ETNA, Donato
Nato a Mondovì (Cuneo) il 15 giugno 1858, da genitori ignoti (nella cartella biografica dell'Archivio storico dello Stato maggiore dell'esercito, un appunto dattiloscritto dichiara l'E. figlio naturale di Vittorio Emanuele II), frequentò la scqola militare di Modena e nel 1879 fu assegnato come sottotenente al 230 reggimento di fanteria. Presto fu destinato al corpo degli alpini, che avrebbe servito per il resto della vita. Promosso capitano nel 1888, divenne poi maggiore nel 1897 presso il 7° reggimento degli alpini.
Nel 1898 trascorse un breve periodo nella colonia Eritrea. Rientrato in Italia nel 50 alpini, proseguì la normale carriera militare, raggiungendo nel 1906 il grado di colonnello e nel 1912 quello di maggiore generale al comando della brigata "Puglie". Passò poi al comando della Il brigata alpina, con la quale dal gennaio al giugno 1913 combatté in Libia contro la resistenza araba, che continuava nonostante il trattato di pace appena firmato tra Italia e Turchia.
All'entrata in guerra dell'Italia, nel 1915, l'E. si distinse subito nel giugno con la conquista del monte Nero, destando così l'attenzione di L. Cadorna, che lo promosse nell'agosto tenente generale e gli affidò il comando della 17a e 28a divisione. Il capo di stato maggiore mantenne, negli anni successivi, la massima fiducia nell'E., e continuò ad assegnargli missioni particolarmente delicate: nell'aprile 1916 l'E. fu destinato alla difesa della Valsugana, in vista dell'imminente Strafexpedition del generale austriaco Fr. Conrad.
Il settore risultò quello che meglio sostenne l'urto dell'offensiva, deviando gli Austriaci sul terreno più difficile degli altopiani. Per l'impresa l'E. meritò il conferimento dell'ordine militare di Savoia e la promozione a generale capo d'armata al comando del XVIII corpo. Secondo alcune testimonianze lo stesso Cadorna prese a modello lo sbarramento adottato dall'E. in Valsugana e invitò altri ufficiali a studiarlo. L'E. espose le sue idee nel Memoriale per l'ufficiale sulle Alpi, Torino 1916.
Nell'estate del 1916 l'E. tenne l'alta direzione delle operazioni svolte dal "nucleo Ferrari" sulle Alpi di Fassa, che culminò con la presa del monte Cauriol. In ottobre stabilì il tracciato e diresse poi i lavori per la prima strada del Grappa, che collegò Bassano al monte Asolone, un percorso che si rivelò poi importante per le successive azioni difensive.
Nel settembre 1917 fu escogitato un piano offensivo che coinvolgeva il settore della Valsugana, ancora coperto dall'E. al comando del XVIII e interinalmente della 8ª armata.
Per la prima volta si intendeva sfruttare la ribellione degli elementi slavi all'interno dell'esercito austro-ungarico: l'attacco ideato dal maggiore Cesare Pettorelli Lalatta, capo del servizio informazioni, in accordo con il maggiore sloveno L. Pivko, comandante del 5° reggimento bosniaco, mirava alla conquista di Trento e della Val Lagarina, aprendo un varco nei pressi di Carzano per aggirare le linee nemiche. Sulla buona riuscita di una simile azione lo stato maggiore nutriva molti dubbi (espressi anche dall'E.), che si accompagnavano a una diffidenza ancora radicata verso le offerte di collaborazione degli Slavi; inoltre Cadorna era più interessato al successo dell'undicesima offensiva dell'Isonzo, che fu la sua ultima vittoria.
Il 7 settembre il piano d'attacco a Carzano fu comunque approvato e la prima parte dell'esecuzione venne affidata all'E., cui si sarebbe affiancato in un secondo tempo Cadorna. L'azione si svolse nella notte tra il 17 e il 18 settembre ma fu condotta con eccessiva prudenza e lentezza: infine il mancato arrivo di rinforzi, guidati da A. Zincone, appena promosso, nonostante la sua inesperienza, generale di divisione, costrinse l'E. a ordinare la ritirata dal ponte di Carzano, dove un battaglione di bersaglieri era già stato sterminato dagli Austriaci. Il fallito tentativo italiano permise al nemico di prendere tempo e concentrare le truppe sulle rive dell'Isonzo. Il colpo mancato di Carzano è perciò considerato come una delle premesse del successivo disastro di Caporetto, e non a caso sull'episodio venne fatta piena luce solo quarant'anni dopo.
La sconfitta del 18 settembre era dovuta principalmente, come fu il caso poi di Caporetto, alle incomprensioni e alle incertezze all'interno del comando supremo. L'E. da parte sua, secondo il severo giudizio di Pettorelli Lalatta, ebbe un incarico che poco si adattava al suo concetto strategico, fondato più su prudenti azioni a lungo termine che su offensive rapide e audaci.
Sull'episodio fu condotta un'inchiesta e i generali E. e lo Zincone furono esonerati dai loro comandi, la VI armata fu sciolta e le truppe furono reinserite nella I armata sotto il generale G. Pecori Giraldi.
Nell'ottobre dello stesso anno, durante il ripiegamento sul Piave, l'E. ebbe comunque modo di riscattarsi, distinguendosi al comando del XXX corpo d'armata con un'azione di copertura sulla sinistra della 2a armata e riuscendo a schierare le proprie truppe in posizione stabile sul Grappa. A disposizione del comando supremo dal marzo al settembre 1918, l'E. assunse poi il comando del I corpo d'armata ed entrò in azione il 14 ottobre guidando, nella battaglia di Vittorio Veneto, l'avanguardia verso monte Sagran e meritando per questo la medaglia d'argento.
Nell'immediato dopoguerra PE. fu designato al comando dei corpo d'armata di Torino. Scoppiata la crisi di Fiume, il generale simpatizzò con il movimento nazionalista. Il 16 settembre 1919 a Torino, nel corso di una manifestazione in sostegno al colpo di mano di D'Annunzio, furono arrestati alcuni ufficiali; l'E. intervenne presso il prefetto e, minacciando l'uso della forza, chiese l'immediato rilascio dei prigionieri. In conseguenza di tale gesto il generale fu esonerato dal servizio e collocato in posizione ausiliaria. Aderì quindi ai fasci di combattimento e si presentò candidato, senza successo, alle elezioni per la XXV legislatura (novembre 1919) nella Lista della Vittoria.
Con l'avvento del governo fascista PE. fu richiamato in servizio a disposizione del ministero dell'Interno e nominato reggente della prefettura di Alessandria (1° febbraio-16 luglio 1923) e, nel 1925, commissario al Comune di Torino.
Nel 1925, per raggiunti limiti di età, fu messo di nuovo in posizione ausiliaria. Dal 1929 al 1936 fu vicepresidente della Cassa di risparmio di Torino, di cui era consigliere d'amministrazione dal 1928. Nel 1930 fu collocato a riposo e nel novembre 1933 fu nominato senatore del Regno. I suoi interessi non erano però venuti meno (cfr. al riguardo il suo discorso: Conseguenze dello spopolamento delle montagne sulla efficienza delle truppe alpine e sulla difesa della frontiera montana, 23 febbraio 1930, in Atti del I Congresso piemontese di economia montana, Torino 1930, pp. 34-37).
Morì a Torino l'11 dic. 1938.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, cartella biografica n. 27 fasc. 4, contenente anche le lettere del gen. A. Zincone e del gen. A. Allois al col. Bronzuoli, capo dell'Ufficio storico del ministero della Guerra, del 15 marzo 1934; Enc. militare, III, p. 623; a proposito dell'episodio di Carzano, cfr. le rivelazioni in C. Pettorelli Lalatta, L'occasione perduta. Carzano 1917, Milano 1967, ad Indicem; dello stesso autore cfr. anche l'articolo Carzano prodromo di Caporetto, in Studi trentini di scienze stor., XLII (1963), pp. 237-254; la vicenda è stata poi inserita in una accurata indagine storica da P. Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale, 1915-1918, Torino 1965, pp. 142-146. Sugli episodi successivi, cfr. M. Mazzetti, Da Caporetto al Monte Grappa (la crisi nazionale del 1917), Napoli 1970, pp. 135-139; cfr. anche L. Figlioia, Centocinquant'anni della Cassa di Risparmio di Torino 1827-1977, Torino 1981, pp. 129, 151, 420 s.