DONEGANI
Famiglia di capomastri e architetti di origine comasca trasferitasi a Brescia alla metà del sec. XVIII.
Giovanni Antonio, nato a Moltrasio (Como), fu attivo a Brescia dal 1750 al 1780 circa; si stabilì a Brescia in qualità di "fabbro muraro" e "capo maestro"; nel 1754 risulta dimorante a Gussago nel territorio bresciano. La prima opera documentata è la costruzione - e forse progettazione - del palazzo Baruzzi a Brescia, iniziato nel 1751, identificabile con l'attuale palazzo Franchi già Fioravanti, in via Marsala 14. In collaborazione con l'architetto D. Corbellini progettò nel 1757 il nuovo deposito delle polveri da sparo, fuori delle mura a S. Eustachio. Nello stesso anno fu incaricato delle perizie per il completamento della chiesa benedettina di S. Eufemia.
Ancora a Brescia si segnalano interventi minori in altre chiese: collocamento delle statue all'altare maggiore della Carità e a quello di S. Giovanni Nepomuceno in S. Nazaro (ambedue nel 1758). L'attività di Giovanni Antonio come capomastro appare successivamente in riferimento alle due importanti fabbriche cittadine del teatro degli Erranti (1761) e della Loggia; in quest'ultimo edificio allestì la copertura provvisoria del salone (1766), in sostituzione della volta crollata nello stesso anno.
Ultimo suo lavoro documentato è il completamento della facciata della parrocchiale di Coccaglio (1782).
Giovanni Antonio ebbe quattro figli, Giovanni, Antonio, Giuseppe, Piero, che proseguirono l'attività paterna e, nel 1793, richiesero la cittadinanza bresciana. Il più noto di questi, l'architetto Giovanni, ebbe numerosi figli: di essi Carlo e Luigi furono attivi per tutta la prima metà del XIX secolo.
Antonio, figlio di Giovanni Antonio, collaborò almeno dal 1782 all'impresa di costruzione del padre accanto al fratello Giovanni: in quell'anno viene infatti autorizzato al ruolo di capomastro, senza però assumere un'identità autonoma nei confronti dei più titolati parenti. Solo dopo la morte del fratello, nel 1813, Antonio chiese di essere iscritto all'albo degli architetti civili per continuare a svolgere quella professione che aveva sempre esercitato: a partire da quella data le notizie che lo indicano attivo nella ristrutturazione o nella nuova costruzione di numerosi edifici privati e pubblici si intensificano. Nel 1813 intervenne nel restauro della casa di Cirò Contilla in contrada Vescovato 472 (ora via Trieste 26) a Brescia, nel 1816 in quella delle sorelle Caligari in contrada S. Lorenzo 1145 (distrutta), nel 1817 nell'abitazione di Pietro Massardi in contrada Bredazzola 1106 (distrutta), in quella di Girolamo Cazzago in piazza di S. Eufemia 560 (piazza Arnaldo) e in quella di Giovanni Grandini in contrada di S. Giulia 116 (via Musei 83).
Fu inoltre perito capomastro della prefettura, del genio militare e dell'intendenza di finanza. Su commissione di quest'ultima apportò alcune modifiche agli accessi alle porte della città, curando la realizzazione di porticati per le merci ed alloggiamenti per le guardie daziarie: nel 1816 a porta S. Nazaro, nel 1817 e nel 1819 a porta Pile; ristrutturò inoltre anche l'abitazione dell'intendente di finanza in contrada S. Caterina.
Nel 1819 infine offrì alla deputazione all'Ornato un disegno per la conclusione dei portici principali di Brescia con una copertura della contrada Granarolo. Del progetto, molto apprezzato, fu poi realizzata una copia presentata all'imperatore in occasione della sua visita ufficiale alla città.
Il lavoro di Antonio è comunque difficilmente caratterizzabile per la mancanza di opere a lui solo certamente attribuibili; anche negli ultimi anni della sua attività ebbe infatti come collaboratore il nipote Luigi, autore di numerosi disegni riferiti ai progetti sopra ricordati. È però sicuro l'impiego di semplici elementi decorativi neocinquecenteschi, quali portali, contorni di finestre, bugnati, ampiamente usati in ambito locale, molto spesso semplicemente dipinti, con effetto trompe-l'oeil.
Fonti e Bibl.: Per Giov. Antonio cfr.: Brescia, Arch. stor. civico, reg. 821, c. 58v; reg. 1011, c. 54; Ibid., Teatro Grande, 4; Arch. di Stato di Brescia, Notaio Matteo Crescini, filza 11165; Ibid., Cancelleria prefettizia, 68; Ibid., Fondo Ospedale Maggiore, S. Eufemia (miscellanea XVIII sec.); Coccaglio (Brescia), Archivio parrocchiale, carte sparse; P. Guerrini, La Società di S. Giovanni Nepomuceno, in Mem. stor. della diocesi di Brescia, p. 120; C. Boselli, Le opere d'arte della chiesa della Carità, Brescia 1974, pp. 21, 39 e 50; Presenze benedettine nel Bresciano dai documenti dell'Archivio di Stato di Brescia (catal.), a cura di L. Bezzi-R. Boschi-R. Navarrini, Brescia 1980, p. 22; M. Annibale Marchina, S. Eufemia: fabbrica di una chiesa, in Aspetti della società bresciana nel Settecento (catal.), Brescia 1981, pp. 185-194; S. Guerrini, Chiese bresciane dei sec. XVII-XVIII, Brescia 1981, pp. 46 s.
Per Antonio: Archivio di Stato di Brescia, Fondo I. R. Delegazione provinciale, 4076; Ibid., Fondo Intendenza di finanza, 41; Ibid., Fondo Archivio del Comune di Brescia, R. VIII, 411; Ibid., Fondo Ufficiotecnico del Comune di Brescia, Ornato, buste 210, c. 14; 211, cc. 384, 395, 411, 456, 460, 475, 477, 527, 529; 212, cc. 580, 640, 750; 213, cc. 864, 887, 965, 990, 1027, 1029, 1106, 1115, 1116; 214, cc. 1170, 1180, 1191, 1218, 1227, 1235, 1283, 1298, 1319, 1361, 1384; 215, cc. 1412, 1513, 1545, 1552; 216, cc. 1623, 1711, 1755, 1764, 1789; Archivio di Stato di Milano, Fondo studi, parte moderna, busta 258, cartella 32; Fondo Ministero della Guerra, 648 bis; G. Panazza, Il volto stor. di Brescia (catal.), Brescia 1980, II, p. 10; III, p. 9.