BOSSI, Donato
Nacque a Milano da Giovanni, nobile milanese, il 5 marzo 1436. Proveniva da un'antica famiglia alla quale egli nella sua cronaca attribuiva origini assai prestigiose, facendone risalire l'insegna niente meno che al bianco bue delle leggenda di Iside, come fu narrata da Diodoro Siculo e da Plinio, e al re Berengario il capostipite. Studiò legge e nel 1456 divenne notaio: nell'Archivio di Stato di Milano si conserva il protocollo degli atti da lui rogati che vanno dal 24 genn. 1475 al 17 dic. 1501. Ebbe interessi e ambizioni culturali che lo portarono allo studio della storia e alla compilazione, in circa quindici anni, di una cronaca. A lui e ad altri cronisti, come il Corio, il Calco e il Merula, Ludovico il Moro, impegnato in uno sforzo di generale rinnovamento culturale e degli studi storici in particolare, concesse uno stipendio per favorire la compilazione delle loro cronache; secondo quanto scrive il Magenta, fu loro concesso di consultare anche i documenti della Cancelleria. Il 27 luglio 1490 il B. ottenne una lettera ducale che gli permetteva la stampa della sua opera e il 16 febbr. 1492 un privilegio di stampa della durata di dieci anni. La cronaca (Chronica bossiana) fu pubblicata a Milano il 15 marzo 1492 da A. Zarotto, editore parmense, a spese del B., e non ebbe altre ristampe.
Sotto la dominazione francese, nel 1502, il B. partecipò con altri giuristi alla revisione della seconda parte degli Statuta iurisditionum et extraordinariorum reformata a Ludovico rege Francorum, stampati nello stesso anno da Alessandro Minuziano. Di lui non si hanno più notizie dopo questa data.
La fama del B. resta legata alla cronaca latina, dedicata a Gian Galeazzo Sforza: Donati Bossi causidici et civis mediolanensis,gestorum dictorumque memorabilium et temporum ac conditionum et mutationum humanarum,ab orbis initio usque ed eius tempora,liber, Mediolani 1492. È preceduta da una Genealogia Vicecomitum Principum Mediolani, libera da tentazioni adulatorie nei confronti della famiglia Visconti; la loro origine non è ricondotta, come di solito, ai Troiani o ai re longobardi, ma a Uberto, padre di Ottone, arcivescovo di Milano. L'opera si conclude con un elenco, corredato dalle date di insediamento e di morte, di tutti i vescovi e arcivescovi milanesi, non privo di inesattezze cronologiche. L'impianto della cronaca vera e propria resta ancora tipicamente medievale, anche se non nasconde ambizioni più vaste.
Il B. prende le mosse dalla creazione del mondo per giungere fino all'anno 1492: per la parte contemporanea l'opera ha tutti i pregi della testimonianza diretta, anche se non eccelle certo per acutezza di riflessione. Per l'età anteriore egli accetta le tradizioni leggendarie più disparate e accoglie le fonti senza alcun discernimento critico. Tipica l'adozione della datazione, dalla creazione del mondo alla nascita di Cristo, della cronaca di Eusebio di Cesarea che partiva dalla nascita di Abramo. Vi si intrecciano continuamente elementi di storia biblica e di mitologia classica, attinti da Macrobio, Diodoro Siculo, Plinio e dagli apologisti cristiani. Dalle invasioni barbariche la narrazione e la cronologia diventano meno incerte e confuse e si concentrano, sulla storia di Milano, sulle lotte con i comuni vicini, sulla sua espansione comunale e sulla nascente amministrazione. Particolare attenzione è rivolta alla storia dell'ascesa e delle lotte delle famiglie dei Visconti e degli Sforza, con il ricorso indubbio a documenti d'archivio: "Hec omnia publicis instrumentis testata sunt" egli ebbe ad annotare. La scarsa attendibilità, per l'epoca più antica, spiega forse la mancanza di ristampe, ma non toglie valore alla parte dedicata alla storia più recente, per la quale riesce ancora di una certa utilità.
Il canonico Matteo Bossi, da molti confuso con l'altro Matteo fratello di Donato, qualche anno dopo l'edizione della cronaca, si congratulò con il B. per le sue "adnotationes nostri temporis eventusque bellorum" che aveva avuto modo di leggere poco prima. Indubbiamente si riferiva alla cronaca latina della quale apprezzava appunto la parte contemporanea. Nella sua lettera l'umanista veronese accennava anche a un altro scritto del B. "in laudem Francisci Sfortiae", non ancora dato alle stampe. Si tratta di un'operetta latina, intitolata Vita Francisci Sfortiae e pubblicata a Milano da Leonardo Pachel nel 1495, di cui esiste un esemplare nella Biblioteca Trivulziana. L'operetta, encomiastica, dedicata alla memoria di Francesco Sforza, riprende alcune pagine dalla cronaca, ma il suo fine è scopertamente adulatorio e cortigiano. La figura dello Sforza viene tratteggiata, secondo gli schemi tradizionali, come quella del principe giusto, clemente e liberale, valoroso nelle armi, amante delle lettere, restauratore della libertà dello Stato, protettore dei poveri, degli orfani e delle vedove.
Fonti eBibl.: I Registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 305; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, col. CCCXLI; A. Zeno, Dissertationi vossiane..., Venezia 1752, II, pp. 343 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia..., II, 3, Brescia 1762, pp. 1848 ss.; G. Giulini, Memorie, Milano 1771; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, Milano 1883, I, pp. 582 ss.; E. Motta, Di F. Cavagna e di alcuni altri tipografi editori milanesi del Quattrocento, in Arch. stor. lomb., s. 3, X (1898), pp. 49 ss.; Indice gener. degli incunaboli delle Bibl. d'Italia, I, p. 261; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s. v. Bossi, XVI, tav. II.