DONATO da Ripacandida, santo
Secondo la tradizione agiografica sarebbe stato monaco a Montevergine (presso Avvellino) verso la fine del sec. XII, ma mancano fonti coeve a conferma di questa tradizione. Bisogna quindi rifarsi agli scrittori verginiani che dal 1581 in poi pubblicarono biografie di D. non sempre univoche ed attendibili, basate unicamente su ciò "che per memoria si ritiene di lui" e a scopo di pia edificazione. Secondo tali biografie sarebbe nato in Ripacandida (od. prov. di Potenza) nel 1179.
Il giovane D. sarebbe stato colpito dalla vita penitente e dai miracoli operati da s. Guglielmo da Vercelli (morto nel 1142), la cui fama di santità sarebbe giunta presto anche nel suo paesello, situato tra Melfi ed Atella, contrade attraversate dal santo. Desiderando abbracciare la vita monastica, si sarebbe recato alla solitaria e impervia dipendenza verginiana di Sant'Onofrio del casale Massa - tuttora esistente allo stato di grosso rudere - sita nel territorio di Petina (prov. di Salerno). Ma a causa della giovane età sarebbe stato allontanato dal superiore e invitato a presentarsi l'anno successivo direttamente a Montevergine, dove avrebbe ricevuto la necessaria preparazione alla vita monastica.
Emessi i voti della professione religiosa, intorno al 1195 sarebbe stato inviato dall'abate proprio a Sant'Onofrio, donato a Montevergine nel 1192 dal nobile Ruggiero di Laviano con un atto sulla cui autenticità si nutrono forti dubbi. Durante la permanenza a Sant'Onofrio D. avrebbe esercitato alcune virtù in modo eroico: continua mortificazione del corpo, assiduità nella contemplazione divina, santa obbedienza praticata in maniera così letterale da andare ben oltre la prescrizione monastica.
Alcuni "fatti meravigliosi" della sua vita furono raccolti dai tardivi storici. Secondo il loro racconto D. si immerse spesso di notte nelle gelide acque del fiume che scorreva al di sotto di Sant'Onofrio. Il superiore, una volta, cercandolo trovò solo le sue vesti nascoste che portò nella propria camera, dubitando della sua onestà ma D., rientrando in monastero, le ritrovò dove le aveva lasciate. Un'altra volta dimenticò di pulire il forno prima di cuocervi il pane per la comunità; il superiore, sdegnato, gli disse che avrebbe dovuto nettare il forno con i propri scapolare e veste. D. prese alla lettera le parole e entrò nel forno ripulendolo senza danni alla veste e alla persona. Nel giardino del monastero molte arnie per il miele erano state rovinate. Appostatosi nelle vicinanze, D. scoprì che l'autore dei danni era un orso, al quale legò al collo il laccio tenuto in vita e così, reso mansueto, lo portò al superiore. In altre occasioni comandò alle volpi di non molestare le galline del pollaio.
Sempre secondo i suoi biografi D. visse a Sant'Onofrio appena tre anni passando di virtù in virtù e morendovi, dopo breve malattia, il 17 ag. 1198 a soli 19 anni. Dopo la sua morte il padre di D. avrebbe ottenuto dal superiore il permesso di trasportare il corpo al paese natio. Ma prima del trasferimento la popolazione locale, richiamata dalla fama di santità che già si diffondeva, sarebbe accorsa piangendone la perdita e implorando un segno della sua benevolenza. A tale preghiera l'avambraccio destro di D., venerato tuttora nella vicina Auletta, si sarebbe rizzato cadendo per terra. Del corpo si perse successivamente ogni traccia.
Il culto di D., anche se locale, pare fosse iniziato subito dopo la morte, ma non si conservò niente che potesse servire da fonte sicura prima alla petizione, presentata alla congregazione dei Riti nel 1697 per poterne recitare l'ufficio tra i verginiani, e poi alla presentazione di una nuova richiesta, per la quale dal 1755 si iniziarono a cercare documenti sicuri per l'approvazione del culto. Il silenzio plurisecolare, dalla morte nel 1198 alle prime notizie cinquecentesche, creava non poche difficoltà: nessun ricordo nel Martirologio romano, nessun culto riconosciuto dalla Chiesa, nessuna pubblica venerazione neanche tra i monaci verginiani che avrebbero potuto servire da appoggio per la causa della canonizzazione. Benché considerato patrono principale di Auletta, neanche il clero secolare ne celebrava la messa né ne recitava l'ufficio. Superati vari problemi e ridotta l'ampiezza delle richieste presentate, basate troppo sull'"incessante susseguirsi di tanti portenti, numerosi quasi al pari delle azioni del Santo", nel 1758 la congregazione dei Riti ne confermava il culto prestato ab immemorabili con messa ed ufficio proprio per Auletta ed i monasteri verginiani, estesi nel 1775 anche a Ripacandida, Melfi e Rapolla. Dopo varie oscillazioni la festa è oggi definitivamente fissata per tutte le citate località al 17 agosto.
Fonti e Bibl.: F. Renda, Vita et obitus sanctissimi confessoris Guilielmi Vercellensis, Neapoli 1581, ff. 29v-30v; V. Verace, La vera istoria dell'origine, e delle cose notabili di Montevergine..., a cura di T. Costo, Napoli 1585, pp. 82-87; T. Costo, Istoria dell'origine del sagratissimo luogo di Montevergine..., Vinezia 1591, ff. 32r-34r; I. I. Iordanus [Giordano], Vita sanctissimi patris Guilielmi Vercellensis..., Mercuriani-Neapoli 1642-43, pp. 313.55; Acta sanctorum Augusti, III, Antverpiae 1737, p. 416 e ... Septembris, VIII, ibid. 1762, pp.785-91; J. Mabillon, Annales ordinis S. Benedicti, VI, Lucae 1745, p. 335; A.M. Zimmermann, Kalendarium benedictinum, II, Wien 1934, pp.585 s.; Vies des saints et des bienheureux, VIII, Paris 1949, pp. 302 s.; G. Mongelli, S. da R. o.s.b. monaco di Montevergine († 1198). L'approvazione del culto nel 1758, in Miscell. francescana, LXI (1961), pp. 311-54; Id., S. D. da R. monaco di Montevergine, Montevergine 1964; Id., L'archivio storico dell'abbazia benedettina di Montevergine. Inventario, II, Roma 1974, p. 110; P. M. Tropeano, Codice diplomatico verginiano, IX, Montevergine 1985, pp. 238-42; Bibliotheca sanctorum, IV, ad vocem.