FALCONE, Domizio
Nato a Mantova nella seconda metà del sec. XV, fu uno degli esponenti dell'ancor oggi poco noto umanesimo mantovano. Il suo nome, infatti, ricorre in un gruppo di versi, cancellati con un tratto di penna ma ancora leggibili, nell'Aegloga appellata Alexis (nome pastorale di Fedra Inghirami), compresa in una raccolta del 1503 di Evangelista Maddaleni, amico di Baldassarre Castiglione (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 339). A c. iiv, ai versi 6-10 sono ricordati i poeti mantovani del tempo di Francesco Gonzaga e Isabella d'Este: Antonio Agnello, Cesare Gonzaga, Baldassarre Castiglione e il F., citato quest'ultimo con il nome pastorale di Alcon, attribuitogli dallo stesso Castiglione.
Il medesimo nucleo di amici e compagni di letteratura è indicato dallo stesso F. nel carme dedicato Ad sodales, conservato assieme ad altri trentatrè componimenti nel codice vaticano Barb. lat. 2163, un'antologia di versi latini e volgari, compilata verso il 1540 da un tal Cesare Conti sulla base di carte di Achille Bocchi: assieme ai già citati, figurano Alvise (Mario) Fiera, un Virgilio ed un Nearco, forse capo della brigata goliardica. A loro l'autore, probabilmente studente a Bologna, si rivolge dicendo che all'approssimarsi delle vacanze e del ritorno in famiglia è tuttavia trattenuto dalle lacrime di una "cara puella". All'ambiente milanese, che il F. forse frequentò assieme al Castiglione, riconducono altri distici dedicati Ad Marcumequitem Campofregosum e quelli galanti rivolti Ad BlancamLuciam e Ad Blancam Mariam Stangam. Moderatamente audaci i distici dedicati a Priapo e quello intitolato De Mancino puero et Cornuto pedagogo, riconducibilial gusto goliardico quattrocentesco di sapore beccadelliano.
Un'altra testimonianza del verseggiare del F. è nel codice Vat. lat. 2836, di mano del vescovo Angelo Colocci, umanista, il cui maggior merito è appunto quello di aver conservato la produzione di letterati suoi contemporanei. Ivi (c. 7r), accanto a due distici del veneziano Girolamo Donà (Cortegiano, II, 61) e a un componimento in distici di Ercole Strozzi, compaiono cinque distici in latino attribuiti a "Falco Mantuanus".
I versi (riportati anche nel codice Vat. lat. 2874, a c. 131) descrivono un'opera di Andrea Mantegna ispirata al racconto ovidiano della gara di corsa fra Atalanta ed Ippomene. Tale opera, s'ignora se dipinto o disegno, non è stata rintracciata dagli studiosi; della sua esistenza la sola testimonianza è nei versi del F., che attestano anche come il tema psicologico di Atalanta che si ferma per risparmiare la morte al suo spasimante si imponesse alla sensibilità di Mantegna, ed a quella del F., al punto da porre in oblio il celebre particolare dei pomi d'oro.
In quell'opera, risalente forse al giovanile periodo padovano, nel quale Mantegna già mostrava interesse per i soggetti ovidiani (per esempio, il tema della morte di Orfeo), il pittore colse il momento dell'intenso sguardo che i due corridori si scambiano: nell'analogo dipinto di Guido Reni, di cui forse quello di Mantegna è la fonte, l'elemento dei pomi d'oro ricompare ed attenua l'efficacia degli sguardi, mentre il F., che ci offre in questi versi il miglior saggio della sua poesia, fedelmente vicino a Mantegna ha fermato in un'immagine essenziale il dramma di Atalanta e Ippomene: entrambi anelanti, ma non soltanto per l'affanno della corsa; ella, succinta nella veste e con i capelli scomposti dal vento, "restitit haec, iuveni non transeat"; egli, "pallidulus", "puellae optata attonitus respicit ora suae".
L'esiguità della produzione sopravvissuta consente soltanto un assai parziale giudizio nei confronti di un rimatore che, pur disinvolto nell'uso metrico ed abile nel trascorrere da galanterie ad impertinenze, non pare in grado di conferire alcuna brillantezza originale ai tradizionali temi erotici, con la sola eccezione del citato componimento mitologico. Cionondimeno, va ricordata la rinomanza di cui il F. godette nella sua breve esistenza e di cui è testimonianza, oltre alla provenienza bolognese del citato codice Barb. lat. 2163, anche l'incunabolo 189della Biblioteca comunale di Mantova, che contiene, fra l'altro, epigrammi indirizzati al F. da Giovanni Battista Spagnoli, con lo pseudonimo di "Baptista Mantuanus".
Colto da febbre improvvisa, il F. morì a Mantova nel 1505, arrecando profondo dolore all'amico Castiglione, che ne parla in una lettera da Roma del 30 luglio 1505 alla propria madre Luigia Gonzaga: nel piangere la morte dell'amico, scomparso proprio mentre egli si appressava a trovargli una sistemazione a Roma, Castiglione raccomanda al proprio fratello Gerolamo, di cui il F. era stato precettore, di serbarne le carte fino al suo ritorno a Mantova. Dal dolore per tale perdita nacque l'elegia Alcon, composta fra il 1505 ed il 1507, componimento latino (presente anche nel citato Barb. lat. 2163), nel quale il tema umanistico de amicitia trova una tragica occasione di canto.
Fonti e Bibl.: Baptista Mantuanus (Giovanni Battista Spagnoli), In Robertum Severinatem panegyricum carmen. Acc.: Somnium romanum. Epigrammata ad Falconem, Venetiis 1499; P. Serassi, Delle lettere del conte Baldesar Castiglione ora per la prima volta date in luce e con annotazioni storiche illustrate, Padova 1769-1771, I, pp. 23 s .; II, pp. 322-327; C. Ferrarini, Incunabulorum quae,in Civica Bibliotheca Mantuana adservantur catalogus, Mantuae 1937, p. 34; G. Prezzolini, prefaz. a B. Castiglione-G. della Casa, Opere, Milano 1937, pp. 35 s.; V. Cian, Un illustre nunzio pontificio del Rinascimento: Baldassarre Castiglione, Città del Vaticano 1951, pp. 16 ss., 159 s., 213-216 (rec. di C. Dionisotti, in Giorn. stor. della lett. ital., CXXIX [1952], pp. 35, 42, 45); E. Battisti, Mantegna e la letteratura classica, in Atti del VI Conv. internaz. di studi sul Rinascimento, Firenze 1965, pp. 54 ss.