COCCHI DONATI (Cochius, de' Cocchi, de' Donatis, de Florentia), Donato
Nacque a Firenze, da Niccolò, il 21 sett. 1409.
La sua famiglia era tra le più autorevoli della riservata cerchia che gravitava intorno a Cosimo de' Medici; di estrazione mercantile - alcuni membri nel 1393 risultano iscritti all'arte della lana - e neppure eccessivamente ricca in beni immobili, come rivelano le portate al catasto del 1427, seppe costruire le proprie fortune sull'appoggio incondizionato offerto ai Medici soprattutto in momenti di particolare gravità e, dalla metà del sec. XV, fu senza dubbio tra le più rappresentate nel governo e nei pubblici uffici. Il contributo del C. all'ascesa sociale della famiglia, cominciata con la generazione precedente alla sua, fu certamente assai considerevole, anzi possiamo crederlo l'artefice principale di questa ascesa sostanziata da una buona dose di ambizione, ma anche da indubbie capacità personali.
Già il padre del C., Niccolò di Cocco, aveva ricoperto cariche di grande prestigio nel governo di Firenze. Priore per il periodo maggio-giugno 1426 e novembre-dicembre 1429, nel 1434 ricoprì la carica di gonfaloniere di Giustizia per il periodo settembre-ottobre. Proprio la Signoria di cui fu a capo, ampiamente filomedicea, reclamò il ritorno di Cosimo de' Medici dall'esilio veneto e il 29 settembre, convocato il popolo in Parlamento ed ottenuta la formazione di un consiglio speciale con pieni poteri "Niccolò … co' suo' compagni ... dienno ai ... tiranni scacco roco" - come dice un anonimo poeta filomediceo (Gutkind, 1938, p. 314) - richiamando Cosimo dall'esilio e allontanando Rinaldo degli Albizzi e i suoi fautori. Tra gli accoppiatori nello stesso 1434, nel 1438 fu di nuovo gonfaloniere di Giustizia per il periodo gennaio-febbraio e, sempre in quell'anno, fu segretario della Balia. Aveva avuto impegnativi incarichi già in età premedicea come nel 1406, quando dopo la conquista di Pisa da parte dei Fiorentini era stato incaricato di prendere in consegna i castelli del contado. Si sposò due volte; il nome della prima moglie è ignoto, la seconda fu Cosa di Berardo Serzelli. Oltre a Donato ebbe altri figli - tutti impegnati, più o meno totalmente, nella vita pubblica - tra cui si ricordano Giovanni, Cocco, Iacopo, Francesco e Borghino.
Studente a Bologna, dove nel 1437 furettore degli studenti citramontani - carica prestigiosa e privilegiante ma anche difficile e onerosa - il C. probabilmente aveva iniziato gli studi universitari intorno al 1430, dato che nel 1435risulta già iscritto all'arte dei giudici e notai che prevedeva tra le condizioni di immatricolazione la frequenza di un corso di legge per un periodo di almeno cinque anni. Appunto durante il suo rettorato, il 9 dic. 1437, ottenne speciale dispensa per sostenere l'esame di licenza in diritto civile nonostante non avesse ottemperato a tutte le pratiche usualmente richieste tra cui quella di svolgere ripetizioni e dispute pubbliche. Pochi giorni dopo, il 20 dicembre, presentato dai professori dello Studio Niccolò Ghisilardi e Battista di San Pietro, conseguì la licenza e il 10 gennaio dell'anno successivo fuinsignito del titolo di dottore.
Anche in questa occasione le autorità accademiche furono con il C. particolarmente benevole: infatti, nonostante la consuetudine prevedesse pubblicità e festeggiamenti con largo dispendio di denaro, il "conventus", ultimo atto della lunga carriera universitaria, si svolse privatamente "causis urgentibus ac necessariis". Quali fossero queste cause non sappiamo, ma forse, oltre alle sempre ipotizzabili e spesso addotte cause economiche, non furono estranee anche ragioni familiari e politiche.
Nello stesso 1438 il C. sposò Cangenova di Iacopo Spini e sempre nello stesso anno fu tra i membri elettivi della Balia, primo gradino di una carriera politica che raggiungerà le più alte cariche. L'inserimento del C. nel ristretto ed esclusivo entourage mediceo, causa ed effetto per lui come per molti altri di cambiamento di stato sociale, ma anche di stretta dipendenza dalla famiglia dominante, dunque assai precoce. Gli impegni pubblici che ne derivarono, naturale conseguenza della strumentalizzazione politica operata da Cosimo che utilizzò i suoi fautori come veicolo delle sue volontà, non allontanarono il C. dalla carriera universitaria ché, anzi, in lui le due attività, politica ed intellettuale, proseguirono, almeno fin verso la metà del secolo, di pari passo.
Lettore in ius civile nell'università fiorentina dall'ottobre 1439, fu incaricato della lettura serale in concorrenza con Giovanni da Prato e si guadagnò ben presto larga fama di esperto in cose giuridiche tanto da essere più volte consultato dalla Signoria per questioni riguardanti il governo della città come nel febbraio 1440 quando insieme con altri sette giuristi, tutti sostenitori dei Medici, tra cui spiccano i nomi di Giovanni Buongirolami, Guglielmo Tanagli, Otto Nicolini, fu richiesto di un parere legale a proposito della vertenza sulla priorità dello scrutinio del 1434 su quello del 1439. Per conto della Signoria, il C. non solo ricevette incarichi consultivi e mansioni di governo - nel 1443 fu segretario della Balia - ma sostenne anche delicate missioni diplomatiche; sempre nel 1443 lo ritroviamo, infatti, impegnato insieme con altri preminenti cittadini di Firenze ad accompagnare papa Eugenio IV che abbandonava la città dopo la rottura dei rapporti con Cosimo de' Medici susseguente al formarsi delle alleanze per il recupero della Marca occupata da Francesco Sforza. Contemporaneamente proseguiva l'attività accademica, come dimostra la sua presenza in qualità di promotore insieme con Guglielmo Tanagli all'esame di dottorato di tal Iacopo di messer Ugolino da Farneto svoltosi il 20 e 21 apr. 1444 davanti ad Antonio Picchini, vicario dell'arcivescovo Francesco Zabarella. L'anno dopo, inviato a Bologna come oratore della Signoria, fu presente, il 24 giugno 1445, alla feroce uccisione di Annibale Bentivoglio e, confortato dalle direttive in tal senso inviategli da Firenze, appoggiò la parte bentivogliesca esortandola ad insorgere contro i congiurati. Dopo un anno di vicariato a Pescia in Valdinievole (1446), nel 1447 la carriera universitaria del C. fece un ulteriore passo avanti con la carica di ufficiale dello Studio. L'elezione avvenne il 30 gennaio, ma l'incarico ebbe decorso dal 4 aprile; è nei primi mesi del 1447 che deve collocarsi, verosimilmente, una visita del C. a Francesco Sforza signore di Cremona e futuro duca di Milano, deducibile da una lettera inviata il 12 marzo 1447 dallo stesso Sforza al fiorentino Boccaccino Alamanni che non chiarisce, però, completamente le finalità dell'incontro. Di nuovo vicario nel 1448, questa volta di Scarperia nel Mugello, l'anno seguente il C. fu dei Dodici buonomini. È del marzo 1450 il successivo incarico affidatogli dalla Signoria; si trattava, questa volta, di risolvere una questione sorta tra Pistoia e gli ufficiali delle torri di Firenze circa il pagamento di una tassa da parte dei possessori di carri.
Ben più prestigioso e delicato fu l'incarico ricevuto dal C. alla fine del giugno 1451, quando la Signoria e i Dieci di guerra lo inviarono a Roma come ambasciatore a papa Niccolò V.
L'espulsione dei mercanti fiorentini dal territorio di Venezia e successivamente da quello di Napoli aveva scatenato la tensione già acuta tra le grandi potenze e rischiava di divenire - come accadde - il detonatore di un più largo conflitto. Vasti e complessi meccanismi diplomatici si misero in moto allo scopo di definire la rete degli accordi ed in questa direzione si mosse anche la diplomazia fiorentina. La missione del C., giunto a Roma il 2 luglio, era appunto quella di convincere il papa ad appoggiare i Fiorentini nella lotta, sulla base, tra l'altro, dell'asserita inevitabilità del conflitto non voluto, ma subito da Firenze; missione certamente molto difficile per la ferma volontà del pontefice di evitare la guerra, ma resa poi quasi insostenibile dalla seconda richiesta che il C. poneva al papa per incarico della Signoria: una licenza pontificia che autorizzasse la città, in gravi disagi economici, ad imporre una tassa sul clero fiorentino.
La permanenza a Roma del C. fu di circa sette mesi e furono mesi densi di incontri, colloqui, discussioni nel tentativo di convincere il papa ad una concessione che era stata negata a molti. L'abilità dialettica e diplomatica del C. e la sua vasta esperienza legale, che dovevano aver giocato un ruolo determinante nella decisione presa dalla Signoria di inviarlo a Roma nonostante la concomitante presenza in città di un altro ambasciatore fiorentino, Giovannozzo Pitti, si misurarono con l'inflessibilità e la buona conoscenza del diritto di papa Niccolò V, ma all'inizio del 1452 il C. sembrò aver aperto una breccia nell'irremovibilità del pontefice. Una sua lettera ai Dieci di guerra del 7-8 genn. 1452 lascia infatti intravvedere l'accoglimento da parte di Niccolò V di un'ipotesi di compromesso: no alla licenza pontificia, ma tacita accettazione dell'eventuale tassa imposta da Firenze senza licenza "così non si potrà dire si sia facto per averlo consentito" (Martines, Lawyers…, p. 157). Tornato a Firenze, nel novembre 1453 il C. venne di nuovo richiesto di un parere legale dalla Signoria; il problema, annoso e già più volte dibattuto, era quello se prolungare o no l'autorità degli accoppiatori e anche in questa occasione il C. fu affiancato da altri famosi dottori in legge come Guglielmo Tanagli, Otto Nicolini, Tommaso Salvetti, Girolamo Machiavelli, Tommaso Deti. Tre anni dopo, nel 1456, con il gonfalonierato di Giustizia il C. raggiunse l'apice della carriera politica, carriera che dopo il 1450 sembra aver sopraffatto quella universitaria. L'ufficio principale del governo di Firenze fu retto dal C. per il bimestre settembre-ottobre e gli offrì la possibilità di esprimere in modo evidente la sua piena fedeltà a Cosimo; lo scioglimento anticipato della Balia nel maggio 1454, subito dopo la pace di Lodi, e la soppressione delle elezioni "a mano" avevano infatti provocato un pericoloso affievolimento del potere mediceo che proprio di questi due strumenti si era servito per manovrare il governo pur rimanendo nell'ambito della legalità repubblicana. Una volta a capo della Signoria (settembre 1456), subito il C. cercò di ritornare al vecchio sistema, forse senza la piena approvazione di Cosimo che, nonostante il diffuso clima di reazione al regime serpeggiante in una Firenze stremata da guerre ed epidemie, non era favorevole a misure che, gradite alla classe dirigente, avrebbero potuto generare malcontento nel popolo. Il tentativo comunque fallì e "si disse che lui era per questo uscito de' gangheri" (Rubinstein, p. 110). La sconfitta non sembrò significare, peraltro, emarginazione dalla vita pubblica fiorentina perché la Signoria continuò a servirsi di lui sia per incarichi pubblici, come testimoniano i molti uffici ricoperti dal C. dal 1457 al 1464, sia per consigli legali come nel 1459 quando gli affidò il compito di studiare, insieme con Otto Nicolini, la grave questione delle evasioni fiscali attuate attraverso falsi passaggi di proprietà ad enti o persone non tassabili. Nello stesso anno lo inviò con altri nobili fiorentini incontro al giovane conte di Pavia, Galeazzo Maria Sforza, che si recava a Firenze per rendere omaggio al pontefice Pio II in viaggio verso Mantova, sede della Dieta cristiana contro gli infedeli. Divenuto podestà di Montepulciano nel 1461, mantenne i rapporti con l'ambiente fiorentino come testimonia una lettera inviatagli da Alamanno Rinuccini il 16 apr. 1461 per ringraziarlo del dono di alcuni funghi e per informarlo dello stato dei suoi studi e degli avvenimenti cittadini. Ritornato a Firenze e ancora impegnato in pubblici uffici, nel 1464 fu creato capitano di Cortona, ma la morte lo colse prima che potesse assumere l'incarico, il 23 luglio 1464, secondo il Giustiniani (p. 146).
Un epitaffio in suo onore è nella Flamecta di Ugolino Verino. Dopo il già ricordato matrimonio con una Spini, il C. si sposò una seconda volta nel 1449 con Costanza, figlia di Piero di Luigi Guicciardini, segno dell'ormai completa integrazione dell'homo novus nell'élite fiorentina di vecchia tradizione. Dei molti figli del C., alcuni come Antonio, Niccolò e Giovanni raggiunsero posizioni di rilievo, altri come Piero, Zanobi e Federico non sembrano essersi segnalati in modo particolare nella vita pubblica fiorentina. Tra i numerosi membri della famiglia Cocchi Donati che adirono alle principali magistrature fiorentine, merita particolare ricordo Giovanni di Cocco, zio del C., che fu priore nel 1417, 1432 e 1439. Podestà del Chianti nel 1420, fu tra gli Otto di guardia nel 1434 e vicario di Vico Pisano nel 1437. Ebbe dall'imperatore Giovanni Paleologo l'onore di aggiungere l'aquila imperiale al suo sigillo.
Fonti e Bibl.: Gino di Neri Capponi, Commentarii. Dell'acquisto ovvero presa di Pisa seguita l'anno 1406, in L. A. Muratori, Rerum Italic. Script., XVIII, Mediolani 1731, col. 1142; Neri di Gino Capponi, Commentarii,ibid., col. 1207; B. Piatina, Vita clarissimi viri Nerii Capponii,ibid., XX, ibid. 1731, col. 504; M. Palmieri, De captivitate Pisarum liber, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XIX, 2, a cura di G. Scaramella, p. 29; Ricordi di Firenze dell'anno 1459,ibid., XXVII, 1, a cura di G. Volpi, p. 9; Sozomeni Pistoriensis Chron. univers., ibid., XVI, 1, a cura di G. Zaccagnini, ad Ind.; G. Morelli, Ricordi, in Delizie degli eruditi toscani, XIX, Firenze 1785, coll. 74, 90, 111, 134; G. Cambi, Istorie,ibid., XX, ibid. 1785, coll. 74, 75, 81, 192, 193, 197, 213, 227, 249, 347; G. Cavalcanti, Istorie fiorentine, a cura di F. L. Polidori, I, Firenze 1838, p. 559; Ricordi storici di Filippo di Rino Rinuccini…, a cura di G. Aiazzi, Firenze 1840, p. LXX; G. Marescotti de' Calvi, Cronica come Anniballe Bentivogli fu preso e menato de pregione et poi morto e vendicato, Bologna 1869, pp. n. n.; Docum. diplom. tratti dagli archivi milanesi, a c. di L. Osio, III, Milano 1872, p. 493; Statuti della Università e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, in Documenti di storia italiana, VII, Firenze 1881, pp. 444, 447, 448; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, p. 3; U. Verino, Flamecta, a cura di L. Mencaraglia, Florentiae 1940, p. 99; Il "Liber secretus iuris caesarei" dell'Università di Bologna, a cura di A. Sorbelli, II, Bologna 1942, pp. 159, 160; A. Rinuccini, Lettere ed orazioni, a cura di V. R. Giustiniani, Firenze 1953, pp. 55-56; S. Ammirato, Delle fam. nobili fiorentine, Firenze 1615, p. 38; D. Boninsegni, Storie della città di Firenze, Firenze 1638, p. 94; G. Bombaci, Historie memorabili della città di Bologna [Bologna 1666], p. 302; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 157; D. Manni, Osservaz. istoriche sopra i sigilli antichi…, X, Firenze 1742, pp. 45-46e passim; S. Fabbrucci, Collectio praecipuorum monumentorum, in Racc. di opusc. scient. e filol., a c. di A. Calogerà, XXXIV, Venezia 1746, pp. 206, 209; A. Fabroni, Historia Acad. Pisanae, I, Pisis 1791, pp. 193-134; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1826, VII, pp. 221, 260, 335; VIII, p. 17; S. Mussi, Annali della città di Bologna, IV, Bologna 1842, p. 324; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, p. 523; C. Cipolla, Storia delle signorie italiane…, Milano 1881, p. 421; A. Della Torre, Storia dell'Accad. Platonica di Firenze, Firenze 1902, p. 242; L. Rossi, Venezia e il re di Napoli,Firenze e Francesco Sforza, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XIX-XX (1905), pp. 45, 350-353; Id., Niccolò V e le potenze d'Italia, in Riv. di scienze stor., III (1906), s-6, pp. 398, 408, 412; C. Gutkind, Cosimo de' Medici,pater patriae, Oxford 1938, pp. 95, 313, 314; Id., Cosimo de' Medici il Vecchio, Firenze 1940, p. 126; A. Sorbelli, Storia della Univers. di Bologna, I, Bologna 1940, pp; 169, 243; L. Martines, The social world of the Fiorentine humanists, Princeton 1963, ad Indicem; V. R. Giustiniani, Alamanno Rinuccini. 1426-1499,Materialien und Forschungen zur Gesch. des florentinischen Humanismus, Köln-Graz 1965, pp. 146-147; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renassance Florence, Princeton 1968, ad Indicem; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici(1434-1494), Firenze 1971, pp. 38, 110 n. 13, 115 nn. 35 e 41; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino, I, Firenze 1973, p. 271; D. Kent, The rise of the Medici, Oxford 1978, ad Ind.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Guicciardini.