CRETI, Donato
Nacque a Cremona il 24 febbr. 1671 da Giuseppe e da Anna Caffi, sorella dei pittori Ludovico e Francesco e quindi cognata di Margherita Caffi.
Giuseppe (Gioseffo) nacque nel 1634 a Bologna dove morì nel 1714 (Thieme-Becker). Pittore ornamentale e quadraturista, lo Zanotti (1739, I, p. 100) lo definisce "di mediocre fama". Nelle guide antiche di Bologna è ricordato soltanto per gli affreschi ornamentali, in chiaroscuro, intorno a un S. Rocco di G. Viani nella cappella Parma della chiesa dei Ss. Vitale e Agricola (C. C. Malvasia, Le pitture di Bologna [1686], a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, p. 58), decorazioni che sparirono agli inizi del sec. XIX. Sempre Zanotti (1739, I, p. 17) ricorda che Giuseppe rinunciò ad essere membro dell'Accademia Clementina, in quanto la nomina gli era stata conferita solo per i meriti del figlio.
La famiglia si stabilì a Bologna e sin da piccolo il C. manifestò una forte inclinazione per la pittura così che il padre lo mise a bottega da un modesto pittore locale, Giorgio Raparini. Da questo imparò solo i rudimenti della pittura, mentre studiando assiduamente le incisioni di Guido Reni e Simone Cantarini (Zanotti, 1739, II, p. 101) entrò in contatto, per proprio conto, con la tradizione bolognese più sofisticata.
Spinto da un amico del padre, G. Negri, entrò nello studio di Lorenzo Pasinelli, uno degli artisti contemporanei più importanti. Questo pittore intelligente e raffinato influenzò profondamente il giovane e prodigiosamente dotato C., proponendogli l'esempio di una maniera di bellezza sottile e opulenta. Sono questi gli anni nei quali al C. fu dato l'affettuoso soprannome di "ragazzino" poiché era il più giovane degli allievi del Pasinelli. È anche da notare il fatto che questi era stato allievo di Simone Cantarini, dalle cui opere il C. si sentiva attratto come da quelle del maestro di lui, Guido Reni. Attraverso queste preferenze di gusto il C. veniva introdotto a una affiliazione artistica con quello che nella grande pittura bolognese può definirsi il filone classico-idealista e che risaliva al Domenichino, all'Albani e, più di tutti, a Guido Reni.
L'aristocratico appassionato d'arte bolognese Alessandro Fava, attraverso il figlio Pietro Ercole, che seguiva i corsi di disegno dal vero nello studio Pasinelli, conobbe il C. e ne notò il talento eccezionale. Il conte Fava non solo aprì le porte del suo palazzo al giovane (lo studio degli affreschi dei Carracci nelle sale del palazzo era considerato una tappa essenziale nel processo pedagogico dei giovani pittori bolognesi), ma gli offrì ospitalità e sostegno economico. Il C. approfittò di questa generosità per vari anni e in cambio donò al Fava numerose opere (elencate in un inventario del 1745: G. Campori, Raccolta di cataloghi... inediti, Modena 1870, p. 602), tra le quali Alessandro Magno minacciato dal padre Filippo di Macedonia (Washington, National Gallery) che può forse essere considerato il suo capolavoro. Secondo la tradizione (Masini, 1690), il C. decorò una sala del palazzo Fava con piccoli paesaggi con figure, ma non ne rimane traccia. Un Ritratto di fanciullo con due candele in mano (Bologna, coll. privata, proveniente dalla gall. Agnew di Londra) recava a tergo una targhetta, interpretabile come di mano del conte A. Fava, che datava la teletta al 1688 e ne faceva, quindi, la più antica opera documentata del C. finora conosciuta (Roli, 1979, p. 56, con bibl.). A questo stesso periodo sembra appartenere un Autoritratto (Bologna, Pinacoteca nazionale, coll. Marsili), che mostra l'artista all'età di 16 o 17 anni. Secondo Roli (1967, fig. 8), la prima opera che rivela appieno il suo genio particolare è l'Adorazione dei Magi (Roma, Gall. naz. di arte antica), che può essere datata nel primo decennio del '700. Poco prima di questa tela il C. deve aver fatto un viaggio a Venezia insieme con Pietro Fava, viaggio che, come osserva il Roli, è ricordato dallo Zanotti (1739) non nella biografia del C. ma in quella del Fava: "andò a Vinegia, e seco il Creti condusse, ne poco vi si fermarono, così l'uno e l'altro invaghiti delle meravigliose opere di quella illustre scuola" (II, p. 196).
Nel 1713 il C. sposò Francesca Zani - nipote di Sebastiano Zani, noto scrittore bolognese - che era di una straordinaria bellezza e gli fece spesso da modella morì nel novembre 1719, lasciando al pittore tre bambini: certamente questa tragedia aggravò la sua tendenza alla malinconia.
Anche se il meticoloso modo di dipingere del C. era particolarmente adatto a pitture da cavalletto, praticò con abilità anche l'arte dell'affresco.
Già agli inizi della sua carriera aveva lavorato col quadraturista T. Aldrovandi e con E. Graziani il Vecchio alle decorazioni del palazzo Zaniboni-Pichi (ora Bianconi), che Roli (1967) ha datato intorno al 1690 e che attualmente sono nascoste da soffitti moderni. In seguito al successo ottenuto fu chiamato dal conte di Novellara a decorare una sala del suo palazzo, in collaborazione con il quadraturista G. Carpi, con affreschi raffiguranti "varie imprese d'Alessandro" (Zanotti, 1739, II, p. 106). Ma il più bell'esempio dell'arte del C. come frescante è conservato nelle volte di tre sale del palazzo bolognese del senatore Ercole Pepoli (palazzo Pepoli Campogrande), terminate nel 1708 (Zanotti, 1739, nella biografia di M. A. Chiarini, I, p. 277) la scena più suggestiva è quella di Alessandro Magno che taglia il nodo gordiano, dipinto "di sotto in su" entro un'inquadratura architettonica con caratteri fantastici che rasentano il surreale.
Durante tutta la sua carriera artistica il C. fu impegnato in commissioni ecclesiastiche: nelle chiese di Bologna e dintorni si trovano numerose pale d'altare.
L'Incoronazione della Vergine, che dipinse per il santuario della Madonna di S. Luca, e le due grandi pitture (Madonna e s. Ignazio, 1737 L'elemosina di s. Carlo Borromeo, 1740) che l'arcivescovo Lambertini gli ordinò per S. Pietro, la cattedrale di Bologna (Roli, 1967, figg. 85 s.) sono da considerare tra le più belle pitture religiose del periodo: si tratta di grandi composizioni ricche di personaggi, eseguite con meticolosa precisione.
D'altra parte il C. esplicò la sua vena più intensamente poetica nelle pitture con soggetti pastorali, mitologici o idillici in quadri come le Scene campestri (Bologna, Pinacoteca nazionale Belfast, Art Museum) o il Ballo di ninfe (Roma, Museo di Palazzo Venezia Roli, 1979, n. 112, con bibl.) si esprime più liberamente il suo talento di paesaggista e le sue squisite figure si dispongono in gruppi armoniosi, quasi ad arabesco, in questi scenari paesistici.
A queste opere di rara bellezza pensava Longhi (in L'Archiginnasio, XXX [1935], p. 133), quando definiva il C. come il "Watteau bolognese", "primo pittore di Bologna ai suoi tempi nel genere s'intende idillico e delicatamente immaginoso". Tra i migliori esempi di pitture di questo tipo sono i quattro Episodi della storia di Achille che egli dipinse per uno dei suoi più devoti mecenati, Marcantonio Collina Sbaraglia (per il suo ritratto cfr. I materiali dell'Ist. delle Scienze, catal., Bologna 1979, p. 151), erede di G. G. Sbaraglia, l'illustre anatomista dell'università di Bologna: si trovano oggi nel Museo civico di Bologna insieme ad altre opere importanti del C. provenienti dalla stessa collezione, come i quattro tondi con Virtù e due grandi pendants: Mercurio che porta a Giunone la testa di Argo e Mercurio che consegna a Paride il pomo d'oro (Roli, 1979, nn. 102-104, con bibl.).
All'anatomista Sbaraglia, morto nel 1710, fu dedicata, nel 1713, una memoria nella loggia superiore dell'Archiginnasio (sede dell'università): il medaglione in bronzo, dello scultore G. Massa, con il ritratto di Sbaraglia è presentato dalle Virtù dipinte dal C. (Roli, 1967, fig. 30).
Tra gli altri mecenati importanti bisogna ricordare il cardinale Davia di Bologna, per il quale il C. dipinse due fra le sue opere più belle: Sogno di Giobbe (Roma, Galleria naz. d'arte antica) e Giobbe che combatte con gli angeli (Bologna, casa del clero) e inoltre il cardinal legato T. Ruffo, per il quale dipinse due grandi e ambiziose tele con Salomone e la regina di Saba e Salomone che adora gli idoli (ambedue a Clermont-Ferrand, Musée des Beaux-Arts), oltre che il Ballo di ninfe nel Museo di palazzo Venezia a Roma. Il cardinale restò così soddisfatto dei suoi quadri che il C. fu nominato cavaliere dello Speron d'oro (1724-25).
Tra gli episodi più interessanti di rapporti anglo-italiani nel campo del mecenatismo artistico del sec. XVIII è il progetto promosso dall'imprenditore teatrale e artistico irlandese O. McSweeny con l'appoggio di lord March, dal 1723 secondo duca di Richmond: una serie di quadri, da far eseguire ai migliori figuristi, paesaggisti e quadraturisti italiani, che rappresentassero ciascuno una tomba allegorica dedicata a un grande personaggio della più recente storia inglese, uno dei primi tentativi di creare un contrapposto secolare e patriottico all'iconografia sacra della Controriforma e alla più generalizzata "pittura d'historie" del continente" (F. Haskell, Mecenati e pittori, Firenze 1966, p. 440).
Nel 1722 erano già in corso di esecuzione quindici quadri. Il C. fu ingaggiato piuttosto tardi da McSweeny, come si può arguire dalla data 1729 nella Tomba di Boyle, Locke e Sydenham (Bologna, Pinacoteca nazionale), dipinta dal C. con il quadraturista C. Besoli, mentre per la Tomba del duca di Marlborough, nella stessa pinacoteca, egli oltre che da Besoli, fu aiutato dal paesaggista N. Ferraioli (Roli, 1979, nn. 113 s.). Di questa serie sono oggi noti - oltre ai due menzionati - altri tre dipinti con figure del C.: due presso l'ambasciata di Gran Bretagna e uno in coll. priv. a Roma, oltre a due derivati da originali del C. (nella collez. della Cassa di risparmio di Bologna redazioni di bottega, in formato minore, di tutte e sette: A. Emiliani-F. Varignana, La collez. della Cassa ... I dipinti, Bologna 1972, pp. 377-80).
Altro patrono fu il generale L. Marsili, uno dei principali fautori dell'Accademia Clementina nel 1711 ordinò al C. otto piccole tele rappresentanti ciascuna l'Osservazione di un astro (Pinacoteca Vaticana).
Vi sono raffigurati gli strumenti ottici che il Marsili stesso aveva messo a disposizione all'Istituto delle scienze di Bologna (l'astronomo E. Manfredi controllò l'esattezza delle immagini). Queste insolite e affascinanti pitture erano destinate come dono a Clemente XI al fine di indurlo a donare una specola all'Istituto (cfr. Roli, 1979, p. 59, nn. 92-99, con bibl.).
Il C. fu tra i fondatori dell'Accademia Clementina (1709) e partecipò attivamente alle sue attività, fungendo da direttore degli studi sette volte, tra il 1713 e il 1727, e da giudice dei concorsi accademici in numerose occasioni. Nel 1717 fu nominato viceprincipe, mentre era principe lo Zanotti, carica che il C. ottenne nel 1728.
Morì a Bologna il 29 genn. 1749.
Insieme con il più anziano M. Franceschini, il C. fu l'ultimo significativo esponente della dottrina classico-idealista nella pittura bolognese. Egli era profondamente impegnato in quella che possiamo definire la metafisica della forma ideale, vale a dire la ricerca della perfetta forma, in natura. Per lui l'importante era formulare l'invenzione della figura individuale e delineare il suo concetto in maniera perfetta. Era chiaramente un fanatico del perfezionismo: "per sua professione studia senza fine, sospira, s'affanna e da in ismanie, tal è il desiderio che egli ha di perfezione, e di gloria, ne mai si stanca di finire e rifinire l'opera sua" (Zanotti, 1739, II, p. 100).
Nelle figure ha uno stile straordinariamente rifinito, una precisione di contorno degna di un Ingres e una profonda conoscenza dell'anatomia. Le pose hanno una grazia sottile, delicatamente sfumata, le carni una delicatezza "da porcellana" nella superficie, struttura morbida ma salda i colori riflessi metallici. Ottiene i migliori risultati in situazioni di quiete, di carattere meditativo dove le sue figure raffinate e introverse sembrano avvolte in un ermetico silenzio. Lo Zanotti che frequentò il C. per decenni insiste, nella biografia dell'artista, sulla sua tendenza a fare "d'ogni piccola cosa ... occasione di melanconia" (p. 100) e sulla sua continua ansia per l'accoglienza che avrebbero avuto i quadri. Era "assalito, e conturbato da tetri, e rnolesti fantasmi cosicché n'avesse talora a perdere il senno, e la santità non che la quete e il riposo..." (p. 99). Lo stesso Zanotti nelle note apposte alla sua copia manoscritta, conservata a Bologna, Bibl. comun. dell'Archiginnasio, usa, a questo proposito, termini ancora più forti (cfr. Ottani Cavina-Roli, Commentario... a Zanotti, postille).
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in Roli, 1967 e 1979, cfr.: A. Arfelli, "Bologna perlustrata" diA. di Paolo Masins e l'Aggiunta... 1690, in L'Archiginn., LII (1957), pp. 188-237 passim Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B 130: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno…, c. 138 G. P. Zanotti, Storia dell'Accad. Clementina, Bologna 1739, I, pp. 17, 100 (per Giuseppe) II, pp. 99-122, 196, 277 (cfr. A. Ottani Cavina-R. Roli, Commentario alla storia..., Bologna 1977, pp. 51-53 e postille, passim) F. Malaguzzi Valeri, Quadri bolognesi ricuperati a Londra, in Cronache d'arte, IV (1927), p. 343 W. Arslan, Alcuni dipinti per il Mc Swiny, in Riv. d'arte, XIV (1932), pp. 128-36 K. Alcsuti, D.C. ... [Budapest 1932], in Il Comune di Bologna, XIX (1932), 9, pp. 17-32 G. Zucchini, Quadri inediti di D. C., ibid., XX (1933), 10, pp. 26-30 Id., Opere d'arte inedite. ibid., XXI (1934), 10, pp. 56-62 R. Roli, D. C., Milano 1967 (cfr. recensione di D. Miller in Burlingion Magazine, CXI [1969], pp. 306 ss.) Id., D. C. 46 disegni inediti, Bologna 1973 U. Ruggeri, Nuovi disegni di D. C., in Bollettino annuale dei Musei ferraresi, IV (1974-75), pp. 19-34 D. Bodart, Dessins de la collect. Th. Ashby à la Bibl. Vaticane, Città del Vaticano 1975, ad Ind. P. Dreyer, in Italien. Zeichnungen des 16.-18. Jahrh.s (catal.), München 1977, pp. 166-69 J. Urrea Fernandez, La pintura ital. del siglo XVIII en España, Valladolid 1977, ad IndicemSammlung Schloss Fachsenfeld (catal.), Stuttgart 1978, pp. 106-108 R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800..., Bologna 1977, ad Indices Id., in L'arte del Settecento emiliano. La pittura (catal.), Bologna 1979, pp. 55-68 E. Noè, in Imateriali dell'Ist. delle scienze, (catal.), Bologna 1979, p. 151 (ritratto di M. A. Collina) V. Birke, Neue Zeichnungen D. C. 's., in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXXII (1979), pp. 49-57 M. Cazort-C. Johnston, Bolognese Drawings in North American Collections, 1500-1800... (catal.), Ottawa 1981, nn. 87-89 R. Roli-G. Sestieri, I disegni italiani del Settecento, Treviso 1981, pp. 42-44, tavv. 68-70 U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., VII, pp. 100-102 Enc. Ital., XI, p. 891 Diz. enc. Bolaffi, IV, pp. 61-64.