FRISIA, Donato
Nacque il 30 ag. 1883 a Merate, nei pressi di Como, da Costantino, costruttore edile e decoratore dall'intenso passato risorgimentale, e da Giuseppina Grancini, proveniente da una famiglia agiata di commercianti milanesi. Iniziò a lavorare da ragazzo con il padre nelle ville signorili della Brianza, dove ebbe modo di osservare opere di E. Gola, che lo indussero ad accostarsi alla pittura.
Dopo aver seguito le lezioni di R. Brambilla presso la Scuola di disegno di Merate, dal 1905 studiò all'Accademia di belle arti di Brera, a Milano, dove frequentò contemporaneamente i corsi di scultura (E. Butti), pittura (C. Tallone) e architettura (C. Boito). Con il tempo i suoi interessi si precisarono: nel 1908 conseguì la licenza del corso di scultura e, due anni dopo, quella del corso di pittura, mentre rinunciò alla terza licenza. Nel 1910 a Milano, alla mostra organizzata dalla Permanente, espose un dipinto di chiara matrice talloniana, ma con un accento personale nell'uso evocativo del colore, Il violoncellista cieco (1909), primo saggio delle sue doti di colorista di talento, che incontrò l'approvazione di artisti affermati quali G. Previati, A. Morbelli, V. Grubicy. Il 1910 è anche l'anno dell'incontro con Gola, al quale il F. si legò non in un rapporto di discepolato, ma in un sodalizio ugualmente carico di implicazioni; il lavoro a stretto contatto con il più anziano artista - colto e aggiornato sulla situazione europea - ampliò i suoi orizzonti, emancipandolo dal rigido insegnamento realista del Tallone.
Socio della Permanente dal 1910 (sarebbe intervenuto a tutte le mostre successive di questa istituzione), nel 1912 il F. venne nominato socio onorario di Brera. L'anno seguente registra la sua partecipazione, in rappresentanza ufficiale dell'Italia, alla Quadriennale di Monaco di Baviera, dove espose diverse tele, tra le quali si segnala il Ritratto del padre (Milano, Pinacoteca Ambrosiana). Allo stesso 1913 risale il matrimonio con Maria Galli, dal quale nacquero cinque figli (Bruno, Costanza, Emilio, Lucia e Luisa). Nel 1914 prese parte per la prima volta alla Biennale di Venezia - dove espose quasi ininterrottamente fino al 1950 - presentando un non meglio identificato Pastello.
Nel panorama della pittura italiana d'anteguerra la sua figura appare coerentemente orientata verso una linea di indipendenza, come dimostrano il rifiuto di essere aggregato al movimento divisionista (non accettò l'invito ad aderire propostogli dal Grubicy), l'estraneità alle suggestioni futuriste e lo stesso graduale allontanamento dalla lezione goliana, dovuto a un'esigenza di solidità costruttiva che deriva al pittore dall'esperienza della scultura. Questa componente materica è tale che per dipinti come Al fronte: carico di legname, eseguito durante la guerra, e Il valloncello si è parlato (Mascherpa, 1975, p. 11) di precorrimenti della pittura informale, in particolare di E. Morlotti. Il gusto plastico che caratterizza la pittura del F. è destinato a definirsi più compiutamente negli anni tra le due guerre.
In tale periodo l'artista si dedicò attivamente al paesaggio (eseguito di getto, senza il filtro stilistico costantemente interposto, ad esempio, da A. Tosi) come anche alla natura morta e al ritratto. Proprio in questi due ultimi generi, che richiesero un'elaborazione più lenta e meditata e che, quindi, gli consentirono una maggiore decantazione, il F. ritenne (Radice, 1954) di aver ottenuto esiti superiori a quelli raggiunti come paesista. La fedeltà all'iconografia del XIX secolo, che ha portato talvolta alla forzatura di considerare il F. un epigono del cosiddetto impressionismo lombardo, non significa, però, adesione tout court ai modi formali ottocenteschi. La sua pittura si distingue per un che di arido (predominano nella tavolozza frisiana il bianco calce e le terre naturali di tonalità spenta, colori tradizionali della tecnica murale), il contorno solido, l'abolizione dello sfumato, la rinuncia all'abuso del chiaroscuro: tali elementi concorrono tutti a un superamento dei residui romantici a favore di una forma di espressione più moderna.
Con le nuove esigenze estetiche il F. ebbe occasione di confrontarsi nel 1919, l'anno del primo dei suoi molti soggiorni a Parigi (a scadenza pressoché biennale, fino al 1949), nel corso del quale, ospite di A. Bucci, coltivò una breve ma intensa amicizia con A. Modigliani, il quale lo ritrasse in tre disegni. Nella capitale francese il F. frequentò anche P. Picasso e G. Braque, che stimò pur avvertendone la distanza dal proprio mondo poetico; tuttavia, la connotazione plastica dello spazio nei suoi paesaggi, certi "piani scivolati" delle nature morte, una ricerca tecnica talora esasperata, denunciano il contatto con l'ambiente parigino. Si moltiplicarono da questo momento i viaggi nelle grandi capitali europee e nel Mediterraneo (frequenti e di lunga durata anche i soggiorni a Venezia e Portofino). A Malta nel 1932 fu incaricato, con R. De Grada ed E. Paolucci, di eseguire per conto del ministero degli Esteri italiano una serie di vedute ad acquerello, oggi conservate al British Museum della Valletta e alla Galleria comunale d'arte moderna di Roma.
Questa commissione pubblica si inquadra in una serie di riconoscimenti ufficiali: dal premio Principe Umberto di Milano (1922) per Ritratto di signora al premio E. Mortara di Firenze (1924, IV concorso S. Ussi) per L'incinta e la sua famiglia, alla medaglia d'oro ricevuta in occasione delle edizioni del 1927 e 1929 dell'Esposizione nazionale dell'arte del paesaggio di Bologna; dal premio alla Mostra dell'autoritratto di Milano (1932) per il dipinto conservato alla Galleria comunale d'arte moderna milanese alla medaglia d'argento dell'Esposizione Universale di Parigi (1937) per Figura rosa (Monza, Civici Musei), fino al premio G. Ricci di Brera (1939), conferito al pittore - ex aequo con U. Lilloni - da una giuria che comprendeva C. Carrà e A. Soffici. La fama e la stima godute dal F. sono ribadite dalla sua partecipazione alle quadriennali romane fin dalla prima edizione (1931), dagli acquisti di opere sue da parte sia della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma che delle gallerie comunali della capitale, di Milano, di Torino, e infine dalle numerose personali presso gallerie di prestigio (Pesaro, Barbaroux, Gian Ferrari a Milano), ma soprattutto da quella organizzata dalla Permanente milanese nel 1941 con una commissione composta da A. Carpi e A. Martini, i quali collaborarono con il F. alla scelta delle 140 opere esposte. Il F. partecipò costantemente anche alle mostre organizzate dal Sindacato fascista belle arti: sia a quelle regionali (che si tennero dal 1928 a Milano contestualmente alle annuali esposizioni della Permanente), sia a quelle nazionali di Firenze nel 1933, dove espose Dissonanze e Siracusa (catal., p. 33), e di Milano (1941).
Lontano dalla logica di gruppo - non aderì a Novecento, il cui clima idealizzante gli era del resto estraneo - e pur apparentemente isolato, in realtà il F. poté contare su amicizie professionali basate su un comune atteggiamento etico nell'affrontare i problemi della pittura. A partire dagli anni Trenta la sua casa fu frequentata da personalità quali U. Lilloni, A. Savinio, E. Treccani, B. Cassinari, E. Morlotti, e appunto nella trama di contatti da lui istituiti tra artisti diversamente orientati va riconosciuto il ruolo storico del pittore brianzolo. Giova ricordare in proposito come egli sia stato tra i sostenitori del premio Bergamo e abbia partecipato a tutte e quattro le edizioni della rassegna (1939-42); nel 1940, grazie al dipinto Composizione (ubicazione ignota), vinse il secondo premio - il primo andò a M. Mafai e il terzo a R. Guttuso - che gli fu assegnato da una giuria nella quale figuravano C. Carrà, O. Rosai e G.C. Argan. Nel 1942 prese parte alla XXIII Biennale di Venezia esponendo 27 opere, tra cui il paesaggio del 1933 Costantinopoli: il Bosforo (Piacenza, Galleria d'arte moderna Ricci Oddi).
A un'altra positiva esperienza di incontro il F. diede vita nel secondo dopoguerra, con U. Lilloni, E. Treccani, R. De Grada, D. Cantatore, A. Spilimbergo. Questi artisti si radunavano annualmente a Bardonecchia, ospiti dell'albergatore Renato Perego, per soggiorni dedicati allo studio del paesaggio locale.
Il F. morì a Merate il 13 dic. 1953: l'anno seguente fu allestita una restrospettiva del suo lavoro a Milano e un'antologica si tenne nel 1956 a Roma nell'ambito della Quadriennale.
Fonti e Bibl.: M. Radice, Una mostra commemorativa. D. F., in L'Italia, 20 dic. 1954; U. Ojetti, Tre pittori italiani a Malta, Milano-Roma 1932; O. Vergani, D. F., Milano 1948; L. Borgese, Opere del pittore D. F., Bergamo 1954; Aspetti del naturalismo lombardo (catal.), a cura di G. Mascherpa, Lecco 1975, pp. 11-21; M. Sironi, Scritti editi e inediti, a cura di E. Camesasca, Milano 1980, p. 40; M. Pizziolo, D. F. L'invenzione del vero, Bergamo 1991 (con bibl.); La pittura in Italia. Il Novecento/1. 1900-1945, Milano 1992, II, p. 898 e ad Indicem; Gli anni del Premio Bergamo… (catal., Bergamo), II, Il Premio Bergamo 1939-42. Documenti, lettere, biografie, a cura di M. Lorandi - F. Rea - C. Tellini Perina, Milano 1993, pp. 201-203; H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX. Jahrh.s, II, p. 165.