FANTONI, Donato Andrea
Nacque a Rovetta (Bergamo) il 28 sett. 1746 dall'intagliatore e scultore Grazioso il Giovane. Nella bottega paterna apprese i primi rudimenti della scultura, del disegno e dell'intaglio. Nel 1766, a vent'anni, affidato alla nobile famiglia Gualdo di Vertova, partiva alla volta di Roma, per studiare il disegno e la scultura. Come era consuetudine, il giovane tenne un "diario" del suo grand tour (Rovetta, Arch. Fantoni, pubbl. in Pedrocchi, 1977), annotando le città ed i paesi visitati, le persone incontrate, le locande, i prezzi e tutte le mille altre osservazioni che un'esperienza così eccezionale poteva suggerirgli.
Il documento pertanto sollecita molteplici interessi: per la storia dell'arte (attribuzioni e datazioni precise anche di opere inedite); per la storia della critica d'arte (giudizi su artisti e su opere); per la storia del costume, socio-economica, politica e religiosa a Roma e a Napoli in quegli anni; ed è naturalmente essenziale per la conoscenza dello scultore e dell'uomo, attento alle più moderne manifestazioni dell'arte del tempo e attratto dai nuovi ideali delle teorie neoclassiche. Inoltre le lettere (pubbl. in Pedrocchi, 1977) che il F. scrisse al padre durante il viaggio arricchiscono, confermano o completano osservazioni e notizie contenute nel diario. Testimonianza non meno importante sono i numerosi disegni eseguiti durante il viaggio (ibid.). Il linguaggio del F. è fresco, sobrio, lucido e scorrevole, tanto da denunciare una maturità ed un grado di cultura non comuni per la sua giovane età.
Il F. giunse a Roma il 2 ott. 1766, dopo aver visitato Parma, Modena, Bologna, Rimini, Ancona, Loreto. La conoscenza della famiglia Gualdo gli procurò un ottimo alloggio: la casa dell'editore del più noto e letto giornale, il Cracas, presso S. Maria della Pace. Per tutto il periodo della sua permanenza a Roma il F. frequentò lo studio di Pietro Bracci, apprendendo più le tecniche ed i procedimenti che non lo stile e la concezione dell'arte. Per perfezionarsi nel disegno frequentò anche l'accademia del nudo in Campidoglio e l'Accademia di Francia, grazie ad uno speciale permesso ricevuto dal direttore Charles Natoire.
Naturalmente i disegni accademici presentano inevitabili discontinuità, non tanto perché i fogli, nelle diverse tecniche, denunciano l'esperienza in atto, l'applicazione progrediente di un giovane perfezionando, quanto perché in parecchi di essi si riscontra una sua consapevole conformità alle norme e regole didattiche impartite allora nelle accademie. Nei disegni con studi di occhi, di mani, di teste e volti che presuppongono la fisiognomica degli "affetti", più o meno liberamente desunta dalla Méthode pour apprendre à dessiner les passions (1698) di C. Le Brun, prevale la "diligenza", l'impegno scolastico, l'insistenza doverosa, psicologicamente "inesperta". Nelle accademie di nudo il discorso si fa già diverso: il giovane scultore disegna molto bene, padroneggia con sicurezza, nelle figure atteggiate, i moti, l'anatomia, l'effetto plastico ottenuto mediante un'intelligente composizione dei lumi e delle ombre. Infine, nei disegni tratti con disinvoltura da sculture antiche o "moderne", il F., che si dimostra artista ormai sicuro di sé, fornisce una libera, individuale interpretazione delle opere, rispettando cioè la composizione, ma senza ingegnarsi a copiare lo stile altrui. Il suo stile grafico è fortemente permeato delle componenti, dei modelli, del gusto francese del sec. XVIII, assimilato nella frequentazione dell'Accademia di Francia, dove non tanto fu importante per lui l'ascendente di Natoire, quanto il profitto che poté trarre da altri esempi di studio disponibili presso l'Accademia stessa (Coypel, Subleyras, Lemoine).
Inoltre il F. si recava in Vaticano per studiare Raffaello e a palazzo Farnese per i Carracci; nel Museo Fantoni di Rovetta si conserva un album con "Abbozzi di 140 statue esistenti sopra il colonnato attorno la gran piazza di S. Pietro in Roma ... da me disegnate dall'originale l'anno 1767 in Roma" (cfr. Pedrocchi, 1987).
Purtroppo nel Diario il F. non parla molto delle amicizie e delle personalità del mondo artistico che conobbe e frequentò a Roma; sappiamo comunque con certezza che ebbe rapporti di amicizia con l'architetto inglese James Wyatt, col bergamasco Giacomo Quarenghi e col veneziano Angelo Zuccarelli, figlio del noto pittore. La scelta di queste amicizie, tutte di ambiente neoclassico, è piuttosto singolare se si pensa che il F. proveniva da un mondo sociale ed artistico chiuso a ogni forma di rinnovamento.
Nell'ottobre del 1769 partì alla volta di Napoli.
La maggior parte del Diario è dedicata al soggiorno napoletano: vi è annotato ogni particolare della visita alla città e ai dintorni (Baia, Pozzuoli, Portici, Pompei, Ercolano) che andavano svelando, nei numerosi scavi. il passato splendore. Fra le quotidiane escursioni non poteva mancare Caserta, dove in quegli anni sì lavorava febbrilmente alla grandiosa reggia, a proposito della quale il F. esprime intelligenti giudizi.
Dopo circa un mese, il 2 novembre, il F. si reimbarcò alla volta di Roma, continuando poi il viaggio a piedi, attraverso i Castelli Romani.
Il primo volume del Diario si conclude con il racconto delle cerimonie dell'insediamento del papa Clemente XIV in S. Giovanni in Laterano. Il secondo è interamente dedicato al viaggio di ritorno, intrapreso il 21 marzo 1770, ed è di tono dimesso, a volte addirittura patetico. Spedì in patria, insieme con i numerosi disegni, 250 stampe di vari autori, i volumi delle Antichità di Ercolano (1755-1792), che si andavano pubblicando in quegli anni, e copie e calchi di statue famose, convinto che le scoperte archeologiche avessero prodotto una rivoluzione del gusto e che rappresentassero prototipi di perfezione dell'antichità classica.
Passando per Firenze, Bologna e Venezia, finalmente arrivò a casa, dove si mise subito a lavorare nella bottega, retta dal padre. Nel 1773 eseguì due busti in terracotta (Rovetta, Museo Fantoni): uno ritrae il padre Grazioso e l'altro Andrea Fantoni, derivato dal ritratto di fra Galgario (Bergamo, coll. priv.; cfr. M. C. Gozzoli, V. Ghislandi..., in I pittori bergamaschi. Il Settecento, I, Bergamo 1982, pp. 77, 111). Nel 1784 sposò la cugina Paola Rosa di Giuseppe Fantoni, dalla quale ebbe sette figli. Ben presto prese la direzione della bottega contribuendo con la sua vitalità e la rinnovata esperienza artistica a risollevarne le sorti. A tal fine aveva portato da Roma un grande "bagaglio culturale" fatto di disegni, stampe, modelli in gesso e creta, tutti accuratamente catalogati col nome degli autori e il prezzo di acquisto: questo elenco è di particolare importanza non solo in quanto fa luce sul gusto dell'artista, ma anche perché "testimonia la sua disposizione ad un collezionismo di 'connoisseur' che va oltre l'immediato interesse per un ampliamento del repertorio di bottega" (I Fantoni, cat., 1978, p. 98). Questo notevole bagaglio culturale trovò la sua migliore utilizzazione nell'espletamento dell'incarico affidatogli dal 1774 dal conte Girolamo Sottocasa, quale "esperto" per l'acquisto di opere d'arte per la sua collezione. I numerosi tentativi fatti dal F., subito dopo il rientro, per ottenere lavori e commissioni di prestigio a Milano, Brescia e Venezia purtroppo non ebbero esito positivo. Così ripiegò sulla conduzione della bottega e, per potenziarla, vi affiancò un'intensa attività commerciale: in pratica, con l'andare degli anni, questa prese il sopravvento mentre la bottega, abbandonata l'antica struttura di tipo familiare, veniva trasformata in un'impresa artigianale con lavoranti esterni sotto la direzione, quasi esclusivamente organizzativa, del F. che, dal suo ritorno da Roma, non si era più riconosciuto nel ruolo di scultore della bottega di famiglia.
Il matrimonio con la cugina gli permise di riunire il vasto patrimonio artistico della famiglia composto di mobili, modelli, disegni, marmi, ponendo, forse inconsciamente, le basi per la costruzione dell'attuale Museo Fantoni. Sul finire del secolo, con l'appoggio dell'amico conte Sottocasa, tentò, ma inutilmente, di entrare come professore all'Accademia di belle arti di Milano (1790) e nella Fabbrica del duomo 0791). Dal 1794 al 1816 ricoprì numerosi incarichi pubblici, tra i quali quello di presidente del Consiglio generale di valle. Morì a Capriolo (Brescia) il 31 ag. 1817.
Poche e di scarsa importanza le opere eseguite dalla bottega durante la sua direzione: si ricordano, tra le altre, l'altare della Madonna a Tavernola sul lago d'Iseo (1786) e l'altare dei Morti (1796) e l'organo nella parrocchiale di Rovetta (cfr. Pedrocchi, 1977). I numerosi disegni, bozzetti e scritti sono conservati nel Museo Fantoni di Rovetta (cfr. Corpus graphicum Bergomense, 1970).
Fonti e Bibl.: Per le fonti e la bibl. fino al 1974, vedi I Fantoni, quattro secoli di bottega di scultura in Europa (catal. della mostra, Bergamo), Vicenza 1978, pp. 97 ss. e passim (in partic. G. Rosso del Brenno, L'esperienza classicista di D.A.F., pp. 59-64). Ma vedi inoltre e in particolare: Rovetta, Arch. del Museo Fantoni; Corpus graphicum Bergomense, II, Bergamo 1970, ad Indicem; A. M. Pedrocchi, D. A. F., diario di viaggio e lettere (1766-1770), Bergamo 1977 (pubblica anche un notevole numero di disegni conservati nel Museo Fantoni di Rovetta); E. Borsellino, Un artista bergamasco a Roma, in Unione storia ed arte, XX (1977), 1-4, pp. 23 ss.; G. Ferri Piccaluga, La bottega di D. A. F. e la committenza bergamasca: precisazioni sull'alcova per le nozze Sottocasa-Lupi, in Arte lombarda, XXIII (1978), pp. 46-51; Atti del Conv. di studio "I Fantoni e il loro tempo" (1978), Bergamo 1980, passim; A. Nava Cellini, La scultura del Settecento, Torino 1982, pp. 203 s.; A. M. Pedrocchi, L'album delle statue ... di D. A. F., in Le statue berniniane del colonnato di S. Pietro, Roma 1987, pp. 232 s. Vedi anche la bibl. alla voce Fantoni, (famiglia) in questo Diz. biografico.