TORRIGIANI, Domizio
– Nacque a Lamporecchio (Pistoia) il 19 luglio 1876 da Luigi, possidente, e da Augusta Tesi.
Nel 1906 la famiglia (l’11 agosto 1879 era nato un secondo figlio, Arturo Camillo) si trasferì a Firenze, conservando però una villa a San Baronto, nel comune di Lamporecchio, dove era solita trascorrere il periodo estivo.
Nel 1896 Torrigiani fu iniziato alla massoneria nella loggia Humanitas di Empoli e aderì al rito scozzese, all’interno del quale negli anni seguenti conseguì progressivamente i gradi superiori (nel gennaio del 1916 fu promosso al 31° grado). Nell’ottobre del 1898 si laureò in giurisprudenza a Pisa e intraprese l’attività di avvocato. Contestualmente cominciò il suo impegno in politica nelle file della sinistra democratica di matrice laica e anticlericale, mostrando fin da giovane significative aperture sul tema della giustizia sociale. Su queste posizioni s’incontrò con Idalberto Targioni, poliedrica figura di poeta socialista che nel 1901 fu eletto consigliere al Comune di Lamporecchio in una lista popolare che comprendeva anche il suo nome.
Nel 1907 Torrigiani risultava membro dell’Associazione democratica sociale di Firenze, di ispirazione radicale, che fu tra le artefici della vittoria del blocco popolare alle elezioni amministrative di quell’anno. Non a caso, nel 1909, quando presentò la propria candidatura alle elezioni politiche nel collegio di Pistoia, in un appello agli elettori indicò nel «patto di alleanza dei partiti della democrazia italiana» il punto centrale del suo programma (cit. in L. Cerasi, Democrazia del lavoro, laicismo, patriottismo: appunti sulla formazione politica di Domizio Torrigiani, in La massoneria italiana da Giolitti a Mussolini..., 2014, p. 18). Sconfitto, l’anno seguente fece di nuovo campagna a favore dell’amministrazione bloccarda scagliandosi contro le gerarchie ecclesiastiche fiorentine e il loro tentativo, rivelatosi poi vittorioso, di riportare alla guida della città un’alleanza clerico-moderata. Nel 1912 faceva parte della direzione nazionale del Partito radicale e nel 1913, all’indomani delle elezioni politiche e delle rivelazioni sull’accordo segreto fra cattolici e liberali (Patto Gentiloni), fu tra i fautori dell’uscita dei radicali dalla maggioranza governativa.
In quella fase della vita politica italiana, con il disorientamento che seguì alla guerra di Libia, l’anticlericalismo non si rivelò più capace di fungere da elemento di coesione dei partiti della sinistra democratica e socialista. Il patriottismo divenne un ulteriore agente di scomposizione e riaggregazione delle forze politiche. Torrigiani si identificò pienamente in questi valori, che trovarono nella massoneria e nella Società Dante Alighieri, a cui pure era iscritto, due delle strutture associative maggiormente impegnate nella loro diffusione. Non stupisce che nel 1915, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, abbia deciso di arruolarsi come volontario restando mobilitato per l’intera durata del conflitto e guadagnandosi una croce al merito.
Al termine delle ostilità, Torrigiani riprese la militanza nel Partito radicale, della cui direzione risultava ancora membro nel gennaio del 1919. Il 22 giugno 1919 fu eletto gran maestro del Grande Oriente d’Italia (GOI), una svolta che fece di lui un personaggio di rilievo nazionale e condizionò tutta la sua successiva esistenza. Si trovò infatti a guidare un’organizzazione con oltre ventimila affiliati, che da allora e fino al 1925 ebbe un ruolo importante in alcuni snodi cruciali della vita pubblica italiana.
Nel suo discorso d’insediamento si dichiarò a favore della «democrazia del lavoro» e indicò come compito della massoneria quello di «integrare il riconoscimento dei diritti del lavoro con la devozione alla patria» (cit. in Conti, 2003, p. 264). In vista delle elezioni del 1919 invitò i membri del GOI a sostenere «il blocco dei partiti intermedi, costituzionali democratici, radicali, repubblicani e socialisti riformisti» per «fronteggiare i socialisti ed i clericali» (ibid., p. 265). In realtà, larga parte del GOI e lo stesso Torrigiani guardarono con simpatia al movimento fascista e a quel composito schieramento di forze politiche e sociali, con l’eccezione del Partito nazionalista, che si riconoscevano nei valori del patriottismo. Nel settembre del 1919 il GOI appoggiò apertamente l’impresa di Fiume e Torrigiani, incaricato dal governo Nitti di svolgere opera di mediazione con Gabriele D’Annunzio, si recò due volte nella città dalmata e a Trieste. Quando però D’Annunzio, nel corso del 1920, minacciò di voler estendere la sedizione militare all’Italia, il sostegno del GOI venne meno e prevalse il tradizionale atteggiamento filoministeriale dell’istituzione massonica. Qualcosa di analogo accadde nel rapporto con Benito Mussolini, che incontrò il favore della parte maggioritaria del GOI fino alla marcia su Roma (28 ottobre 1922), all’indomani della quale, con l’esplicito avallo del gran maestro Torrigiani, il Partito nazionale fascista (PNF) ricevette dall’organizzazione liberomuratoria un cospicuo finanziamento. Tuttavia, quando all’inizio del 1923 il PNF si fuse con il Partito nazionalista e stabilì per i propri iscritti l’incompatibilità dell’adesione alla massoneria, avviando parallelamente una politica di apertura alla Chiesa cattolica, ogni possibilità di collaborazione con il GOI si interruppe. Non solo: la massoneria divenne bersaglio di una feroce campagna di stampa e numerose logge fra il 1923 e il 1925 furono oggetto di violenti assalti squadristici. Nel novembre del 1925 il varo della legge sulle associazioni segrete sancì di fatto la messa al bando della massoneria e costrinse Torrigiani a proclamare lo scioglimento di tutte le logge all’obbedienza del GOI.
Nel frattempo il gran maestro aveva molto modificato il suo atteggiamento verso il fascismo approdando su una linea di netta opposizione, che si manifestò in modo esplicito nell’estate del 1924 durante la crisi dell’Aventino. Torrigiani fu il tramite attraverso il quale giunse a Giovanni Amendola il famoso memoriale di Cesare Rossi, capo dell’ufficio stampa del governo, in cui si denunciava il diretto coinvolgimento di Mussolini nell’assassinio di Giacomo Matteotti. Nel luglio del 1924, poi, si recò a Parigi per prendere contatti con Ricciotti, Peppino e Sante Garibaldi, i quali, dopo aver fondato le Legioni garibaldine della Senna, d’intesa con il comitato d’azione degli antifascisti riparati in Francia, stavano progettando una spedizione in Italia.
Torrigiani, che nel maggio del 1925 era rimasto vedovo della moglie Ada Sbisà (sposata il 12 febbraio 1921), lasciò l’Italia nel febbraio del 1926, ufficialmente per motivi di salute. Si recò in Costa Azzurra, dove soggiornò a lungo presso l’amico antifascista e massone Luigi Campolonghi. Tornò a Roma nell’aprile del 1927 per esprimere la sua vicinanza ai confratelli massoni Tito Zaniboni e Luigi Capello, mentre era in corso il processo a loro carico per aver cercato di organizzare un attentato contro la vita di Mussolini. Nel processo, che si concluse per entrambi con la condanna a trent’anni di carcere, Torrigiani era stato imputato di correità, ma prosciolto durante l’istruttoria per insufficienza di prove. Il giorno dopo la sentenza, tuttavia, anch’egli fu arrestato e condannato dal tribunale speciale a cinque anni di confino quale «responsabile di agitazioni contro il regime e lo Stato e collusione con l’emigrazione politica» (Francini - Balli, 2003, p. 88). Inviato a Lipari, dove giunse alla fine di aprile del 1927, vi restò fino al 20 ottobre 1928, quando per motivi di salute ottenne di essere trasferito a Ponza e da qui, verso la fine di novembre del 1928, in una casa di cura di Montefiascone. Rimandato a Ponza nell’autunno del 1929, vi trascorse la parte residua della pena. La stretta sorveglianza a cui fu costantemente sottoposto non gli impedì di fondare nell’isola, nel giugno-luglio del 1931, insieme ad altri massoni confinati, una loggia clandestina intitolata a Carlo Pisacane, che fu attiva per circa un anno.
Torrigiani fu dimesso dal confino il 21 aprile 1932, quando ormai versava in precarie condizioni di salute, e gli fu concessa la libertà vigilata. Pose la sua residenza nella villa di famiglia di San Baronto, dove morì il 30 agosto 1932.
Opere. Principi e propositi. Discorso pronunciato all’Assemblea costituente massonica assumendo l’ufficio di Gran Maestro dell’Ordine, Firenze 1919; Discorso all’Assemblea costituente della Massoneria italiana il 9 maggio 1920, Roma 1920; Ernesto Nathan. Parole dette in Palazzo Giustiniani il 9 aprile 1922, primo anniversario della morte, Roma 1922; Massoneria e fascismo, Roma 1923; Pour l’unité de la Maçonnerie universelle. Discours prononcé à l’Assembée générale de la Grande Loge de New York au Masonic Hall le 2 mai 1923, Roma 1923; Protesta del Gran Maestro della Massoneria contro le devastazioni fasciste delle Logge, Roma 1924.
Fonti e Bibl.: Le carte di Torrigiani (otto faldoni di scritti, corrispondenza, fotografie, giornali e documenti vari) si conservano a Firenze presso l’Istituto storico della Resistenza in Toscana (Archivio Domizio Torrigiani, inventario a cura di E. Corbino, Firenze 2012).
L. Campolonghi, D. T. Conferenza tenuta nel maggio del 1933 nella sala Tretaigne a Parigi, per iniziativa della Società fra giornalisti italiani Giovanni Amendola sotto la presidenza di Claudio Treves, Paris 1934; V. Chianini, Commemorazione del G.M. D. T. nella loggia D. T. in Firenze nella seduta del 7 settembre 1945, Firenze 1945; M. Terzaghi, Fascismo e massoneria, Milano 1950; P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano 1959, pp. 263, 281 s.; R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere, 1921-1925, Torino 1966, pp. 261, 350 s., 505, 578, 648, 676; G. Vannoni, Massoneria, fascismo e Chiesa cattolica, Roma-Bari 1980, ad ind.; A.A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano 1992, ad ind.; F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, ad ind.; M. Francini - G.P. Balli, Il “gran maestro” D. T., 1876-1932, Pistoia 2003; Massoneria e società civile. Pistoia e la Val di Nievole dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di F. Conti, Milano 2003, pp. 91, 120, 134-136, 140, 163; C. Poli, Lamporecchio nel primo Novecento. Quotidianità e istituzioni, Pistoia 2004, ad ind.; S. Fedele, La massoneria italiana nell’esilio e nella clandestinità, 1927-1939, Milano 2005, ad ind.; Storia d’Italia, Annali, 21, La massoneria, a cura di G.M. Cazzaniga, Torino 2006, ad ind.; A. Garosi, Il dottore e il maestro. Al confino di polizia con D. T., a cura di S. Battente, Siena 2008; R. Bianchi, La massoneria e le origini del fascismo in Toscana, in Contemporanea, XVI (2013), 4, pp. 499-522; La massoneria italiana da Giolitti a Mussolini..., a cura di F. Conti, Roma 2014; G. Padulo, L’ingrata progenie. Grande guerra, Massoneria e origini del fascismo (1914-1923), Siena 2018, ad indicem.