muliebre esercitata dal κύριος (il padre, il fratello, o il marito). In taluni casi e sotto l'osservanza di certe forme può essere citata in giudizio, deporre come testimone, prestare giuramento decisorio.
La donna ha capacità sacrale: interviene a cerimonie religiose familiari e pubbliche, può essere sacerdotessa. Partecipando dei sacra del marito, interviene pubblicamente alle nozze, ai funerali: cura il sepolcro dei parenti e, morta, riceve onori funebri.
Il matrimonio. - Presso i Greci il matrimonio è sentito come un dovere che uno ha verso lo stato, verso gli dei e verso sé stesso, per assicurare alla famiglia i discendenti che ereditino le sostanze e perpetuino il culto domestico. A Sparta questo dovere era sancito da legge. Il matrimonio è combinato dai padri, di solito quando lo sposo è adulto e la sposa è giovinetta (di qui la frequenza del matrimonio fra zio e nipote); si sta molto attenti alle condizioni economiche e allo stato sociale delle famiglie con cui si vuole stringere vincolo di affinità. Il cosiddetto matrimonio d'amore, specie nelle classi più elevate, è rara eccezione.
In diritto attico - mancano notizie precise per le città greche dell'età classica - fondamento giuridico del matrimonio è la coabitazione fra gli sposi (συνοικεῖν); ma perché dalla coabitazione nascesse il vincolo di iustae nuptiae era necessario che gli sposi fossero cittadini e che la sposa fosse stata promessa dal κύριος allo sposo mediante un atto solenne detto ἐγγύησις. All'atto dell'ἐγγύησις veniva normalmente fissata la dote (προῖξ, ϕερνή) che ogni famiglia appena agiata sentiva strettissimo dovere di assegnare alla fanciulla che andava sposa. Col cessare della coabitazione (che in certi casi poteva anche essere imposta dalla legge) cessava il vincolo coniugale. Per le cerimonie nuziali, v. matrimonio.
Lo donna etrusca. - Stando a notizie di autori greci (particolarmente Teopompo) e latini, il mondo femminino dell'Etruria offriva l'esempio della più sfrenata lussuria. A smentire queste notizie sta una copiosissima suppellettile archeologica che rappresenta in ogni secolo la donna etrusca in abiti e atteggiamenti serî e dignitosi, assidua compagna del marito nei banchetti, nella cui rappresentazione non c'è traccia di licenziosità. Quanto alto fosse tra gli Etruschi il senso della vita familiare e il rispetto del matrimonio è attestato dal persistente uso di rappresentare sui sarcofagi il marito con la moglie, e il motivo, tante volte riprodotto su urne cinerarie, del supremo commiato fra sposi davanti alla porta della morte. La consuetudine di apporre nelle epigrafi il matronimico accanto al patronimico del defunto attesta la considerazione in cui era tenuta la madre di famiglia. Raffinata e squisitamente elegante, amante dei gioielli e delle vesti più ricercate, non sembra davvero che la donna etrusca fosse anche profondamente immorale.
La donna romana. - Sin dall'età più antica i Romani sentirono profondamente l'attrattiva della vita domestica e fecero della propria moglie l'assidua compagna e cooperatrice della vita. La moglie stava accanto al marito, attendendo ai suoi lavori, quando questi riceveva; partecipava al banchetto, divideva con lui l'autorità sui figli e sui servi; era la sua confidente devota anche nelle più delicate esigenze della vita pubblica: consuetudine questa che, se talvolta rese possibile che vi fossero donne politicanti e intriganti o tali che con la loro imprudenza causarono la rovina del marito, nei casi normali cementava la comunione spirituale fra i coniugi. Nessun limite era posto alla sua libertà di uscire: col marito, poi, poteva anche recarsi a cena in case amiche e tornarne a notte inoltrata. Tuttavia questa libertà di vita non si scompagnava da un senso di austerità e di riservatezza, specialmente nell'età repubblicana: pure intervenendo al convito vi stava seduta e non sdraiata (Val. Max., II, 1, 2); non prendeva parte alla comessatio (v. banchetto) e non beveva vino ma mulsum, bevanda mescolata di vino e miele. Il divieto di bere il vino posto alla donna nei tempi più antichi era rigorosissimo. Nell'età imperiale è cessato da un pezzo.
Anche l'educazione femminile s'ispirava a criterî di prudente larghezza; nell'età infantile bambini e bambine crescevano insieme in promiscuità di vita e di giuochi. Le scuole elementari, dove sotto la guida del litterator s'imparava a leggere, scrivere, far di conto e stenografare, erano comuni ai due sessi. Si deve tuttavia supporre che l'uso della scuola promiscua trovasse un limite nell'età delle giovinette e che le migliori famiglie preferissero l'insegnamento privato. Dall'insegnamento del litterator le fanciulle agiate passavano a quello di praeceptores per lo studio della letteratura latina e greca e contemporaneamente imparavano a suonare la cetra, a cantare, a danzare. L'uomo romano non si rassegnava come il greco ad avere per compagna una donna ignorante e ristretta di idee, anche se la diffusa istruzione della donna minacciava di fornire ai salotti romani donne saccenti. Ma la maggior parte delle Romane nonostante la complessa educazione intellettuale ricevuta, si occupavano della casa, dei figli e dei lavori femminili. Le antiche Romane filavano e tessevano; in età più recente ricamavano.
Un'epigrafe famosa (Corp. Inscr. Lat., I, 1007) così definisce la virtù della donna romana: casta fuit, domum servavit, lanam fecit. Si può dire che l'ideale della donna romana rimase sempre lo stesso; e a questo ideale le più si uniformavano in ogni tempo, dovendosi ritenere esagerata la rappresentazione della matrona dell'età imperiale che non ha altro pensiero se non le gare del circo e i ludi gladiatorî, dove, bella e feroce, assiste con gioia allo spettacolo di sangue. Non è lecito estendere a tutta la società romana gli eccessi, per quanto gravi, di una parte di essa.
Lo studio del matrimonio romano appartiene alla storia del diritto (v. per questa e per gli usi nuziali, matrimonio).
Medioevo ed età moderna. - Il cristianesimo non va contro la disciplina della legge, ma ribadisce la sommissione della donna all'uomo. Non emancipa la donna, ma solo trasforma l'intimo valore della sua dipendenza. La donna cristiana, per suo conto, vuole rientrare nella disciplina della legge, purché questa abbia carattere spirituale e leghi a un fine superiore la vita di tutti i membri della famiglia. Nella famiglia cristiana la servitù non è prestata all'uomo, ma a Dio. In questa affermazione di un fine che la trascende, l'antica solida disciplina della famiglia repubblicana romana rivive nella cristiana. Se il cristianesimo deve anche alla cooperazione femminile la sua rapida diffusione nel mondo romano, ciò è dovuto non solo alla promessa della salute eterna, ma all'aver rinnovellato nella sua intima disciplina la vita familiare profondamente scossa e avvilita. Così solo il cristianesimo riuscì a neutralizzare gli effetti della corrente pervertitrice del costume, ispirata dall'Egitto e dall'Oriente. È noto che la propaganda apostolica in Roma fu subito circondata da numerose donne; S. Paolo menziona nomi di donne che in Roma "faticavano nel Signore".
Due erano i grandi mali del vecchio autoritarismo familiare: il ripudio della donna e l'esposizione dei figli, ai quali mali il cristianesimo contrapporrà una lotta senza quartiere (Paolo, I Cor., VII; Efes., V, VI; Ebr., XII). Se la nuova religione ribadiva la dipendenza della moglie dal marito, d'altra parte faceva un dovere alla donna di convertire il marito, conferendo un alto valore all'ascendente ch'ella esercitava sull'animo di lui. L'apostolo Pietro (Epist., I, 111) aveva indicato alla sposa nella sua stessa soggezione la via della rivalsa spirituale. Non sarà difficile ormai spiegarci perché nella famiglia cristiana così ricostruita, approfondirà la sua radice la fioritura della spiritualità femminile che vedremo svolgersi nei tempi successivi.
Verso la metà del sec. IV, con l'affermarsi dell'ascetismo anche in Occidente, la Chiesa ricerca sempre più la cooperazione femminile, assecondando il movimento di distacco delle donne dalla società. Si accentua l'esaltazione della verginità, ma il tipo di vergine che si esalta non è quello della donna rinunciataria, che si sottrae all'amore e alla famiglia per egoismo, ma è al contrario l'espressione della reazione alla famiglia decadente e autoritaria e di una più efficace opera femminile fuori dei confini di essa.
In questo periodo Girolamo, sull'esempio di quel che le donne stesse prediligevano, definirà il tipo eccellente della vergine e nelle sue lettere a Paola (384) e a Leta (402) detterà il codice più venerato dell'educazione ascetica della donna cristiana. Essa è sorda al flauto, alla cetra, alla lira; studia le sacre scritture, ne impara i versetti greci, ma senza trascurare la lingua latina. Sempre in compagnia della madre, si compiace di un'ancella malinconica dalla voce canora con cui cantare gl'inni sacri il giorno e la notte. Lavorerà anche la lana, ma non tesserà seriche vesti, né ricamerà in oro. Molto apprenderà anche dalle opere di Cipriano, di Atanasio e di Ilario. Girolamo vorrà che le giovinette non si diano pena di leggere Cicerone, Orazio, Virgilio, né amino di apparire istruite componendo graziose poesie in metri lirici.
Con le invasioni barbariche il convento s'impone nel mondo latino per accogliere i profughi di una civiltà che i barbari assediano da ogni lato. Accanto al riformatore latino della vita conventuale, Benedetto da Norcia, si delinea una figura di donna, altrettanto eroica, Scolastica. Ma nel convento s'inizia pure quel lavoro di conciliazione e di pacificazione, che ormai s'imponeva per la coesistenza di civili e barbari, di vinti e vincitori, di Latini e Goti. Lo spirito di universalità, ch'era stato anche in Roma, si fa ora più attivo e asseconda la pacificazione cristiana. Si delinea così un tipo laico di donna, distinto dall'eremitico e conventuale, che mette a disposizione della causa pacificatrice le più alte posizioni sociali, i proprî beni e la propria persona (Galla Placidia, Rusticiana, e tra i barbari Amalasunta). Né le due correnti pacificatrici, conventuale e laica, restano reciprocamente estranee. Il Regulae Pastoris Liber di Gregorio Magno riassume la dottrina cristiana del tempo, e in essa si delinea un tipo di donna, laica e madre, accanto a quello della vergine asceta. Il compito della donna nella vita sociale per le "opere buone" è messo all'altezza di quello della vergine consacrata al culto.
Diversa comincia a essere la sorte della donna italiana coi Longobardi e coi Franchi: coi Longobardi s'introduce in Italia un tipo di donna consona all'indole guerriera propria del capo di famiglia, padre o sposo, e nello stesso tempo sottomessa sino alla servitù, di fronte alla forza bruta del suo signore: anche il periodo successivo del feudalismo sarà appunto caratterizzato da un'educazione femminile puramente passiva. È logico che in questa completa sommissione all'uomo si vadano sviluppando nella donna le armi difensive dell'astuzia, della slealtà e insieme della reazione violenta (Rosmunda, Brunechilde, Fredegonda, ecc.). Soltanto la voce del cattolicesimo potrà attutire questi caratteri, e fare apparire qualche donna capace di maggiori ideali (Teodolinda).
Scarsi i diritti della donna nei riguardi sia della proprietà familiare, sia della successione. Il mundio (v.) del padre e del fratello sono illimitati, ella è sposata senza che si tenga conto del suo consenso, purché si tratti di un uomo libero. A talento del padre e del fratello, la figlia e la sorella sono destinate anche alla vita religiosa. Le donne sono sempre sub potestate virorum aut certe regis. Il matrimonio si presenta come un atto di compera. Per esso si scioglieva il mundio del padre e dei parenti, e la donna passava sotto la protezione armata del marito, il quale acquistava così il diritto di esercitare il suo mundio sulla donna. Il mundio maritale cessava con la morte del marito, tranne nei casi di gravissime indegnità da parte sua. In compenso lo sposo pagava alla sposa il dotalitium, prezzo del mundio parentale, e le assegnava il morgengabe, una specie di sopra-dote.
Verso il 1000 appaiono i segni di un risveglio della latinità. Avvenimenti e istituti caratteristici si affermano: la cavalleria, la tregua di Dio, le crociate. Il fascino della spiritualità della donna si ridesta; e il cavaliere crociato si piega alla sua volontà. L'amore s'intreccia alla religione, la combattività alla generosità, l'ardimento alla giustizia; e la finezza e la gentilezza si sviluppano dando luogo alle forme dell'educazione cavalleresca (v. cavalleria).
In Italia, la rinascita, che in Francia aveva origini aristocratiche, muove dal popolo, e col sorgere dei comuni, nel nuovo spirito di libertà, appaiono figure di donne battagliere ed eroiche (la leggendaria Cinzica de' Sismondi, Stamura e Aldruda di Bertinoro).
Ma la posizione giuridica della donna non muta sostanzialmente. Gli statuti delle varie città italiane, ut familiarum dignitas servetur, concordemente limitano i diritti civili patrimoniali delle donne. Le donne non si possono obbligare, senza il consenso del padre o del marito, o in mancanza di questi, degli agnati. Ad es., il comune di Firenze ammette la sexus tutela, però col consenso alla donna di scegliersi il tutore. La sexus tutela è l'influenza esercitata dal diritto barbarico. Generalmente vige il regime della dote, la sola prestazione cui le figlie abbiano diritto dal patrimonio paterno, e il cui ammontare, di regola, è anche lasciato al giudizio del padre e dei fratelli. La dote è amministrata dal marito ed è inalienabile. In alcuni statuti inalienabili sono anche i beni parafernali. Soltanto in assenza dei maschi, le femmine sono chiamate a succedere. La madre al massimo può godere dell'usufrutto dei beni dei figli venuti a morte e, anche di quest'usufrutto, con limitazioni. La successione della moglie al marito è generalmente esclusa. Ben pochi statuti, tra cui quelli di Milano e di Verona, attribuiscono alla moglie superstite un quarto del patrimonio del marito. Invece il marito, secondo molti statuti, gode ab intestato d'una parte della dote, anche in concorrenza dei figli; e secondo altri statuti, di tutta la dote, in mancanza dei figli. In Sardegna e in Sicilia, le mogli hanno maggiori diritti successorî. In genere negli statuti italiani, il divorzio non è più ammesso, ma soltanto la separazione, anche nel caso di adulterio. Il concubinato in alcuni statuti è punito con multa e con bando, l'adulterio con gravi multe e pene, e a Roma è anche perseguito per azione pubblica. Comune è l'obbligo della figlia di seguire la volontà del padre nella scelta del marito.
Una reazione alla persistente soggezione della donna s'inizia soprattutto col movimento francescano, di cui fu esponente Chiara Scifi di Assisi (1193-1253). E comincia il raffinamento e ingentilimento dei sentimenti, che si estende a tutta la società, e fa accogliere con fervore la letteratura trovadorica d'oltr'alpe. Sorge così la poesia della donna che trova la più alta espressione nella Beatrice angelicata. Il nuovo misticismo invade la società, penetra nella vita del popolo e assurge a superiori altezze in figure femminili, come quella di Caterina da Siena (1347-1380). A riscontro della donna italiana del comune, abbiamo in Francia le donne che affiancano il movimento ascensionale della monarchia, tra cui giganteggia la figura di Giovanna d'Arco (1412-1431).
Col costituirsi dei principati, la rinascita dello spirito italiano progredisce, pur subendo profonde trasformazioni. E con il rinnovarsi della cultura propria dell'Umanesimo e del Rinascimento, anche la donna acquista una nuova fisionomia. Accanto alle preghiere e alla sacra dottrina, leggerà anche Platone e Cicerone, Sallustio e Livio. La riunione del sacro e del profano acquisterà nella donna umanista un'armonia più radicata e nutrita che nell'uomo, dando luogo a quelle virtù di equilibrio che caratterizzano le splendide figure femminili delle corti italiane di Mantova, Ferrara, Urbino, Milano, ecc., nonché di corti straniere (Isabella di Spagna). Il monastero non è più il centro della vita educativa femminile. Con tutto ciò la grande forza della nuova educazione è ancora la religione, umanizzata e resa più immanente alla vita dello spirito. Religione dunque che non vuol essere in contrasto con la vita sociale, sicché la donna di palazzo, presentataci da Baldassarre Castiglione, potrà realizzare in sé una superiore armonia spirituale ed estetica. L'equilibrio e l'armonia delle qualità proprie della donna del Rinascimento vengono, peraltro, a spezzarsi con l'incipiente decadenza politica. Gl'ideali decadono in virtuosismi esteriori per cui anche le etere presumono di ornarsi delle qualità proprie delle letterate gentildonne. Sicché le migliori di queste (Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga) cercheranno d'uscire dalla corruzione invadente, approfondendo il loro sentimento religioso.
Il concilio di Trento dà un rinnovato valore spirituale all'istituto del matrimonio. Ma lo stesso rafforzamento della famiglia contribuisce a ribadire più che mai nei riguardi della donna le idee tradizionali della sommissione all'uomo. Anche lo spagnolismo trionfante concorre a rendere la casa un luogo di clausura per la donna, che è indotta a lasciare gli studî e a occuparsi solo delle opere domestiche. Tuttavia la madre è chiamata ad assumere una posizione spirituale più alta che per il passato nell'educazione dei figli. La Chiesa la chiama a cooperare direttamente alla rigenerazione del costume. Si viene a determinare per questa via un contrasto tra la nobiltà del fine proposto alla madre e la pochezza dei mezzi che le si dànno in potere. Tuttavia l'influenza dell'Umanesimo si fa ancora sentire, per quanto attenuata e trasformata. Si configura presso alcuni autori un tipo di educazione della donna a fondo religioso, senza per questo respingere ogni cultura (J. L. Vives, De Institutione feminae christianae, 1523; L. Dolce, Della institutione delle donne secondo li tre stati, che cadono nella vita humana, Venezia 1545). Ma i tentativi di fusione del movimento umanistico con quello della Controriforma in pratica non poievano dare frutti rilevanti. Al pieno assorbimento della donna nella soggezione della casa, contrastavano certo i tentativi d'innalzarne il livello degli studî e della cultura intellettuale. E infatti, in Francia, tutta un'esperienza del genere intrapresa ad opera di M.me de Maintenon, fondatrice della casa di Saint-Cyr nel 1686, coadiuvata intellettualmente dal Fénélon, non poté che fallire allo scopo. Nel 1692, l'istituto di Saint-Cyr viene a cessare per trasformarsi in convento.
Nel protestantesimo, con l'abolizione degli ordini religiosi e dell'educazione claustrale vengono in qualche guisa a concentrarsi nel matrimonio i valori spirituali della donna. Inoltre nel protestantesimo la donna partecipa al movimento della cultura, essendole necessarî, per la stessa esperienza religiosa, la lettura e l'esame personale dei libri sacri. Questa cultura permetterà alla donna un'opera di riforma educativa in seno alla società che andrà via via estendendosi sino negli strati più bassi del popolo. Esponente di quest'indirizzo è Amos Comenius, il quale, a fondamento del suo edificio di cultura per il popolo pone la Schola materni gremii, dove l'educazione materna si offre come base dell'intero ordinamento degli studî (Didactica magna, 1630-1640).
Frattanto il mondo femminile non rimane inerte, ma comincia a riscuotersi. La questione degli studî delle donne si agiterà per tutto il Settecento. A Napoli, per opera di Vincenzo Gravina, Paolo Mattia Doria, Antonio Genovesi; a Padova col concorso del Vallisnieri, del Volpe, del Camposampiero, si tiene desto l'interesse sull'importanza della questione, risolta per lo più in favore dell'istruzione femminile. Vi partecipano anche le donne, come Aterafila Savina De' Rossi, senese. Il p. G. Niccolò Bandiera, senese, pubblica a Venezia il Trattato degli studî delle donne (1740). Durante il Settecento, la discussione intorno agli studî delle donne interessa un sempre più largo numero di persone, non limitandosi più all'aristocrazia, ma estendendosi anche alla borghesia. In Francia e in Italia la cultura alla quale si vuole educare la donna non è solo ornamentale e letteraria, ma prevalentemente scientifica.
S'inizia pertanto il periodo di rinnovamento spirituale che caratterizza la seconda metà del Settecento. Alla formazione della coscienza del terzo stato non è estranea la donna e il processo è accelerato dal movimento scientifico che diventa anch'esso rivoluzionario e si estende rapidamente nelle varie classi sociali. In Francia si aprono agli scienziati i famosi salons, ove le donne esercitano un'influenza decisiva sulla formazione dei nuovi ideali culturali e politici (M.me Suard, la d'Épinay, la du Deffand, M.lle de Lespinasse, ecc.). In un primo momento predomina lo spirito enciclopedico e volterriano, ma dopo il 1760 con Rousseau e il suo Contrat social si afferma un pensiero, ispirato alla fede nella natura, che ricostituisce la società sulle basi del diritto e dell'eguaglianza, e mette salde radici nell'anima della donna. Il romanzo della Nouvelle Héloïse col suo tipo ideale di Giulia, amante e sposa, fa rivivere gl'intimi affetti dell'animo femminile. In complesso, la restaurazione della famiglia spirituale, secondo il modello di un naturalismo romantico, seduce l'immaginazione della donna. Ma la sensibilità femminile va oltre gli affetti familiari.
Sotto l'influenza rivoluzionaria del Rousseau, si viene rapidamente educando in Francia una nuova generazione di donne repubblicane, che anelano a essere non solo spose e madri, ma anche patriote eroiche e fervide umanitarie. Queste donne, che hanno sognato nella loro adolescenza la repubblica libera e giusta, si schiereranno poi contro la Rivoluzione, per il precoce ottenebramento demagogico dell'ideale rivoluzionario (M.me Roland, Carlotta Corday, Lucilla Desmoulins).
Prima ancora che in Francia, la rivoluzione scoppiò in America, dove con la Dichiarazione dei diritti del 1776 si affermava l'eguaglianza e la libertà degli uomini sin dal loro nascere. In questa proclamazione dei diritti di libertà e di eguaglianza viene ad essere rivendicata anche la sorte della donna americana, che più della latina riuscirà in breve tempo a sottrarsi alla soggezione maschile. In Francia la Dichiarazione dei diritti dell'89 implica anch'essa la revisione del diritto femminile. La capacità civile della donna viene riconosciuta: essa può ormai comprare, alienare, comparire dinnanzi alla giustizia come parte o testimonio, difendersi. Il movimento legislativo della Rivoluzione condurrà a una parificazione sempre maggiore dei due sessi nei rapporti civili, mentre assoggetterà a una radicale rivalutazione il matrimonio, non più sacramento, dipendente dalla Chiesa, ma semplice contratto civile. Alla fine dell'Assemblea legislativa un'ultima rivendicazione della libertà individuale veniva affermata con l'istituzione del divorzio. Si comprende quindi come per alcuni la Rivoluzione francese sia apparsa la grande emancipatrice della donna. Tuttavia la sua visione astratta del diritto individuale non permise che scarse e incerte applicazioni. Soprattutto per il mancato riconoscimento di ogni diritto politico, oltre quelli civili, il movimento non riuscì a porre salde radici. Come si rileva nel campo più propriamente educativo, dove fu contestato alle donne il diritto all'istruzione a parità di condizione con l'uomo. E ciò nonostante le idee di alcuni rivoluzionarî, come Condorcet e Sieyès, e anche alcuni tentativi giacobini di creare a spese dello stato scuole-convitti misti.
Ben presto s'inizia un processo di reazione che culminerà, dopo la Rivoluzione, con il codice napoleonico che si allontanerà ancor più dal principio della parità. E ciò soprattutto nel campo della famiglia legittima, in cui la donna perde l'esercizio della sua capacità giuridica, per il ripristinamento dell'autorità del marito su tutta la comunanza familiare. La legislazione napoleonica vuole assicurare alla donna nubile le conquiste della Rivoluzione nel campo dei diritti civili, sebbene questi diritti la donna fosse tutt'altro che preparata a godere.
Solo nei primi decennî del sec. XIX si svolge un decisivo movimento ascensionale della cultura femminile. Il principio della "donna che educa la donna" prende uno sviluppo sorprendente. Carolina Rudophi apre in Amburgo una scuola di giovinette che servirà poi di modello a numerose altre. Nella sua opera Gemalde Weiblicher Erziehung (Heidelberg 1815) favorisce un'educazione che renda la donna indipendente. Contemporaneamente in Francia M.me de Genlis rappresenta il tipo dell'insegnante moderna. Creare delle madri, ecco tutta l'educazione della donna, secondo M.me Campan. Nessun collegio, nessun convento può sostituire la famiglia, a patto, però, che la donna sia istruita. Nel campo dell'educazione se una corrente ideale sospinge a creare le madri, un'altra, non meno forte, provvede a sorreggere l'indipendenza femminile. Le due correnti si accordano nel fine superiore di educare la sposa e la madre del cittadino. In questo senso M.me De Rémusat, scrive il suo Essay sur l'éducation des femmes (1824). Lo studio della vita femminile nei suoi grandi contrasti interessa la passione e alletta la curiosità d'insigni educatrici (M.me Necker de Saussure) e romanziere (George Sand) che cercano di uscire dalla morsa delle contraddizioni consacrate nel costume e nelle leggi. Trionfa un tipo di donna sensibile eppur volitivo, abbastanza forte per fronteggiare la situazione che i tempi le offrono. Fa sovrattutto appello al ritemprato sentimento religioso; ella è devota, peraltro, a un cristianesimo radicalmente rinnovato, avvolto in un'atmosfera di eroismo romantico. La madre e la sposa fanno del loro sacrificio familiare un culto religioso, che trova tuttavia il suo necessario alimento nel carattere eroico dell'epoca: per il tramite della famiglia le donne sanno di collaborare ai grandiosi avvenimenti della storia.
Una più diretta influenza sociale della donna comincia ora a manifestarsi. Ella non rimane più circoscritta nell'ambito della casa, ma partecipa sempre più attivamente al movimento dell'educazione popolare e alla diffusione delle scuole del popolo. Due Inglesi si erano affacciate ai problemi dell'educazione: Miss Hamilton e Miss Edgeworth. La rivoluzione francese aveva posto il problema dell'educazione popolare, ma senza trovare i mezzi per effettuarla: questi mezzi doveva fornirli un moto ben diverso, sorto a combattere l'astrattezza dei principî rivoluzionarî. Per riuscire nell'intento farà appello alla sapienza semplice eppur profonda della madre popolana. Il tipo ideale della Geltrude pestalozziana rappresenta la donna della campagna nella sua anima antica, puramente cristiana, che attinge la sapienza, prima ancora che dalla Bibbia, dall'ispirazione del suo cuore. Questa ormai sembra la donna secondo natura, non più la rivoluzionaria borghese.
Il metodo materno, suggerito dalla Geltrude pestalozziana, e così chiamato da Gregorio Girard, segna il passaggio dall'indirizzo materialistico dell'educazione, proprio del sec. XVIII, all'indirizzo spiritualistico che verrà in auge nella prima metà del sec. XIX in Europa e specialmente in Italia. Quivi si svolge l'opera nazionale del risorgimento politico, e le due cause dell'educazione del popolo e del riscatto patrio si fondono nel pensiero degli uomini e delle donne migliori. Il movimento di diffusione degli asili, a cui collaborano donne insigni (Matilde Calandrini, Amelia Calani, Cristina Belgioioso, Anna Ricasoli) dà la possibilità a un'Italia oppressa di svolgere un primo moto liberale negli studî e nella cultura. Più o meno ovunque, in Europa la donna muove incontro ai nuovi bisogni dell'organizzazione delle scuole: così ella compie il primo decisivo passo nella società: vi s'introduce per sempre, come educatrice e insegnante. Ma per questo esige, a sua volta, un'educazione sempre più accurata. In Europa, sin dalla prima metà del secolo o subito dopo, sorgono scuole normali o magistrali, che hanno lo scopo professionale di preparare le insegnanti, ma che in realtà curano tutta la personalità femminile. D'altra parte, l'assetto democratico che trionfa negli stati più civili non tralascia di prendere in considerazione l'istruzione delle masse femminili. Negli ordinamenti dell'insegnamento elementare, accanto alle scuole maschili sorgono le femminili: in Francia, con la legge Guizot del 1833; in Italia, con la legge Casati del 1859.
Sennonché, nella seconda metà del sec. XIX, il tipo romantico della donna votata a una missione, sorretta da una fede, languisce e accenna a scomparire e si viene configurando il cosiddetto costume borghese, tutt'altro che favorevole all'elevazione femminile. La difesa della famiglia legittima, alla quale Napoleone aveva sacrificato la capacità giuridica della sposa e della madre, minacciava di degradare in una semplice tutela d'interessi patrimoniali. La donna borghese offrirà ormai i suoi modelli al romanzo e a tutta una letteratura che proprio questo ibrido tipo di donna innalzerà a critica vivente d'un regime decadente. Il naturalismo del romanzo psicologico e analitico denuda la falsità delle leggi e del costume e rivela come, nel corso del secolo, non già la validità della famiglia legittima si sia venuta consolidando, ma l'esigenza per la donna di svincolarsi dalle strettoie in cui artificialmente era trattenuta.
La profonda trasformazione economica della società, che si inizia negli ultimi decenni del sec. XIX in tutta Europa, è decisiva anche per l'orientamento della donna. L'unione matrimoniale si viene via via sciogliendo dai legami con la compagine patriarcale; si costituiscono più salde unità familiari, composte dei genitori e dei figli, che, a loro volta, richiedono maggiore sforzo economico da ciascuno dei membri. Quindi la più intensa collaborazione economica chiesta dall'uomo alla donna: sposa, madre, figlia. Anche la più celere urbanizzazione dei rurali e l'accresciuta aspirazione, in seno al proletariato delle industrie e dei commerci, di superare il ponte che lo separa dalla borghesia, spinge la donna delle classi inferiori a farsi collaboratrice valida del suo compagno. Infine, si ha l'esodo sempre più impressionante della donna, maritata o nubile, dalla casa per procurarsi al difuori un lavoro retribuito. A favorite questo esodo sta il fatto che altre importanti mansioni femminili casalinghe sono via via assorbite dalla grande industria e altre ancora sono disimpegnate da branche ben distinte dell'attività statale e sociale.
L'indipendenza economica s'impone ormai come il problema assillante non solo della donna, ma prima ancora dei padri, dei fratelli, dei mariti. I codici del sec. XIX aiutano per lo più questa aspirazione. Il codice civile italiano del 1865, ricalcato sul napoleonico, nega alle figlie l'azione verso il padre e la madre per obbligare questi a dar loro un assegno per causa di matrimonio. Nello stesso tempo toglie il carattere d'inalienabilità assoluta alla dote. Gli obblighi economici dei coniugi sono affatto reciproci, e parificati del tutto nei riguardi della prole. Anche ai legami che vincolano i fratelli al mantenimento delle sorelle viene conferito, in certe condizioni, un carattere di reciprocità. Il diritto ci presenta una figura di donna economicamente indipendente nell'ambito della stessa famiglia legittima. Ma questo principio d'indipendenza femminile acquista un risalto impressionante nei rapporti fuori del matrimonio, poiché la madre illegittima perde ogni diritto alla ricerca giuridica della paternità naturale. L'ordinamento legislativo imprime così un decisivo impulso all'esodo della donna dalla casa.
Dall'America venne una spinta più vivace all'emancipazione femminile. Gli Stati Uniti verso la metà del sec. XIX rendono possibile alla donna un'educazione altrettanto completa che quella degli uomini: non solo generale, ma anche professionale. La coeducazione fu introdotta nei collegi e nelle scuole. Orazio Mann riuscì a fondare nel 1853 il primo collegio di coeducazione negli Stati Uniti e il principio si fece strada anche in Europa. L'Italia fu una delle prime nazioni ad accoglierlo e nel 1877 si ebbe la prima laurea femminile. Così si aprirono due forme di scuole alle donne, le miste e le propriamente femminili, entrambe a cura principalmente dei poteri pubblici. La guerra offrì l'esperienza più decisiva per collaudare la capacità di lavoro delle donne col concorso di esse ai posti lasciati liberi dagli uomini. Nel dopoguerra, per quanto molte donne siano rientrate nei vecchi ranghi, il ritmo del lavoro femminile non ha perduto il suo vigore.
L'affermarsi del principio dell'indipendenza economica doveva avere il suo decisivo contraccolpo nell'ordinamento familiare. L'istituto dell'autorità maritale perdette un poco della sua rigidezza per individuare una figura di moglie economicamente indipendente. Il movimento cominciò molto presto; prima di tutto, negli Stati Uniti. Quivi, prima ancora del 1840, ebbe inizio la riscossa femminile contro la Common Law, l'antico diritto derivato dal gius germanico e anglosassone. Primo fu il Vermont nel 1840 a proclamare la libertà della moglie di disporre dei proprî guadagni e dei suoi beni particolari, poi via via gli altri stati. Anche l'Inghilterra ricorse alle stesse disposizioni con le leggi del 9 agosto 1870, 18 agosto 1882, 5 dicembre 1890; la stessa Francia, patria dell'autorizzazione maritale, con le leggi 6 aprile 1893, 5 aprile 1910, estese la capacità legale della donna maritata alla libera amministrazione dei proprî guadagni. In Scozia la legge 13 dicembre 1920 accordò alla donna maritata gli stessi diritti della legge inglese. Secondo il codice tedesco la donna maritata è interamente capace per gli atti relativi ai beni che le sono riservati per legge o per contratto di matrimonio; il codice svizzero non reca nessuna importante restrizione alla capacità civile della donna maritata. In Portogallo la donna maritata non è più colpita d'incapacità. L'Italia con la legge 17 luglio 1919 ammise la donna alla libera amministrazione dei beni parafernali nonché dei suoi guadagni. Un nuovo tipo di donna si viene affermando nella famiglia e fuori, e indice del passaggio tra il vecchio e il nuovo si può considerare tutta la recente legislazione sul divorzio (v.) che, così come si affaccia sul moderno terreno economico, asseconda non già il desiderio di porre la sanatoria a questo o a quel caso di unione infelice, ma definisce un vero inizio di disfacimento dell'unione matrimoniale, nel suo vecchio contenuto di soggezione femminile. Il periodo dell'anteguerra si chiude con l'oscillazione tra le due formule ideali, o unione libera o matrimonio libero; programma ripreso dalla Russia con la legislazione sovietica. Il dopoguerra non pose una vera remora al movimento divorzista, esteso anzi a quasi tutti gli stati che, salvo poche eccezioni, vedono nel matrimonio un semplice atto civile.
Ma non per questo si deve intendere che col sec. XX si vada incontro a un dissolvimento irreparabile della famiglia. Il problema della ricostruzione della famiglia si è più o meno imposto ovunque, ma per lo più non in senso reazionario. Se ne è vista la complessità, sboccando in esso non solo il mutamento economico, ma anche la trasformazione morale di tutta la società. Infatti a sostegno della donna si determinò il cosiddetto movimento femminile. Sorto in America negli ultimi decennî del sec. XIX, questo movimento, affermatosi subito presso le classi dirigenti, volle promuovere in tutto il mondo una più proficua collaborazione della donna in ogni campo dell'attività umana. Da principio fu apolitico e aconfessionale; dopo la guerra si orientò sempre più secondo l'attività della Società delle nazioni, non rinunciando con ciò, ma anzi confermando il suo principio collaborazionista. Le due associazioni meglio rappresentative del carattere del movimento femminile internazionale sono il Consiglio internazionale delle donne, sorto in America nel 1889, e l'Alleanza internazionale femminile pro suffragio sorta dal seno stesso del Consiglio internazionale. Tutte e due hanno diramazioni in Italia: il Consiglio nazionale delle donne italiane, nato nel 1903 in Roma, e l'Alleanza femminile pro suffragio, sorta pure in Roma subito dopo.
La necessità di abolire il codice napoleonico per un nuovo diritto familiare è entrata nella coscienza di tutti i paesi civili e rientra nel programma del movimento femminile. Né è affatto trascurabile il movimento femminile italiano, quale si svolse nel secolo presente, preoccupato soprattutto del problema centrale della ricostruzione della famiglia. Nei tre grandi congressi organizzati dal Consiglio nazionale delle donne italiane (1908, 1914, 1923) le discussioni e i lavori s'incentrarono sempre più sul tema della elevazione della famiglia e delle riforme giuridiche, economiche e morali che questa implica. Nell'ultimo decennio il movimento dei Fasci femminili, novellamente sorto, e il cattolico, rinforzatosi, si avanzarono più decisamente che mai nella stessa direzione: ciascuno recando una visione propria del complesso problema.
L'interesse femminile, comunque lo si consideri, nella sua assisa internazionale o nazionale, è sempre più nettamente orientato verso gl'interessi delle nuove generazioni, per il consolidamento di più adeguate responsabilità. La rapida ascesa del movimento nel secolo presente, il suo crescente successo presso le classi dirigenti, è principalmente dovuto a questo più alto senso morale che la donna moderna porta in tutte le riforme dell'attività sociale e politica. Si spiega così il crescente numero delle donne partecipanti ai poteri pubblici. In pochi e piccoli stati le donne godevano dei diritti politici prima della guerra: Finlandia (1906), Norvegia (1907-1909), Danimarca (1915). Dopo la guerra hanno ottenuto i diritti politici in altri stati: Germania (1918); Austria (1918); Cecoslovacchia (1918); Russia (1917); Svezia (1919-1921); Olanda (1923). Le donne godono anche dei diritti politici nei seguenti stati: Estonia, Lettonia, Lussemburgo, Polonia. Nel 1920 negli Stati Uniti d'America raggiunsero la piena vittoria nell'equiparazione dei diritti politici. Le donne inglesi nel 1929 per la prima volta nelle elezioni generali esercitarono il loro diritto politico in condizioni di parità con gli uomini. Anche l'Ungheria nel 1922 estese il diritto di suffragio alle donne. Nel 1929 la Romania concede il voto politico alle donne; nello stesso anno è accordato alle donne di Ceylon. Nella repubblica dell'Ecuador l'eguaglianza dei sessi viene scritta nella Costituzione. Nello stesso anno 1929 la Finlandia nomina una donna ministro degli Affari esteri; nel Belgio una donna è eletta alla Camera: la prima deputatessa. Portorico, sempre nello stesso anno, estende il voto politico alle donne. Nel 1930 abbiamo nel Canada la prima donna al Senato. In Germania nel 1930 le donne elette al Reichstag sono 39. In Grecia si emana un decreto per accordare alle donne il suffragio municipale limitato. Nella Giamaica le donne sono dichiarate eleggibili nei municipî (1930). In Norvegia due donne sono elette al parlamento (1930). In Turchia è concesso alle donne il voto municipale (1930). A Vienna con le elezioni del 1930 le donne conquistano 11 seggi, invece dei 6 che avevano prima. Anche la diplomazia nel dopoguerra si avvale sempre più largamente dell'opera femminile. In Europa, oltre l'Unione sovietica, anche l'Olanda, la Finlandia, la Bulgaria, l'Ungheria, la Cecoslovacchia si giovano di donne diplomatiche. La pressione economica asseconda l'ascensione delle donne alle cariche pubbliche. Tutte queste conquiste svolgono in modo sempre più profondo e ampio il principio della collaborazione spirituale dei sessi, ritenuto ormai essenziale all'incremento della civiltà moderna.
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