donatismo
Scisma nella Chiesa africana, che prende nome (lat. pars Donati) da Donato di Cartagine (primo vero capo e animatore), durato dalla fine della persecuzione dioclezianea all’invasione musulmana. La sua importanza storica sta in primo luogo nel fatto che, riprendendo o continuando posizioni dottrinali (per es., la Chiesa come comunità di eletti, l’invalidità dei sacramenti amministrati da indegni, da cui la pratica di ribattezzare coloro che entravano a far parte della setta) e anche pratiche (l’avversione all’Impero romano) già tradizionali nella stessa Chiesa, ma abbandonate dai cattolici, esso spinse questi ultimi a ribadire, accettando la dottrina e la prassi romane, l’efficacia per sé, ex opere operato, dei sacramenti, e a formulare chiaramente la distinzione tra eresia e scisma e la posizione dei non ortodossi nello Stato cristiano; in secondo luogo, nell’aver dato espressione al risentimento etnico e sociale. Lo scisma ebbe origine da dissensi tra i fedeli di Cartagine, per cui, morto il vescovo Mensurio, alcuni si opposero all’elezione a suo successore di Ceciliano, accusandolo di avere consegnato libri e oggetti sacri ai persecutori, ed elessero a loro vescovo Maggiorino. Costantino, investito della questione dai dissidenti, rimise la decisione a un concilio romano che (ott. 313), essendo papa Milziade, assolse Ceciliano; contro questa sentenza Donato, allora alla testa degli scismatici, ricorse di nuovo, ma il sinodo di Arles gli dette torto. Nonostante altri tentativi di Costantino, la pacificazione risultò impossibile. Intanto, l’inchiesta provocata (320) dal diacono Nundinario contro il donatista vescovo Silvano di Cirta dimostrò che anche questo, come molti suoi colleghi, aveva ceduto durante la persecuzione. Ciò non fu tuttavia di ostacolo alla diffusione del d., che trovò seguaci (montenses) anche a Roma, e cercò o accettò anche una momentanea alleanza con il partito ariano, sostenuto dall’imperatore d’Oriente, Costanzo. Per contro, Costante imperatore d’Occidente inviò in Africa due commissari, Paolo e Macario, così che in alcuni luoghi si ebbero sommosse e, contro i circoncellioni, entrarono in azione le truppe. Ma non per questo lo scisma cessò; e, di fronte alla incondizionata devozione agli imperatori dell’episcopato cattolico, i donatisti espressero con più forza la loro convinzione che un vero cristiano non potesse venire ad accordi con le autorità civili. Ebbero anche un loro teorico, Parmeniano, cui rispose Ottato di Milevi. Ma l’azione dei cattolici per vari anni languì, finché fu ripresa dal nuovo vescovo di Cartagine, Aurelio, che dal 393 in poi ebbe l’appoggio fedele di Agostino. Questi in un primo tempo svolse una continua, attivissima opera di persuasione e propaganda, in contraddittori orali e attraverso i suoi scritti. Continuando i donatisti a usare la violenza, un concilio del 404 chiese all’imperatore che si applicasse anche a loro la legislazione contro gli eretici: il che Onorio fece con un decreto del 405. Negli anni successivi questi seguì tuttavia una politica oscillante e Agostino intensificò gli sforzi per giungere alla soluzione del contrasto mediante la discussione nella conferenza (collatio) tenuta a Cartagine nel giugno 411 sotto l’arbitrato del comes Marcellino. La sentenza, favorevole ai cattolici, fu seguita da misure energiche approvate ormai da Agostino, le quali, tuttavia, non valsero a eliminare lo scisma che trovava numerosi aderenti nelle campagne, e sopravvisse anche durante la dominazione vandalica e, nonostante nuove misure, durante la riconquista bizantina.