Siegel, Don (propr. Donald)
Regista cinematografico statunitense, nato a Chicago il 26 ottobre 1912 e morto a Nipoma (California) il 20 aprile 1991. Impostosi negli anni Cinquanta come uno dei migliori registi di produzioni a basso costo, firmò un capolavoro della fantascienza, Invasion of the body snatchers (1956; L'invasione degli ultracorpi) e si specializzò in film d'azione in cui viene esplorato il suo argomento prediletto, quello dell'individuo in conflitto con la società. In questo tema ricorrente molti hanno visto proiettata la sua stessa posizione di cineasta, disposto a lavorare all'interno dell'industria cinematografica, tenendo conto delle sue limitazioni, ma difendendo sempre con orgoglio una propria indipendenza. Dopo aver realizzato alcuni dei crime movies più incisivi degli anni Cinquanta e Sessanta, raggiunse l'apice della popolarità negli anni Settanta, quando diresse Clint Eastwood in Dirty Harry (1971; Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo), The beguiled (1971; La notte brava del soldato Jonathan), o Escape from Alcatraz (1979; Fuga da Alcatraz). In un periodo in cui il cinema americano stava attraversando una fase di forte trasformazione, spesso sulla base di superficiali rovesciamenti ideologici o stilistici, S. reinventò dall'interno la tradizione del cinema di genere, ignorando le tentazioni citazioniste e sviluppando uno stile personale, visivamente elaborato, dove i personaggi, i paesaggi e anche gli elementi apertamente simbolici si definiscono innervandosi in una logica serrata dell'azione.
Dopo essersi laureato a Cambridge in Inghilterra e aver studiato alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, nel 1934 entrò alla Warner Bros. e compì un apprendistato determinante per la sua formazione, in quanto lavorò al montaggio di molti dei più importanti film della compagnia e fu regista di seconde unità per scene d'azione. In quel periodo seguì molti film di Raoul Walsh (per es., The roaring Twenties, 1939, I ruggenti anni Venti), oltre che di Michael Curtiz e altri. Esordì nella regia con The verdict (1946; La morte viene da Scotland Yard), tratto da un romanzo di I. Zangwill, un classico 'giallo della camera chiusa' (basato sul meccanismo narrativo del delitto compiuto in una stanza chiusa dall'interno e apparentemente inaccessibile) e ambientato tra le nebbie della Londra vittoriana, in cui S. seppe ridurre al minimo la staticità della rievocazione d'epoca. The big steal (1949; Il tesoro di Vera Cruz) è già particolarmente indicativo di quella che sarebbe stata la sua produzione successiva: un film a basso costo e dalla lavorazione tormentata, ma dotato di risvolti beffardi e di un impetuoso dinamismo. Anche Count the hours (1953; Le ore sono contate), girato in nove giorni, lascia intuire la sua personalità: il soggetto è tipicamente noir, con un innocente accusato di omicidio e la moglie che lotta per salvarlo, ma S. cerca di restituire l'angoscia dei protagonisti attraverso una tensione scarna e nervosa più che mediante i preziosismi della pur splendida fotografia di John Alton, giocata in molte sequenze sul motivo delle sbarre e delle ombre.
Lo stile di S. si precisò comunque nel corso degli anni Cinquanta, tra risultati ancora incostanti. Nel 1956 realizzò uno dei suoi capolavori, Invasion of the body snatchers, apogeo della paranoia americana del decennio, film-incubo leggibile in chiave politica (antimaccartista o anticomunista), ma che soprattutto scandisce la disgregazione di una comunità di provincia ritratta attraverso il punto di vista soggettivo di un suo membro. A quegli anni risalgono anche gli ottimi Riot in cell block 11 (1954; Rivolta al blocco 11), cronaca cruda e incalzante di una rivolta carceraria; Baby Face Nelson (1957; Faccia d'angelo), ritratto esplosivo di un gangster psicopatico che lo rivelò alla critica francese; The lineup (1958; Crimine silenzioso), su un gelido killer che finisce nel mirino dell'organizzazione criminale per cui lavora. In tutti questi film, S. evita sia il giudizio morale sia l'esplicita polemica sociale: racconta i conflitti in modo asciutto e funzionale, trasmettendo la sua visione del mondo attraverso l'azione anziché il commento. In quel periodo si cimentò anche con il western (The duel at Silver Creek, 1952, Duello al Rio d'argento; Flaming star, 1960, Stella di fuoco), ma è nel campo del crime movie che raggiunse i suoi risultati migliori, forse perché il genere si confaceva alle sue corde più dell'impianto epico e morale del western. Ebbe comunque modo di realizzare anche un buon film bellico (Hell is for heroes, 1962, L'inferno è per gli eroi), ulteriore riflessione sull'asocialità e la solitudine dell'eroe, provocatoriamente disincantato, ma estraneo alla retorica patriottica come a quella antimilitarista.
La crisi del settore low budget lo spinse per qualche anno a lavorare per la televisione, dove raggiunse risultati notevoli, soprattutto con The killers (1964; Contratto per uccidere) che fu distribuito nelle sale e si impose come uno dei migliori crime movies del decennio, raccontando ancora una volta la storia di killer che si scontrano con la loro stessa organizzazione. Nel 1968 il poliziesco Madigan (Squadra omicidi, sparate a vista!) segnò il suo passaggio a produzioni più ambiziose, ma la svolta decisiva fu determinata dal successivo incontro con Clint Eastwood. I primi film dell'attore costituiscono ancora varianti sulla sua immagine western, comunque esplorando direzioni innovative: Coogan's bluff (1968; L'uomo dalla cravatta di cuoio) trasporta il personaggio di Eastwood all'interno del poliziesco metropolitano, Two mules for sister Sara (1970; Gli avvoltoi hanno fame) gioca con il travestimento e il confronto tra sessi, mentre The beguiled, ritenuto da molti uno dei capolavori del regista, offre un'originale variazione gotica dell'immagine virile della star, mostrandolo nel ruolo di un soldato ferito, che viene accolto in un collegio femminile e diviene oggetto di un desiderio spinto fino al sacrificio del suo corpo. I due film che segnarono profondamente il lavoro di S. nel decennio furono tuttavia Dirty Harry e Charley Varrick (1973; Chi ucciderà Charley Varrick?), apparentemente opposti dal punto di vista ideologico, perché il primo offre il ritratto di Callaghan (in originale Callahan), poliziotto violento e brutale, mentre il secondo (interpretato da Walter Matthau e imperniato sul tema della maschera) narra la vicenda di un rapinatore indipendente contrapposto sia alla legge sia alla malavita. Se Callaghan sembra incarnare uno smarrimento reazionario, Varrick impersona un moto libertario, ma entrambi i film raccontano la lotta di un personaggio solitario, in conflitto con quanti lo circondano, proteso alla ricerca di una soluzione personale che esclude quelle offerte dalla società. Divenuto ormai regista di primo piano, S. realizzò due film di spionaggio (The black windmill, 1974, Il caso Drabble, e Telefon, 1977) e un omaggio western a John Wayne ormai malato (The shootist, 1976, Il pistolero), dirigendo poi il suo ultimo capolavoro, interpretato ancora una volta da Clint Eastwood, Escape from Alcatraz, mirabile lezione di economia registica e di reinvenzione tematica a partire da situazioni carcerarie convenzionali. Mentre gli ultimi film lo videro dedicarsi con scarso successo all'amata commedia, è stato proprio Eastwood a raccogliere l'eredità di S. nel cinema statunitense. Nel 1993 è uscita, postuma, l'autobiografia, A Siegel film: an autobiography.
S.M. Kaminsky, Don Siegel, New York 1974; A. Lovell, Don Siegel: American cinema, London 1975; R. Vaccino, Donald Siegel, Firenze 1985.